Sostenibilità
Africa, scoppia il caso pesticidi. Veleno ai poveri
Documenti. Un grande tossicologo denuncia. I Paesi ricchi firmano il protocollo contro il ddt. (di Elisabetta Corrà)
di Redazione
“Una bomba tossica a orologeria”, secondo la definizione degli esperti questa è la raffigurazione più realistica del continente africano. E ad Addis Abeba, capitale dell?Etiopia, la situazione sarebbe ancora peggiore se fosse possibile immaginare qualcosa di più nocivo di un ordigno tossico. Lo dice una nota che la Fao ha diffuso dopo un lavoro sul campo durato parecchi mesi. I killler del continente nero si chiamano pesticidi obsoleti e appartengono alla lista nera dei Pops (Persistent organics pollutants), il cui più famoso rappresentante è il ddt.
Sostanze che erano state vendute ai Paesi africani in quantità ingenti 30 anni fa, a volte per combattere invasioni di insetti come le locuste. Ma poi, non utilizzate, furono dimenticate in bidoni di latta e plastica, a dispetto degli accordi internazionali che bandiscono ddt e affini perché dannosi per la salute umana e l?ambiente, in grado di accumularsi nelle catene trofiche di tutti gli esseri viventi e di rimanerci per generazioni intere. In Africa, invece, si continua a usare regolarmente ddt in tutte le terre agricole. Procurarselo è facilissimo. Per esempio importandolo da quelle stesse nazioni che hanno firmato il protocollo contro i Pops. Il rischio è che anche qualora si ottengano i fondi per bonificare i vecchi magazzini, il problema sia lontano dall?essere risolto. Bisognerebbe, infatti, rivedere completamente il sistema dell?agricoltura intensiva.
Partendo dall?Africa, abbiamo interpellato il professor Marco Vighi dell?Università degli studi di Milano Bicocca, dove è docente di ecologia ed ecotossicologia. Vighi è anche membro del Comitato scientifico Cconsultivo per la tossicologia, ecotossicologie e ambiente della Commissione Europea.
Vita: Che cosa sono i famigerati pesticidi obsoleti?
Marco Vighi: Si tratta di un certo numero di prodotti, fra cui la maggior parte degli insetticidi organoclorulati (come il ddt e il lindano) che sono stati banditi o strettamente regolamentati in Occidente fin dagli anni 70, così come nei Paesi più avanzati del Sud America. Non è che siano più tossici di quelli di nuova generazione, ma sono più resistenti e mobili. Si possono ritrovare anche molto lontano dai luoghi d?uso. Persino in Antartide. Sono degli inquinanti globali e costano poco. In Africa sono ancora utilizzati in agricoltura, e anche per combattere la malaria e la febbre gialla e in generale tutte quelle malattie che sono veicolate dagli insetti. I Paesi tropicali hanno un assoluto bisogno di insetticidi. E per produrre il ddt non c?è bisogno di tecnologie chimiche avanzate. Chi non possiede il know-how tecnologico e le risorse economiche necessarie per i pesticidi più innovativi è costretto a ricorrervi. I prodotti agricoli importati da Paesi che usano il ddt spesso contengono scorie. Per eliminarle non basta semplicemente lavare il frutto. Pensiamo che oggi il consumo mondiale di ddt è pari a un terzo rispetto agli 70. Non è poco.
Vita: La Fao auspica che i magazzini di pesticidi obsoleti siano smantellati nei prossimi anni e che le aree inquinate subiscano attività di bonifica. Una semplice speranza o una possibilità concreta?
Vighi: L?eliminazione di questi prodotti richiede dei costi difficilmente sostenibili dai Paesi poveri, per cui sarebbe necessario un intervento economico delle nazioni più ricche. Oggi i Paesi in via di sviluppo rappresentano il rischio più grave per il pianeta e già nella Conferenza di Rio de Janeiro fu introdotto il concetto della necessità di aiuti economici per consentire uno sviluppo sostenibile dei Paesi poveri. Purtroppo sembra che la tendenza attuale sia piuttosto quella dello sfruttamento di questi Paesi come risorsa e come potenziale mercato.
Vita: Veleno per tutti e a buon mercato, questo il futuro che abbiamo davanti?
Vighi: L?evoluzione dei pesticidi segue due direttive. Una sempre maggiore specificità per colpire un tipo specifico di parassita o perlomeno un gruppo di organismi affini, da una parte. E la riduzione della persistenza nell?ambiente, dall?altra.
Vita: Ma allora l?allarme della Fao è realistico?
Vighi: Per lo meno verosimile. Dobbiamo aiutare i Paesi in via di sviluppo a non ripetere i nostri stessi errori . Credo che per quanto riguardi l?Africa, gran parte dei prodotti persistenti siano importati. Bloccarne la produzione in Paesi come la Cina e l?India potrebbe aiutare a risolvere il problema. Bisogna togliere ai Paesi africani il ddt, ma anche dar loro un?alternativa. Oggi è possibile usare i pesticidi con un impatto moderato sull?ambiente. Tecniche adeguate possono limitare la dispersione dei pesticidi, evitando di contaminare luoghi lontani da quelli in cui sono stati applicati. I nuovissimi pesticidi, efficaci sul target, impediscono che la contaminazione si trasferisca oltre le aree ad agricoltura intensiva dove è inevitabile che essa si verifichi.
Vita: Una via di scampo, quindi, esiste?
Vighi: Diciamo che ci sono segnali positivi. E’ partito, per esempio, un progetto delle Nazioni unite, cui lavoro anch?io, per l?abolizione dei pesticidi persistenti in Cina. L?obiettivo di medio periodo è allineare Pechino ai Paesi occidentali. La Cina è produttore e consumatore di questi prodotti ed è grande come un continente. Sarebbe un risultato di grande importanza.
Vita: Spesso si dice che l?impiego di organismi geneticamente modificati in agricoltura potrebbe favorire un uso ridotto di pesticidi. Qual è il suo parere?
Vighi: Sicuramente l?uso di ogm potrebbe portare a una riduzione dei pesticidi e in questo senso sarebbe utile. I controlli attuali della Commissione Europea sono, inoltre, tali da poter escludere danni sulla salute del consumatore. La possibilità che si verifichino dei problemi ambientali non è, però, esclusa e, inoltre, c?è bisogno di sperimentare direttamente sul campo. Ma anche nel caso in cui i rischi siano nulli o trascurabili, l?attuale politica di produzione e uso degli ogm non porta praticamente nessun profitto ai consumatori e agli agricoltori. Chi ne trae sicuro vantaggio sono solo le poche (probabilmente non più di quattro o cinque) multinazionali produttrici. L?uso di sementi ogm , fra l?altro, aumenta la dipendenza degli agricoltori dalle multinazionali. Io credo, però, che gli ogm possano essere un bene per l?umanità, sicuramente non con la strategia attuale. Oggi gli ogm sono prodotti prevalentemente per un mercato ricco (europeo o nordamericano) che possiede il denaro per pagare ma che, in realtà, non ne ha bisogno. Sarebbe necessario, quindi, imporre regole differenti che orientino diversamente anche la ricerca, verso prodotti che possano realmente aiutare a risolvere il problema della fame nei Paesi poveri. Questo però si scontra con forti interessi economici. Gli stessi interessi che permettono ai pesticidi di contaminare un continente intero.
Elisabetta Corrà
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