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Afghanistan, italiani sotto tiro

L'agguato alla pattuglia italiana ha provocato la morte a 25 anni di Alessandro Di Lisio

di Franco Bomprezzi

La morte del caporalmaggiore Alessandro Di Lisio in Afghanistan è il tema di apertura di quasi tutti i giornali, sia pure con accenti e approfondimenti diversi.

 

 

“Afghanistan, ucciso un parà” è l’apertura del CORRIERE DELLA SERA di oggi: «Una bomba è esplosa lungo la strada a 50 chilometri dalla città di Farah e ha investito una pattuglia di paracadutisti della Folgore. La vittima è il caporal maggiore Alessandro Di Lisio, 25 anni, di Campobasso, esperto artificiere in Afghanistan da pochi mesi. Tre altri militari sono rimasti feriti. Obama agli alleati: Tutti noi vogliamo una exit strategy. Il cordoglio del premier Berlusconi: Ma la missione è necessaria e prosegue». Come lui la pensa Franco Venturini che dalla prima firma l’analisi sotto il titolo “Missione giusta, ma in pericolo”: «la morte del caporal maggiore Di Lisio ci ricorda che in Afghanistan l’Occidente combatte una guerra fortemente e correttamente motivata parallela a una missione di assistenza. Ma gli elementi che autorizzino a sperare nel successo, purtroppo, si fanno ogni giorno più sottili». Il CORRIERE enfatizza l’ultimo messaggio che Di Lisio ha lasciato su Facebook: «la guerra è uno sporco lavoro…ma qualcuno dovrà pure farla», mentre gli esperti concordano: “«Elezioni vicine: gli attacchi cresceranno ancora»”. Il generale Mauro Del Vecchio chiosa: «Bene il nuovo piano Usa». E proprio al piano americano è dedicato l’approfondimento di Ennio Caretto (“Obama rassicura gli alleati: «Via d’uscita da Kabul!”). Questo il ragionamento della Casa Bianca: «Se riusciremo a superare con successo le elezioni in Afghanistan il mese prossimo, se proseguiremo ad addestrare le forze e se ne promuoveremo uno sviluppo economico maggiore, potremo sperare di passare a una fase diversa».  

“Afghanistan, bomba sugli italiani” è l’apertura di LA REPUBBLICA che al 25enne caporalmaggiore Alessandro Di Lisio dedica 3 pagine. Si comincia con la descrizione dell’agguato: “Attacco agli italiani in Afghanistan esplode una bomba, muore un parà”. Ci sono anche tre feriti, non in pericolo di vita: i 4 erano su un blindato preso di mira da una bomba rudimentale ma preparato con una dose di esplosivo sufficiente. Stavano effettuando il controllo della strada 517 (che collega Farah, la città sede del comando italiano, alla Ring Road, l’altra grande strada principale dell’Afghanistan). Nel mirino, sostiene il generale Marco Bertolini, capo di stato maggiore, non ci sono gli italiani, ma i soldati della missione. Durissima la reazione della famiglia Di Lisio («è tutta colpa vostra! Fuori» sono state le parole con cui la madre ha cacciato la delegazione giunta per darle la notizia). La politica ha espresso un cordoglio bipartisan. Il ministro della difesa ammette ora «la necessità di un’ulteriore riflessione sui mezzi e sulle attrezzature», mentre Berlusconi e Napolitano hanno ribadito la necessità di portare avanti questo impegno. C’è anche un pezzo sulle testimonianze: “Noi soldati nel mirino dei Taliban andiamo in pattuglia e preghiamo”. Il nodo, sostiene un veterano dell’Afghanistan, sono le elezioni: «gli afgani sanno che il voto può essere decisivo. È aumentata la presenza dei militari governativi nel territorio e sono aumentate le reazioni di chi non li vuole». I soldati della missione Isaf dunque devono garantire la sicurezza e permettere la ricostruzione, non è una guerra, scrive Giampaolo Cadalanu, ma gli strumenti sono gli stessi, e anche il prezzo da pagare non può essere diverso. Dall’America, Barack Obama torna sulla missione: occorre una exit strategy. A elezioni concluse, si può pensare di avviare una transizione verso una fase differente, dice in sintesi.

«Un attacco subdolo, vigliacco, come quelli che ormai ci aspettiamo dalla guerriglia»: in prima pagina IL SOLE 24 ORE mette il commento del generale Rosario Castellano, mentre a Herat sale sull’elicottero per Farah, dove è morto Di Lisio, «passaggio obbligato per le carovane della droga, interesse comune di contrabbandieri e talebani». Alberto Negri, inviato del SOLE, è lì con lui. Il reportage parte dall’ambiguità della missione Nato, primo «motivo di fallimento della ricostruzione», che parla di costruzione di ospedali, scuole, istituzioni ma «non ammette che questa è anche una dura missione di combattimento». Eppure il generale Castellano già nei giorni scorsi gli aveva parlato di un crescendo preoccupante degli attacchi: da gruppi di 10-15 guerriglieri si è saliti a 80. «Con qualche anno di ritardo la Nato sta facendo le cose giuste: addestrare le forze armate locali, appoggiarle nel prender controllo del territorio», scrive Negri. Che chiude con un giudizio duro: «Di Lisio non è una vittima casuale ma un soldato che ha pagato il prezzo della stabilizzazione dell’Afghanistan». Niente foto all’arrivo della sua bara nel campo: «la retorica dei flash non serve a illuminare il tardivo risveglio delle coscienze sull’Afghanistan».

“Fossa comune” è questo il titolo scelto da IL MANIFESTO a sfondare sulla fotografia di una pattuglia di soldati italiani a Kabul. «Bomba al passaggio di una pattuglia italiana a Farah. Muore parà, altri tre feriti. Aveva scritto: “La guerra è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo”. L’Italia riscopre il pantano afghano, ma Berlusconi e Napolitano insistono: “Missione necessaria”. Il Pd si accoda e tace. Mentre Obama accenna a una exit strategy» riassume in prima pagina. Il commento “Lavoro sporco” è affidato Giuliana Sgrena. «L’Afghanistan è una terra di fosse comuni, non c’è solo quella del deserto di Dasht-i Layli, sulla quale ha aperto un’inchiesta il presidente americano Obama. Nelle fosse comuni ci sono finite a turno tutte le etnie (…) Ieri l’esplosione di un ordigno collocato lungo una strada nella provincia di Farah ha provocato la morte di un soldato italiano, il quattordicesimo, mentre nella provincia di Helmand sono morti sei “civili” che viaggiavano a bordo di un elicottero schiantatosi al suolo vicino alla base di Sangin. Civili ma non estranei alla guerra, si tratterebbe infatti di contractors sempre più impegnati nelle società di sicurezza che con i militari si spartiscono lo sporco lavoro della guerra (…)». Sgrena fa un’analisi della situazione sul terreno: dalle imminenti elezioni in Afghanistan, al problema dell’oppio e dell’eroina «In questo quadro» osserva «risulta semplicemente penosa la reazione del ministro della difesa italiano Ignazio La Russa che derubrica la guerra a un problema tecnico di blindatura dei mezzi». All’interno delle due pagine dedicate alla morte del parà Alessandro Di Lisio anche un’intervista a Nino Sergi, presidente di Intersos che riferendosi alla scarsa attività del movimento per la pace in relazione alla guerra in Afghanistan osserva: «Il movimento per la pace non esiste quasi più, anche perché ne ha sbagliate molte, fermandosi troppo spesso al solo livello delle ideologie. Quanto poi alla Tavola della Pace mi sembra che si stia trasformando, decidendo senza garantirsi il necessario consenso. E togliendoci persino l’unificante marcia della pace Perugia – Assisi. Non riuscendo più a parlare a tutte le donne e gli uomini di buona volontà, ma solo a una parte, lasciando fuori molti pacifisti veri, sensibili ad altre forme di mobilitazione e ad altre forme di linguaggio».

IL GIORNALE dedica due pagine al caporalmaggiore Alessandro Di Lisio ucciso da un ordigno in Afghanistan. Una propone un’intervista a Ignazio La Russa ministro della Difesa che sottolinea come la missione non cambierà perchè «la stragrande maggioranza degli italiani, fatte le debite e legittime eccezioni, è consapevole della necessità di continuare». La Russa sottolinea anche il cambiamento di clima della politica italiana e spiega che «rispetto chi, secondo me sbagliando, in maniera legittima chiede il ritiro. Perfino nella voce più distonica che ho ascoltato riscontro, rispetto al passato, un tono diverso, non di facciata». Sul tema del clima politico è dedicato un box “Le reazioni. Il Quirinale e Palazzo Chigi sulla linea Obama” che sottolinea come Berlusconi e Napolitano schierandosi decisi insieme per il non mettere in discussione la missione hanno stoppato preventivamente ogni polemica. Il motivo sono gli accordi presi con Obama, che rendono il nostro impegno in guerra fondamentale per la nostra credibilità internazionale. Nell’altra pagina con “Agguato ai soldati italiani: ucciso un parà di 25 anni” oltre alla cronaca dell’attentato e alle voci addolorate di amici, compagni e parenti c’è anche una spiegazione tecnica di come avvengono questi attentati. Sono tutti effettuati con ordigni rudimentali chiamati Ied (improvised exposion device) e sono costituiti da un ordigno interrato, un piatto di pressione. Vengono disseminati sulle strade più usate dai militari e vengono mimetizzati con cartone, sacchetti o qualunque cosa capiti nei punti, come gli incroci, in cui terra battuta e asfalto s’incontrano. Infine il box “Ecco perchè quella trincea ora è inferno” in cui si spiega come la concomitanza tra le elezioni del 20 agosto, gli interessi del mercato del narcotraffico e gli interessi trasversali dei Taleban abbiano reso alcune regioni afghane delle vere e proprie polveriere.
 
La morte di Alessandro di Lisio merita l’apertura di AVVENIRE: “Afghanistan, sangue italiano”. A pag. 4, c’è un’intervista al capo di Stato Maggiore della missione Isaf, il generale Marco Bertolini, figlio di uno dei pochi reduci di El Alamein, che «a stento trattiene le lacrime» nel lanciare «un appello alla società italiana: che questa disgrazia non sia quella di una singola famiglia, questo dolore dobbiamo condividerlo tutti». Probabilmente i rischi della missione aumentano in prossimità delle elezioni del 20 agosto, ma i combattenti aumentano in questo periodo dell’anno anche perché «i ribelli non sono più impegnati nella raccolta dell’oppio», dice. «Gli insorti sono particolarmente forti, agguerriti e ben equipaggiati. Questi sono addestrati militarmente, non sono dei cani sciolti… la situazione è pericolosa» e «lo sarà sempre di più». Le speranze di uscire dal tunnel, secondo il generale, ci sono, perché la gente è stanca di guerre e non vuole il ritorno dei talebani, «ma non si può delegare tutto ai militari, occorre affiancare l’azione di altre istituzioni». Tanto più che, dice Elio Maraone, firmando l’editoriale in prima pagina, gli afghani percepiscono le truppe straniere come occupanti, «attrici di una strategia sempre più aggressiva che, oggettivamente, a colpi di raid aerei, ha fatto negli ultimi tempi troppe vittime civili, provocando l’ira giustificata di molti gruppi tribali». Ma soprattutto, le truppe appaiono schierate a sostegno del governo centrale di Hamid Karzai, «l’uomo che nemmeno Washington ama più, che è diventato un simbolo di corruzione e di impotenza».

“L’inferno dell’Afghanistan” è il titolo di apertura de LA STAMPA, che affida l’editoriale in prima a Lucia Annunziata, dal titolo “La svolta di Obama”: «”L’Afghanistan è un formicaio dentro cui abbiamo infilato una mano”. “In Afghanistan siamo in guerra: inutile nascondercelo”. Scegliete voi. I commenti nel mondo dei diplomatici e delle forze armate che seguono da vicino la nostra impresa in Afghanistan sono, in privato, molto più realistiche e amare di quelle che provengono dal mondo ufficiale della politica. Perché, alla fine, con il sangue di Di Lisio è stato scritto ieri l’ennesimo avvertimento ai naviganti italiani che non vogliono prendere atto di molte verità. La principale è che la missione italiana è da tempo mutata, sia negli scopi che nel profilo regionale. La seconda è che questo mutamento avvenuto negli anni scorsi in maniera lenta e invisibile si è accelerato proprio da quando l’amministrazione Obama ha elevato l’Afghanistan a suo principale conflitto». A pag. 4 Maurizio Molinari analizza la situazione sul campo: “È iniziata la guerra dei villaggi”, è il titolo del dossier: «Strappare ai taleban il controllo dei villaggi lungo la valle afghana del fiume Helmand, smantellare i santuari jihadisti nella valle pakistana dello Swat e proteggere le truppe Nato dalle bombe deposte lungo le strade facendo arrivare i blindati «Mrap»: sono questi i tre tasselli dell’offensiva estiva del Pentagono nell’Afpak, che punta a mettere sulla difensiva i guerriglieri in vista delle presidenziali di fine agosto a Kabul. (…) Una missione che il generale Larry Nicholson, alla guida delle operazioni, riassume così: “Dove arriviamo restiamo, dove restiamo teniamo il territorio, dove teniamo il territorio costruiamo, dove costruiamo lavoriamo con un occhio alla transizione”. Sta in questo la differenza della strategia voluta dal presidente Barack Obama: insediarsi nei villaggi, proteggendo i civili dai taleban e ponendo le premesse per la ricostruzione».

E inoltre sui giornali di oggi: 

TASSE
LA REPUBBLICA – “Ristoratori, baristi e meccanici dove il reddito resta sotto i 18mila euro”. Un dossier che approfondisce la notizia data ieri circa l’evasione fiscale. Stando alle dichiarazioni fiscali del 2007 la metà degli autonomi dichiara meno di 30mila euro (solo uno su dieci ammette di aver incassato 100mila euro). Una infografica ci informa che i titolari di hotel dichiarano in media 9500 euro, i meccanici 11.759, i costruttori 11.890 e via di questo passo. Nel frattempo la Guardia di finanza ha scoperto 4120 grandi evasori con proposte di recupero per 10 miliardi.

BADANTI
IL SOLE 24 ORE – Una stretta nell’emendamento per l’assunzione della badanti che il Governo presenterà oggi nel Consiglio dei Ministri. Le due novità sono state aggiunte ieri, dopo che è emerso quanto sarebbe stato facile aggirare il sistema e far virare la misura in una sanatoria camuffata. Per assumere una badante/colf quindi ci vorrà una soglia minima di reddito e un certificato della Asl che attesta la necessità di una badante o di due (numero massimo). Il SOLE sottolinea che la misura ad hoc, lascia fuori altre categorie di lavoratori, pure in attesa dell’ok ai decreti flussi 2007 e 2008: «la tesi che questa regolarizzazione sia anticostituzionale comincia a farsi sempre più forte».

IMMIGRAZIONE
ITALIA OGGI –  La burocrazia mette a rischio il ddl della sicurezza. E’ quanto spiegato nell’articolo “Extracomunitari, processi solo in aula”. « Pochi giorni fa», spiega ITALIA OGGI, «il plenum del Consiglio superiore della magistratura, rispondendo alla richiesta che gli era stata sottoposta nell’ottobre del 2008 dal presidente del Tribunale di Genova, ha stabilito che i processi agli immigrati vanno fatti sempre e solo in  un’aula di giustizia».In parole semplici, l’espulsione dei clandestini non può avvenire in questura o nei Ctp, perchè non sono luoghi adatti all’amministrazione della giustizia, neppure se a chiederlo sono esigenze di accelerazione delle procedure di espulsione. Ironico e amaro il commento del direttore di Italia Oggi  Franco Bechis che nel suo pezzo “il CSM piccona Maroni” in prima pagina, commenta così:« Alla fine si è stabilito che celebrare un processo in locali della questura è da stato di Polizia. E i clandestini potranno darsela a gambe in attesa dell’aula giusta».

IL MANIFESTO – In prima pagina Marco Revelli firma l’editoriale “Lo strappo di civiltà”. «Nessuno poteva dire che non sapeva. Le cifre della strage sono pubbliche, accessibili a tutti. Basta consultare il sito di Fortress Europe per conoscere i numeri della nostra vergogna. Nei primi quattro mesi dell’anno sono stati già 339 i migranti morti annegati nel canale di Sicilia. Erano stati 1274 in tutto il 2008 (…)» e l’elenco prosegue con quanti sono morti in Adriatico e poi lungo le piste che dal centro Africa vanno verso nord e nel tentativo di entrare in Spagna, Grecia ecc. «Di questi numeri non si è parlato nel g8 dell’Aquila, che pure  della tragedia dell’Africa si è fatto ampliamente scudo per nascondere il proprio vuoto. Non hanno turbato lo shoppping delle first ladies  per le vie di Roma. Né i sonni dei loro augusti mariti nella caserma di Coppito, riadattata in fretta e furia per l’occasione probabilmente con il lavoro di un buon numero di sopravvissuti a quella strage ora “regolarizzati” (…)».

SCUOLA
LA STAMPA – Mattia Feltri intervista il ministro Maria Stella Gelmini, che torna su un concetto a lei molto caro, mettere in soffitta la cultura del 68: «Però io voglio una scuola del valore e del merito e devono saperlo anche gli studenti: la scuola del buonismo e del lassismo fa male soprattutto a loro. E’ in soffitta la cultura del Sessantotto… Ma certo, la cultura che ha prodotto il sei politico, il diciotto politico, che considera la valutazione un atto d’imperio e livella verso il basso». Giustamente Feltri le domanda: «Senta, ministro, continuiamo a parlare di merito ma lei, che è di Brescia, ha sostenuto l’esame di abilitazione all’albo degli avvocati a Reggio Calabria…» «Rispondo con una domanda: gli ordini professionali sono la sede del merito?». «Non credo, però…» «Lo so: lo hanno fatto in tanti ma io sono poi diventata ministro dell’Istruzione. Però il merito lo stabilisce la professionalità, non l’esame dell’ordine: l’avvocato bravo lavora, l’avvocato asino non lavora. A Brescia, come altrove, c’era il tentativo di programmare l’ingresso nel mondo del lavoro. Per chi non aveva santi in paradiso come me era quasi impossibile passare l’esame. Io sono dell’idea che gli ordini vadano aboliti».

SEXGATE
IL GIORNALE – Durissimo editoriale di Mario Giordano, direttore del quotidiano milanese, che attacca, col suo “Giornali morbosi, ci mancava solo la scrittrice hard”, «Repubblichella 2000 e Le Ore del Riformista». Causa dello sfogo la pubblicazione da parte del Riformista e di Repubblica «un racconto di fantasia sessuale, un classico del genere edicola notturna improvvisamente assurto a dignità di prima pagina di un giornale politico». Il motivo è la storia che racconta di un politico che promette ad una ragazza poltrone in cambio di sesso. Secondo Giordano sono chiari i riferimenti al premier e chiaro anche il tentativo di Repubblica di far passare (misunderstanding voluto) la storia di fantasia come fatti di cronaca.
 
ECONOMIA
LA REPUBBLICA – “Svolta per Goldman Sachs, utili record”. Arturo Zampaglione da New York riferisce dei risultati spettacolari ottenuti da Goldman nel secondo trimestre di quest’anno. un utile di 3,44 miliardi di dollari (per un volume d’affari di 13,76 miliardi, in crescita rispetto ai 9,3 dei primi tre mesi del 2009). Sono stati accantonati 11,4 miliardi di dollari per pagare i bonus ai manager. Un aspetto sul quale ci sarà discussione negli Usa. Un altro aspetto che farà discutere, scrive Zampaglione, è che la forte ripresa della banca è stata possibile grazie alle politiche di accesso al credito a buon mercato. Politiche che l’amministrazione aveva adottato per favorire la ripresa economica e che in questo caso si sono risolte in forti guadagni finanziari.

ITALIA OGGI – Nella sezione Primo Piano, il quotidiano dei professionisti propone un’analisi sul Dpef. L’articolo, “Crisi, Tremonti è più ottimista” riferisce del confronto di ieri tra Tremonti e le parti sociali che hanno incontrato il governo per discutere del Documento di programmazione economica e finanziaria per il prossimo triennio che sarà approvato oggi dal consiglio dei ministri. Secondo ITALIA OGGI, il Dpef si reggerà su tre pilastri: «Tenuta strutturale dei conti pubblici, coesione sociale attraverso il potenziamento degli ammortizzatori sociali, liquidità alle imprese a partire dalle medie e piccole». Per quanto riguarda i commenti: Tremonti si fa i complimenti e rivendica al governo al governo il merito «di aver gestito bene la crisi, come hanno riconosciuto al estero»; Epifani ha definito «inaccettabile l’assenza di riferimenti chiari allo scudo fiscale e alla riforma delle pensioni»; Bonanni, invece, si è detto disposto a discutere dell’equiparazione dell’età pensionabile tra uomini e donne nel pubblico impiego.

IL MANIFESTO – “Pil a picco -4,2% nel 2009” è il titolo che apre le due pagine (la 6 e la 7) dedicate all’economia e al lavoro il giorno dopo la presentazione da parte di Tremonti del Dpef. «C’è la crisi, paga il lavoro. Tremonti presenta il Dpef e stavolta ammette il crollo del Pil. Silenzio su pensioni e scudo fiscale, ma mancano le risorse per il rinnovo dei contratti pubblici. Non c’è nulla per i lavoratori dipendenti, mentre scade, per molti, l’indennità di disoccupazione» è la sintesi all’articolo che inizia così: «Non deve essere stato facile, per il ministro dell’economia Giulio Tremonti, dire che – secondo le sue stime – il Pil italiano calerà nel 2009 del 5,2%. Solo quindici giorni prima aveva usato parole di fuoco contro il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, “reo” di aver illustrato una previsione a -5% prontamente corroborata dai dati di Confindustria. O forse, più cinicamente, ha fatto conto sull’italica diffidenza per le cifre e i numeri, nella speranza che la sua sfuriata stile boomerang sia stata già dimenticata “dal popolino” (…)». Accanto a questo articolo con i commenti dei sindacati e in primis della Cgil anche la situazione di Mirafiori dove gli operai si sono ribellati alla notizia di un tagli drastico del premio di produzione passato dai 1200 euro lordi dello scorso anno ai 500 di quest’estate.

AVVENIRE – A Roma è stato presentato il Prestito della speranza, nato dalla collaborazione tra Cei e Intesa Sanpaolo per sostenere le famiglie monoreddito che hanno perso l’unica fonte di sostentamento, con tre figli a carico, oppure segnate dalla malattia o dalla disabilità: si tratta del primo esempio concreto di attuazione del piano concordato con l’Abi, per la costituzione di un fondo di garanzia per le famiglie in difficoltà, attraverso il quale le banche potranno erogare prestiti di 6mila euro: 500 euro mensili per un anno, al massimo due. Il gruppo bancario che per primo ha aderito alla proposta, Intesasanpaolo, ha alzato la propria quota parte di intervento da 36 a 100 milioni di euro. Toccherà alle parrocchie e alla Caritas individuare le situazioni di difficoltà. Nel primo piano di pagina 6 si spiegano funzionamento e requisiti per fare domanda. Accanto, a pag. 7, una pagina dedicata a “Le famiglie tirano la cinghia. Nel 2008 consumi al palo” e all’ultima indagine Istat sulla spesa mensile delle famiglie, che passa da 2.480 euro del 2007 agli attuali 2.485, lo 0,2% in più, evidenziando un forte calo in termini reali, perché nel 2008 l’inflazione è stata del 3,3%. Oltre il 40% degli italiani ha cambiato stile d’acquisto: per difendersi dalla crisi i consumatori hanno speso meno nell’abbigliamento, nell’arredamento, nella sanità e nei trasporti, ma di più negli alimentari e nell’abitazione. Gli hard discount, «un tempo frequentati soltanto dalle famiglie meno abbienti, trovano ora un gran numero di clienti anche fra le famiglie con redditi più alti».

TERZA ETA’
LA STAMPA – Un corrosivo scritto di Guido Ceronetti contro i miti della terza età: «Va considerato oltraggioso un avverbio che viene inesorabilmente interposto nella ripetutissima frase, quando si tratta vecchiaia e vecchi come “problema sociale” – eccola: “La vita, fortunatamente, si è allungata molto”. Al suo posto, sarebbe adeguato un purtroppo, ma il coraggio, l’energia vitale della verità manca talmente al linguaggio comune da non far sperare che si ficchi una volta tanto nell’uso. Per me, che non ho voglia di mentire, vale il purtroppo. (…) ; i pugnali congiurati del Luogo Comune trafiggono il tuo autentico esserci di persona umana, che non può e non vuole essere Quello che si vuole lei sia, e che pretende l’inquisizione degli ottimisti, una irrealtà di costruzione medica e di finta premura sociale, un raccapricciante «diversamente giovane», ma semplicemente e umilmente un corpo vecchio, che vive arretrando, come sa, come ci riesce, e in cui il pensiero della morte non osa più dirsi, per la brutalità della repressione linguistica, liberatorio e di speranza».

DOLCE MORTE
CORRIERE DELLA SERA – Edward Downes, inglese di 85 anni, uno dei più importanti direttori di orchestra, ormai cieco e quasi sordo e sua moglie Joan. 74 anni ex ballerina e produtrice televisiva, malata di cancro, hanno scelto di morire insieme con una pratica di suicidio assistito che si è tenuta a Zurigo con il supporto dell’associazione Dignitas fondata nel 1988 dall’avvocato svizzero Ludwig Minnelli. Così il comunicato dei due figli che hanno assistito al suicidio: «Hanno vissuto le loro vite in profondità, dal punto di vista professionale e personale, per questo si ritenevano fortunati. Se ne sono andati in pace, anziché continuare a combattere». In Inghilterra aiutare qualcuno a morire è un reato, che di fatto, per chi sceglie l’estero, non viene perseguito.

ENCICLICA
AVVENIRE – Intervista a Michel Camdessus, ex direttore del Fmi, nonché governatore onorario della Banca di Francia ed ex presidente delle Settimane sociali d’Oltralpe, reagisce all’enciclica del Papa: «In un momento in cui l’uomo può dubitare di se stesso più che mai, essa è un formidabile appello alla speranza. Da tanto tempo, al più alto livello, non si udiva un messaggio così ottimista e al contempo concreto dell’uomo». Un’enciclica che «scuoterà, direi quasi sconcerterà, ma in positivo, molti cristiani impegnati nella vita politica, sociale ed economica». Il Papa, dice, ci riporta all’essenziale, sottolineando che gratuità e fraternità sono le chiavi dello sviluppo. Pag. 9.

GRILLO
IL GIORNALE – Due pagine dedicate alla bufera in cui è sprofondato il Pd dopo la mossa a sorpresa del comico genovese. Diversi schieramenti si sono formati all’interno del partito sulla posizione da prendere nei confronti dei grillini. Arrivano anche le impressioni di un mostro sacro come Bertinotti (naturalmente favorevole all’ammissione di Grillo alla competizione) che è l’unico a fare un a dichiarazione lucida «starà poi al dibattito interno mettere in luce le contraddizioni di un signore che prima critica un partito e poi chiede di candidarsi». La cronaca però racconta come “Il Pd sbatte la porta in faccia a Grillo «Non può iscriversi»”.

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