Soccorsi umanitari
Afghanistan, popolazione allo stremo: il disimpegno dell’Occidente
I rappresentanti di Emergency, Intersos, Afgana e Uai hanno incontrato il Comitato permanente sui diritti umani della Camera dei deputati, per fare il punto su una situazione complessa e drammatica
di Redazione
Il dibattito internazionale sull’Afghanistan è ripreso con la richiesta della fine della discriminazione di genere e il pieno rispetto dei diritti delle donne. Tuttavia, i cittadini del Paese asiatico continuano a subire i contraccolpi della guerra e la situazione umanitaria resta grave sotto tanti punti di vista: alimentare, sanitario, educativo. Questi temi sono stati sollevati ieri, durante un’audizione al Comitato permanente sui diritti umani della Camera dei deputati, presieduto da Laura Boldrini, alla quale hanno partecipato quattro esponenti di organizzazioni della società civile: Rossella Miccio di Emergency, Giovanni Visone di Intersos, Giuliano Battiston di Afgana e Antonio Donini di United Against Inhumanity – Uai. Va precisato che in Afghanistan, sino all’agosto del 2021, l’assistenza allo sviluppo da parte dei Paesi occidentali copriva circa il 73% del bilancio, oggi l’assenza pressoché totale degli aiuti e le sanzioni continuano ad aggravare la già difficile sopravvivenza della popolazione. Di seguito, la sintesi degli interventi in audizione delle quattro organizzazioni.
Emergency. L’86% degli afghani si è visto costretto a prendere denaro in prestito per curarsi e il 70% a posticipare le cure. Particolarmente rilevante è il dato della violenza indiscriminata da esplosivi: da gennaio ad aprile 2024, Emergency ha ricoverato oltre 200 pazienti per ferite da scheggia o da mina. Una su due (esattamente 94) erano minori di 18 anni. Nell’arco di 24 anni l’organizzazione ha investito circa 180 milioni di euro per garantire il diritto alle cure senza discriminazioni, attraverso la promozione di una cultura di pace e di diritti non solo per i pazienti, ma anche per i 1.700 membri dello staff locale, tra cui 370 donne afghane che possono operare nel campo della salute: modello di inclusione ed emancipazione per le comunità locali e di possibile influenza verso le autorità per garantire sanità e canali di dialogo su educazione e formazione per donne e bambine. Per questo motivo è necessario investire nella salute, affinché gli ospedali possano continuare a garantire il diritto alla cura ed essere luoghi di pace e costruzione di comunità che, per troppi decenni, non hanno avuto possibilità né prospettive future, prima perché afflitte dalla guerra, ora dalla povertà e dall’oblio internazionale.
Intersos. In un Paese in cui 23,7 milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari per sopravvivere, l’80% delle famiglie vive con meno di un dollaro al giorno e i tassi di malnutrizione materna-infantile sono tra i più alti al mondo, agire è imperativo con un rilancio dell’azione umanitaria non condizionata da obiettivi di altra natura e fondata su 4 pilastri:
• pieno finanziamento del Piano di aiuti umanitari (Humanitarian Response Plan) per il 2024 con fondi prevedibili, flessibili e pluriennali per sostenere una risposta efficace;
• rilancio dei finanziamenti destinati allo sviluppo e all’early recovery per sostenere la ripresa dei servizi di base e in particolare dei servizi sanitari;
• accesso equo ai servizi e agli aiuti per tutta la popolazione afghana, con particolare attenzione alle categorie marginalizzate (sfollati interni, returnees, donne e bambini e persone con disabilità). Obiettivo che può essere raggiunto solo attraverso il confronto attivo tra organizzazione umanitarie, stakeholder internazionali e autorità;
• riaffermazione della centralità del ruolo attivo delle donne che, ancora oggi, rappresentano circa il 50% dello staff Intersos nel Paese e del loro imprescindibile contributo all’azione umanitaria e alla crescita della società afghana.
Uai. È stato affrontato anche il tema della confisca delle riserve della Banca centrale afghana (Dab) da parte di Stati Uniti e alleati, col congelamento di 9,5 miliardi di dollari, bloccati nella Federal Reserve Bank e in misura inferiore in banche europee (compresa l’Italia). La Dab in pratica è stata tagliata fuori dal sistema bancario internazionale e non è più in grado di svolgere le sue normali attività per garantire il funzionamento dell’economia. La popolazione afghana subisce le conseguenze di misure arbitrarie e inique. Uno scongelamento graduale con monitoraggio internazionale di questi fondi che appartengono al popolo afghano è urgente e necessario per il benessere della popolazione, e questo non significa riconoscere il regime talebano.
Afgana. Oltre alla crisi umanitaria ed economica, alla repressione interna e alla discriminazione di genere, la società afghana sconta anche la mancanza di coraggio e creatività politica della diplomazia euro-atlantica. Come raccomandato dall’allora coordinatore speciale dell’Onu, Feridun Sinirlioğlu, serve «un impegno internazionale più integrato e coerente», attraverso una tabella di marcia basata sui risultati. Di fronte all’attuale impasse, per proteggere la popolazione c’è dunque bisogno di uno scarto: una diplomazia dei piccoli passi, dietro le quinte, che non sia declamatoria e basata su ultimatum, ma che ricerchi l’opzione che più tutela i diritti e i bisogni della popolazione afghana e delle donne. Parlarsi non significa riconoscere il regime né accettarne le politiche repressive e discriminatorie. Tra inazione e legittimazione esiste un ampio spettro di possibilità. Una posizione espressa da una parte della società civile afghana residente nel Paese, comprese le Ong di donne. Le conseguenze di disimpegno e isolamento verrebbero pagate dalle stesse categorie che vorrebbe difendere chi nega ogni ipotesi negoziale.
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