Sviluppo & Sostenibilità
Africa, la scintilla che accende il futuro
Si chiama Elsa ed è una piccola stufa che produce biochar, un carbone vegetale che se interrato è capace di immagazinare anidride carbonica e fertilizzare i terreni. La sua introduzione in alcune zone del continente africano sta portando vantaggi economici, ambientali e sociali. Lucia Brusegan, direttrice di Starter, la società di consulenza che ha promosso l'introdizione della stufa, racconta a VITA il progetto
Da un’idea nata nel Nord-Est italiano ha preso forma un fornello innovativo, oggi prodotto in Burundi, che sta trasformando le vite di intere comunità rurali in Africa. Il suo nome è Elsa. Si usa per cucinare e per scaldare. Al suo interno per mezzo di un processo di pirolisi – una combustione lenta e in completa assenza di un agente ossidante – si bruciano residui di produzioni agricole e forestali che dopo la pirolisi diventano biochar, un carbone vegetale capace di immagazinare anidride carbonica e fertilizzare i terreni.
L’introduzione di Elsa nei villaggi ha consentito anche di migliorare la vita delle ragazze e delle donne dei villaggi che, di solito, hanno il compito di andare a cercare nei boschi legna da ardere con il rischio di essere aggredite durante le lunghe trasferte a piedi. Ora con il fornello pirolitico Elsa possono ardere direttamente gli scarti vegetali che hanno in casa.
Un articolo di Nature segna la strada
«A ispirarci è stato un articolo di Johannes Lehmann, pubblicato su Nature, che introduceva l’idea di utilizzare il biochar come sistema circolare per migliorare la produttività dei suoli e sequestrare carbonio atmosferico». A parlare è Lucia Brusegan, direttrice di Starter, la società di consulenza di Camponogara, nel veneziano, che promuove lo sviluppo territoriale sostenibile e la crescita delle comunità, trasformando idee innovative in progetti pilota che creano un equilibrio armonioso tra uomo e ambiente. Nel 2008 la Starter, grazie a un finanziato dall’Unione europea, ha avviato un progetto pilota coordinato dall’Università di Udine, con la partecipazione del Consiglio nazionale della ricerca, per introdurre in Ghana, Togo e Sierra Leone l’utilizzo di un fornello pirolitico specificatamente progettato per essere di facile produzione in contesti poveri.
La combustione lenta dei residui di produzioni agricole e forestali produce il biochar che è ricco di carbonio recalcitrante, difficilmente degradabile, la cui quantità dipende dalla biomassa utilizzata e dalle condizioni di processo, in particolare dalla temperatura di combustione. Il biochar impiega secoli, persino millenni, per decomporsi quindi quando viene interrato oltre a fertilizzare i campi trattiene anidride carbonica che non si disperde in atmosfera.
«Il primo passo è stato quello di sviluppiamo nel 2010 la stufa», prosegue Brusegan, «Elsa è molto facile da realizzare. Basta avere un foglio di lamiera su cui si disegna la matrice e poi attraverso il taglio e la piegatura delle parti si realizza la stufa. Inoltre è pulita perché non emette particolato o altre emissioni nocive dal momento che brucia i gas di pirolisi. Quindi protegge le donne e i bambini dalla possibilità di inalare fumi pericolosi che sono sprigionati da ciò che si brucia in casa per cucinare che, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, sono la prima causa di morte di bambini sotto i 5 anni nei paesi poveri. I test sono stati fatti in alcune comunità del Ghana e perfezionati grazie ai suggerimenti che ci davano le donne che utilizzavano il fornello. Il biochar prodotto veniva di volta in volta sparso sui terreni che diventavano sempre più fertili».
In questa fase l’Ong ghanese Asa Initiative ha preso parte alla co-progettazione consentendo di produrre e vendere più di 3.500 fornelli Elsa. Nel 2016 è stato avviato il progetto Biochar Plus Energy, health, agricultural and environmental benefits from biochar use che ha consentito l’introduzione di Elsa anche in Ethiopia, Zimbabwe e Cameroon, dove sono state realizzate attività dimostrative e di capacity building in ulteriori comunità rurali con il coinvolgimento di 3600 famiglie in Ghana, 40 in Zimbabwe, 60 in Etiopia e 30 Sierra Leone. Un anno dopo la Banca Mondiale finanzia un progetto pilota in Burundi per introdurre il fornello pirolitico Elsa e il biochar nella zona a Nord del lago Tanganika. Negli anni per valutare il potenziale del biochar sono state condotte prove agronomiche in azienda che hanno coinvolto piccoli agricoltori. Il biochar per la prova sul campo è stato prodotto utilizzando i gusci delle noci delle palme da olio. Sono stati prelevati campioni di terreno prima e dopo il raccolto e sono state condotte analisi sulla fertilità del suolo.
Famiglie meno povere e donne più libere
«Man mano che andavamo avanti con i progetti abbiamo compreso come l’introduzione di Elsa stava consentendo di arricchire i villaggi che la usavano», spiega Brusegan «infatti è aumentata la resa dei fagioli che le famiglie coltivano per poi venderli al mercato. Dunque un sistema di fertilità del suolo basato sul biochar potrebbe essere importante per alleviare i problemi esistente nella fertilità del suolo ma, anche, garantire più cibo a delle comunità che vivono di sussistenza, spingendo gli agricoltori africani ad adottare la stufa come dispositivo di cottura così da produrre più biochar. Visto che la stufa si alimenta di scarti vegetali, nei villaggi che la usano, si sono ridotte le emissioni di particolato e di fumi garantendo una miglior efficienza energetica. Elsa, inoltre, consente alle famiglie un risparmio netto annuo di circa 250 euro, costo che di solito sostengono per acquistare legna o carbone al mercato per cucinare».
Ma se tutto questo non bastasse a misurare la portata sociale ed economica del progetto Lucia Brusegan ricorda che: «le donne svolgono un ruolo essenziale nella raccolta del combustibile e nella cottura dei cibi. Grazie all’introduzione di un sistema di biochar, su piccola scala, possono passare dalla raccolta della legna a quella dei residui agricoli disponibili intorno alle loro case, contribuendo così alla gestione sostenibile delle foreste e risparmiando il tempo normalmente dedicato alla raccolta del combustibile. Il risparmio di tempo nella raccolta della legna da ardere e la riduzione dell’onere fisico imposto alle ragazze e alle donne consentono loro di godere di una migliore qualità di vita».
Elsa dall’avvio di una filiera ai crediti di carbonio per le famiglie
Negli anni l’attività di implementazione della stufa Elsa si è estesa in altri villaggi grazie alla collaborazione con Ong attive nel paese, da ParmaAlimenta, a Avsi e Lvia, che hanno consentito di avviare una produzione locale di fornelli pirolitici. È stato migliorato il design del fornello, per renderlo più efficiente e rispondente ai bisogni delle comunità dando vita a Elsa 3.0 che in questo momento è in fase di test e il prossimo autunno sarà messa in produzione a Bujumbura.
Conclude Lucia Brusegan: «stiamo prendendo contatti con alcune importanti industrie internazionali per realizzare a Bujumbura un piccolo impianto in grado di produrre energia e biochar a partire dai residui agroindustriali disponibili in loco. Contiamo nel 2025 di avviare anche questa filiera».
In futuro, inoltre, se le stufe saranno certificate potrebbero generare crediti di carbonio, ossia un certificato negoziabile da parte delle famiglie che acquistano la stufa, equivalente a una tonnellata di anidride carbonica non emessa o assorbita. Infatti, non solo la stufa bruciando non emette anidride carbonica ma il biochar prodotto, ricco in carbonio recalcitrante, consente di rimuovere carbonio dall’atmosfera quando viene stoccato nel suolo per fertilizzare i campi.
All’Africa e a un approccio meno stereotipato al Continente è dedicato il numero di VITA magazine di giugno, da poco in edicola e che potete acquistare qui.
La foto di apertura descrive l’utilizzo della stufa Elsa (Foto: Lucia Brusegan)
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