Mondo

Africa. Dopo la guerra civile, una svolta? Burundi, dove la pace è un prezzo da pagare

I ribelli incontrano il presidente Ndayizeye che, per far ripartire il suo Paese, cerca aiuti economici in Europa.

di Paolo Manzo

L?ultima missione di monsignor Michael Courtney è stata di strappare una promessa ai ribelli delle Forze nazionali di liberazione (le Fnl), l?unico gruppo guerrigliero del Burundi che, dopo anni di guerra civile, non aveva ancora accettato di sedersi attorno a un tavolo per firmare gli accordi di pace. Non è quindi esagerato dire che, proprio grazie all?opera diplomatica del nunzio apostolico (ucciso in circostanze ancora da chiarire il 29 dicembre scorso), il presidente Domitien Ndayizeye può viaggiare in Europa per ?incassare? il dividendo della pace. “I donatori avevano vincolato i loro aiuti a un ritorno della sicurezza nel mio Paese. Ora li convinceremo che la sicurezza è cresciuta abbastanza per consentire investimenti e ripresa economica”, ha spiegato il capo di Stato del piccolo Paese africano che, entro la fine di gennaio, verrà anche in Italia. Di certo c?è che le Fnl, l?ultima formazione ribelle hutu rimasta a combattere, ha fatto sapere che “andrà da Ndayizeye in quanto padre della nazione”. Una vera e propria svolta per l?ex colonia belga (e prima tedesca), devastata da dieci anni di guerra che hanno provocato oltre 300mila morti civili e milioni di profughi, che ora sperano di poter finalmente ritornare a casa. “L?incontro tra Agathon Rwasa, il leader delle Fnl, e il presidente burundese si svolge martedì 20 gennaio”, spiega a Vita Antonio Raimondi, presidente del Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo), che è rientrato da Bujumbura pochi giorni fa. A Buterere, un quartiere della capitale, l?ong dei Salesiani sta terminando la messa a punto della ?Cité de la jeunesse don Bosco? (Città dei giovani), un grosso centro che ospita bambini di strada e orfani. “Stiamo costruendo una mensa-refettorio per dare 500 pasti al giorno ai bimbi denutriti della zona, curiamo l?alfabetizzazione di tutti i nostri piccoli ospiti e organizziamo corsi di professionalizzazione. Entro fine 2004 il centro raggiungerà 1.200 giovani al giorno”. Un?oasi di pace e lavoro in un territorio ancora dilaniato dalle divisioni tra hutu (l?85% della popolazione) e tutsi. E, infatti, il problema principale che deve affrontare padre Vincenzo, il direttore della ?Città dei giovani?, deriva dalle accuse assurde che gli stessi bambini gli rivolgono “di fare preferenze tra un gruppo etnico e l?altro”. Un retaggio culturale che discende da anni di guerra civile e che, paradossalmente, resta più forte nei minori che vivono ancora in famiglia. Nonostante le promesse di pace fatte dalle Fln, che hanno respinto le accuse di essere i responsabili dell?omicidio del nunzio apostolico (l?uccisione di un diplomatico vaticano non era mai accaduta prima, nemmeno durante la seconda guerra mondiale), la situazione in Burundi non è così tranquilla come Ndayizeye vorrebbe far credere. Il 12 gennaio scorso, 17 persone sono state massacrate a nord-ovest di Bujumbura. Dell?eccidio sono state accusate le Fln, che però hanno smentito, manco a dirlo. Certo è che i ribelli non sono oltre 2mila su tutto il territorio nazionale, ed è difficile credere che riescano a operare su così larga scala e con così tante armi senza aiuti esterni. “Congo e Ruanda hanno grandi responsabilità”, spiega Raimondi. Che poi va giù duro, “è inutile che continuiamo a fingere: il neocolonialismo purtroppo non è finito, neanche in Burundi, mentre sui Grandi laghi si è giocata una partita a risiko, tra Francia e Belgio da un lato e Usa e Gran Bretagna dall?altra”. L?importante, adesso, è che si smetta di buttare benzina sul fuoco e si passi, possibilmente, all?acqua. Perché, come ha ricordato all?inizio dell?anno l?arcivescovo Simon Ntamwana, “non si deve scordare che il Burundi è in una situazione di miseria enorme e se non innestiamo processi di sviluppo, le famiglie di etnia differente saranno sempre più restie alla convivenza”. Ma per innestare sviluppo e pace sono necessari i nostri aiuti.


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