Non profit

Africa, la società civile prova a mettersi in vetrina

Ad Addis Abeba in Etiopia presenti 150 sigle non governative

di Joshua Massarenti

La tre giorni organizzata in collaborazione con il Comitato Acp-Ue del Cese. Il presidente Jahier: «I fondi vanno usati meglio» Rafforzare la società civile africana è da anni un chiodo fisso del Cese – Comitato economico e sociale europeo, organo consultivo dell’Unione Europea. Una sfida titanica che passa anche per la volontà di confrontarsi a tu per tu con chi nei Paesi africani deve dare voce a chi non ne ha. Quest’anno è toccato alla Comunità dell’Africa dell’Est (Esa) e dell’Africa Orientale e Australe (Afoa), con un seminario regionale che dal 7 al 9 luglio scorso ha riunito ad Addis Abeba circa 150 attori provenienti dal mondo delle ong, dei sindacati, delle cooperative e del settore privato. Insieme ai membri del Comitato di seguito Acp-Ue del Cese, si sono confrontati attorno al futuro del partenariato strategico Ue-Africa, la recente revisione dell’accordo di Cotonou (2000-2020) e lo stato di avanzamento dei negoziati sugli accordi di partenariato economico (Epa).
Sulla qualità dei dibattiti, Yaovi Akouete non ha avuto dubbi: «Quasi tutti di ottima fattura». Ma per questo sindacalista togolese di lungo corso prevale il sentimento che «a esclusione degli imprenditori, la società civile fa ancora fatica ad essere riconosciuta dai governi africani». Ironia della sorte, l’Etiopia, il Paese ospite dell’evento, rappresenta uno dei casi più estremi. «Nel febbraio scorso» sottolinea un rappresentante di un’ong locale che ha chiesto l’anonimato, «è passata una legge che costringe le organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti civili e umani a finanziarsi con risorse provenienti al 90% da fonti locali». Con il risultato che «molte ong sono sull’orlo del fallimento».
Molti ad Addis Abeba hanno poi accusato le delegazioni europee presenti di non informarli sull’evoluzione dei negoziati Epa oppure sulle opportunità di finanziamento previsti dall’Accordo di Cotonou. «Per troppi anni Bruxelles ha snobbato gli attori sociali», riconosce Luca Jahier, presidente del Comitato Acp-Ue del Cese, «ma è anche vero che la società civile deve darsi una mossa». Esempio: sui 22,7 miliardi di euro previsti dal Fondo europeo per lo sviluppo (2008-2013), «il 10% è riservato agli attori non statali. Ad oggi, solo il 2% sono stati utilizzati, e non soltanto per via della complessità eccessiva dei bandi europei». Ma allora, quando la società civile africana riuscirà a spiccare il volo? «Tra i tanti fattori c’è l’Ecosocc», sostiene Jahier, «l’organo di rappresentanza degli attori sociali e economici presso l’Unione Africana. Se cresce di potenza, allora molte cose potrebbero cambiare».


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