Mondo

Afghanistan: lettera aperta ai dissidenti

Intersos scrive ai senatori dissidenti che si appresterebbero a votare contro il rifinanziamento della missione in Afghanistan: "Il ritiro non sarebbe la fine della violenza"

di Nino Sergi

AI SENATORI Massimo Villone, Ds Claudio Grassi, Prc Luigi Malabarba, Prc Franco Turigliatto, Prc Fosco Giannini, Prc Mauro Bulgarelli, Verdi Loredana De Petris, Verdi Giampaolo Silvestri, Verdi Fernando Rossi, Pdci Cari Senatori, Mercoledì sarete chiamati a votare sulle missioni militari all?estero, compresa quella in Afghanistan. Ci permettiamo di scrivervi perché Intersos opera in quel paese dal dicembre 2001 in più province, per sostenere il ritorno dei profughi, assistere gli sfollati, ricostruire scuole, ambulatori e punti d?acqua, liberare dalle mine. Esprimiamo anche il pensiero delle altre organizzazioni dell?Associazione Ong Italiane attive in Afghanistan. Rispettiamo le vostre posizioni. Anzi ne condividiamo pienamente la radice: il rifiuto della guerra. Essa produce infatti morte e distruzione. Nel mondo attuale, non può risolvere problemi e conflitti che hanno assunto complessità tali da richiedere, al contrario, convinte, rispettose e perseveranti azioni politiche. Li modifica, certo, ma i problemi rimangono: spesso con una semplice sostituzione di individui e collettività costrette a subire e soffrire. La guerra all?Iraq e l?Enduring Freedom in Afghanistan fanno parte di questa sequenza. Giusta è stata quindi la decisione del Governo di uscire da entrambe. Un grande segnale di discontinuità. Doveroso. Un discorso diverso va però fatto, a nostro avviso, rispetto a presenze militari in contesti dove esse sono necessarie. Non di guerra si tratta, ma di imprescindibile impegno della comunità internazionale a tutela delle popolazioni o per la stabilizzazione dopo un conflitto. Pensiamo alla scellerata decisione delle Nazioni Unite di ritirare il proprio contingente in Ruanda nel 1994, invece di potenziarlo. Pensiamo alla supplica delle organizzazioni umanitarie al Consiglio di Sicurezza nel 2003 perché fossero inviati adeguati contingenti militari in Congo a tutela delle etnie in pericolo. Pensiamo alla Bosnia o al Kosovo dove il ritiro dei contingenti militari, ancora oggi, potrebbe significare la ripresa delle ostilità con gravi rischi per le popolazioni. Pensiamo all?urgenza di una forza di tutela e interposizione in Darfur ed ora in Libano. E altri casi ancora. L?operazione Isaf in Afghanistan non è nata come azione di guerra. A Bonn, alla fine del 2001, erano presenti tutti: i rappresentanti delle varie comunità tribali afgane, le Nazioni Unite, l?Unione Europea, gli Stati Uniti e molti altri paesi ed organizzazioni internazionali. E? stata un?iniziativa sotto l?egida dell?Onu, multilaterale, che ha prodotto decisioni concordate e pienamente legittime. Compresa quella dell?invio di una forza multinazionale per garantire la sicurezza alle nuove istituzioni transitorie che dovevano assumere il difficile compito di governare il paese. Non per combattere qualcuno, quindi, ma per permettere l?avvio di una nuova fase politica in Afghanistan. Se c?è stato errore, e dobbiamo riconoscerlo con sincerità, è stata l?incapacità della Comunità internazionale di assicurare una presenza militare più ampia, non limitata alla sola Kabul ma diffusa su tutto il territorio. Le province infatti, schiacciate dalla prepotenza dei warlords o insidiate dall?influenza talebana, avevano bisogno, in quella fase delicata, di una significativa presenza esterna protettiva. Non si è avuto il coraggio e la capacità di farlo. Mancanza che non è stata senza conseguenze. Si è lasciato infatti mano libera, sul territorio, all?operazione Enduring Freedom: alla guerra. Quando nel 2003 Isaf, su mandato delle Nazioni Unite, ha finalmente iniziato ad operare nelle province del nord per poi estendersi a quelle occidentali, la situazione era ormai compromessa. La sovrapposizione tra Enduring Freedom e Isaf è stata inevitabile. Come inevitabile è stata la confusione tra le due operazioni agli occhi degli afgani. Sovrapposizione e confusione che si presenta ancora più accentuata nelle province meridionali e orientali. E? proprio questa confusione che ha portato le Ong italiane a rifiutare di operare nella provincia di Herat, mentre continuano a farlo in altre province. Troppo alto era il rischio di essere visti e vissuti, anche noi organizzazioni umanitarie, in modo equivoco e confondibile con i militari. Il problema su cui riteniamo debba essere posta prioritariamente l?attenzione non è il ritiro dall?Isaf, ma verificare e mettere in atto modalità efficaci perché la presenza multinazionale di stabilizzazione e sicurezza rimanga tale, sia nelle sue regole di ingaggio che nel vissuto degli afgani. La mozione approvata alla Camera prevede strumenti di verifica parlamentare. Analogamente, le Ong operanti in Afghanistan hanno chiesto che l?Italia esiga chiarezza in sede Nato per potere, con altrettanta chiarezza, assumere decisioni sempre in coerenza con la nostra Carta costituzionale. Di questo si tratta, di esigere che Isaf rimanga nel solco del mandato ricevuto che è, a nostro avviso, ancora necessario: quello di sostenere le Istituzioni afgane a livello centrale e provinciale garantendo, con presenze e mezzi adeguati, la sicurezza del territorio. Il ritiro di Isaf, lo sappiamo tutti, lo sapete anche voi, non sarebbe senza conseguenze. Non sarebbe la fine della violenza, come vorremmo. Non creerebbe una situazione migliore. Sarebbe l?avvio di scontri tra prepotenze tribali rappresentate dai signori della guerra che sono tuttora armati, pronti ad agire per conquistarsi maggiori spazi di potere. O sarebbe il ritorno, altrettanto feroce e oscuro, dei talebani con le loro pubbliche esemplari atrocità. Anche se la situazione in Afghanistan è carica di crescenti problemi, di errori gravi e ripetuti, di visione politica povera se non semplicemente di mancanza della politica, le popolazioni afgane, che sono la nostra priorità, non ne trarrebbero giovamento. Di questo dobbiamo essere certi. E questo dovrebbe, a nostro avviso, guidare le valutazioni e le scelte politiche. Un cordiale saluto, Nino Sergi Segretario Generale Raffaele Morese Presidente


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA