Mondo

Africa, Quo vadis?

di Giulio Albanese

Come al solito ho fatto trascorrere altri giorni prima di mettere mano a questo Blog. Non tanto per disaffezione, quanto piuttosto per un bisogno istintivo di metabolizzare una lunga serie di sollecitazioni che vengono dall’Africa e sulle quali occorre meditare, per non cadere nei soli stereotipi o luoghi comuni che condizionano ogni serio ragionamento. Ebbene, la cronaca di questi giorni non è assolutamente confortante! La Costa d’Avorio è in subbuglio con un presidente uscente, Laurent Gbagbo, che non intende mollare lo scettro, pur avendo perso il ballottaggio col suo rivale Alassane Dramane Ouattara. Sul versante opposto, quello del Corno d’Africa, le cose non vanno certo meglio: c’è la disastrata Somalia, “buco nero” del continente, e poi il Sudan dove la tensione è alle stelle in vista dell’imminente referendum per l’autodeterminazione delle regioni meridionali; per non parlare del caos in cui versa il Darfur. E cosa dire dell’Eritrea, ostaggio di un’oligarchia assetata di denaro e di potere che sta affamando la popolazione? Vi sono naturalmente anche altre questioni aperte, non del tutto risolte sul piano degli equilibri politici interni, che vanno dal Madagascar alla Guinea, dalla Repubblica Democratica del Congo alla Nigeria… Viene allora spontaneo chiedersi se sia solo una questione di debolezza del sistema politico interno agli Stati africani o se invece non vi siano altri fattori che condizionano lo scenario geopolitico.

La questione economia in Africa è centrale e dal mio punto di vista rappresenta un fattore altamente destabilizzante, soprattutto guardando al futuro. Al primo posto nella lista dei “guai” vi è lo strapotere cinese che sta fomentando la corruzione delle classi dirigenti locali, ignorando del tutto l’agenda dei diritti umani. Qualcuno dice che di questo passo l’Africa non sarà più “Nera”, ma “Gialla”. Non c’è Paese africano, oggi, che non sia colonizzato dall’Impero del Drago. Di converso, gli Stati Uniti stanno perfezionando in sordina  l’African Growth and Opportunity Act (Agoa), la legge sulla crescita e le opportunità economiche promulgata da Clinton, ma rafforzata a dismisura da Bush per consentire al 98 per cento dei prodotti “made in Africa” di penetrare sul mercato statunitense senza dover subire le “ritorsioni” dei dazi doganali. l’Agoa è stata promossa da una coalizione di multinazionali, l’Agoa Coalition Inc., di cui fanno parte tra le altre: Texano, Mobil, Amoco, Caterpillar Occidental Petroleum, Enron, General Electric, Chevron… Ma come al solito, non è oro tutto quello che luccica. L’Agoa infatti richiede alle nazioni africane che vogliano ottenere i benefici derivanti dal commercio con gli Usa, di sottomettersi alle regole del Fondo monetario internazionale (Fmi) e alla certificazione del presidente degli Usa, ottenibile solo a determinate condizioni: ad esempio, la riduzione delle tasse per gli investitori nazionali e stranieri; le privatizzazioni dei patrimoni e dei servizi pubblici (trasporti, sanità, comunicazioni); l’accesso illimitato alle risorse naturali; l’adozione di politiche agricole per colture estensive destinate all’esportazione… Insomma, alla fine dei conti il vecchio teorema clintoniano – “Trade not Aid” (“Commercio non Aiuti”) – continua a condizionare non poco il futuro del continente africano. Dulcis in fundo, come ho già scritto su questo Blog, vi è il tema dolente, anzi dolentissimo, degli  “Economic Partnership Agreements”, in italiano “Accordi di Partenariato Economico”, meglio conosciuti con l’acronimo Epa. Un’iniziativa che vede coinvolta l’Unione Europea (Ue) con il gruppo Acp (Africa, Caraibi e Pacifico), un cartello che comprende 77 Paesi, molti dei quali ex colonie europee. Recentemente, a Tripoli in Libia, vi è stata una “dichiarazione comune” di carattere politico, approvata al termine di un vertice tra Europa e Africa, segnato da divergenze e contrasti sostanziali tra i due schieramenti. Nel documento finale si chiede la continuazione dei negoziati Epa, che i governi africani vedono come il fumo negli occhi. Morale della favola, di questo passo, a meno che non prevalga il buon senso, l’Europa rischia di trasformarsi nel peggior nemico dell’Africa. A questo proposito, suggerisci di dare un’occhiata al precedente “post” che ho scritto su questo Blog. Nella dichiarazione comune di Tripoli, si individuano alcune aree d’intervento privilegiate, dalla sicurezza al commercio, che dovrebbero caratterizzare la cooperazione tra Africa ed Europa fino al prossimo vertice in programma a Bruxelles nel 2013. Bisognerà però vedere in che termini queste “parole” diventeranno realmente “attuative”. Marginale è apparso il confronto sulle politiche migratorie, in modo forse paradossale se si considera che il tema del vertice di Tripoli era “Investimenti, crescita economica e creazione di posti di lavoro”. Nel testo finale, c’è solo un accenno alla necessità di una maggiore “cooperazione internazionale nella ricerca dalla giustizia, della pace e della riconciliazione”. Francamente, lungi dal voler essere disfattista, il quadro generale del continente africano non mi pare sia soddisfacente. Purtroppo ancora anni luce distante dalla dimensione dialogica tra Europa e Africa dell’appuntamento del “dare e del ricevere” in chiave universale, auspicato dal poeta senegalese Léopold Sédar Senghor. Africa, quo vadis?

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