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Afghanistan, il senso di una missione

La nuova strage riapre le polemiche

di Franco Bomprezzi

Come sempre in questi anni di “missioni di pace” la morte di militari italiani riaccende polemiche sulla strategia da adottare per tutelare i nostri ragazzi, e al tempo stesso onorare gli impegni internazionali. Ecco come i giornali del lunedì affrontano il tema.

“I talebani: li abbiamo uccisi noi” è il titolo del CORRIERE DELLA SERA che apre l’edizione del lunedì. Oggi l’arrivo a Roma delle salme dei quattro alpini morti nell’agguato in Afghanistan. Una strage che riapre la questione della nostra permanenza in quella regione tormentata, specie dopo l’intenzione dichiarata da Obama di concludere in tempi ragionevoli la missione militare. E infatti anche in Italia si pensa già, per bocca del ministro della difesa La Russa, a un ritorno a casa entro il 2011. Ma la polemica si riaccende attorno all’ipotesi di dotare i nostri aerei di bombe. E’ di Lorenzo Cremonesi, storico inviato del CORRIERE nelle zone di guerra, dall’Iraq all’Afghanistan, il racconto più interessante, che parte dalla prima: “Herat e Farah, i due volti dell’Italia al fronte”, e prosegue a pagina 3. Un ritratto preciso degli enormi contrasti di questo periodo: Herat è città che sta tornando a vivere normalmente, con attività produttive, l’università, i voli aerei (quattro al giorno), grazie alla presenza attiva degli italiani. “Il boom si ferma però appena a una decina di chilometri dalle periferie – scrive Cremonesi – Oltre è il caos, l’incertezza, la guerriglia talebana fa da padrone anche più di prima. «Nella zona italiana sono attivi e ben armati almeno 2.000 talebani. Miliziani arrivati da Helmand e Kandahar sotto pressione dell’offensiva americana, transitati per Farah, saliti nel Baghdis e ora persino in grado di operare militarmente in coordinamento con le formazioni che fanno base a Mazar el Sahraif e Kunduz, dove è basato il contingente tedesco», sostiene Amir Shah, decano dei reporter di Kabul”. Controcorrente l’intervista alle ministro della Difesa Antonio Martino: “Nessun ritiro, anzi rinforzi. Solo così avremo meno morti”. A pagina 5 “Bombe sugli aerei, è polemica tra i poli”, pezzo di Virginia Piccolillo sull’ipotesi di armare con le bombe i nostri caccia. Opposizione divisa, ma apertura dal Pd.

“I Taliban: «Li abbiamo uccisi noi» Polemica sugli aerei con le bombe”: è il titolo de LA REPUBBLICA che dedica le prime 3 pagine interne alla situazione afgana. La rivendicazione dei Taliban conferma le analisi degli esperti: «quello di sabato è stato un attacco pianificato a tavolino, condotto con tecnica militare da un gruppo numeroso e ben organizzato». Tra le reazioni, oltre a quella del ministro La Russa («tutti i contingenti internazionali dispongono di bombardieri con l’armamento previsto, cioè le bombe. Di fronte a ciò che sta accadendo non me la sento più di decidere da solo, e chiedo di farlo alle Camere, siano le commissioni parlamentari competenti a confortare o cambiare questa mia scelta»), le reazioni della Lega. Che con il governatore Zaia si è espressa per il ritiro delle truppe. Contrarie all’ipotesi bombe anche le opposizioni: Idv e sinistra radicale fanno le barricate. Più interlocutorio il Pd, pronto a valutare «se l’attuale livello di sicurezza dei nostri soldati è adeguato o meno». A pagina 4, un pezzo che ripercorre le tappe della “guerra nascosta dei soldati italiani”. «Negli ultimi sei mesi gli alpini hanno sempre più difficoltà a chiamare “missione di pace” lo stillicidio di attentati e scontri. E spesso “san Lince” non basta più». Nel “Taccuino strategico” intitolato “Non bastano le bombe serve un’altra strategia”, Fabio Mini (ex comandante delle operazioni di pace in Kosovo), scrive: «Ministri, Stati Maggiori e comandanti si sono fatti in quattro per dirci che i nostri soldati sono protetti al meglio…. Se oggi ci sono dei dubbi vuol dire che qualcuno fino a ieri ha mentito o non ha saputo fare il suo mestiere. La situazione reale dell’Afghanistan è di una linearità imbarazzante. Nessun contingente è male armato, la Nato soffre di eccesso di potenza e non di carenza di mezzi. Ci sono già troppi bombardieri e Karzai è perdente proprio perché si bombarda troppo e senza curarsi delle vittime civili».

ILGIORNALE  pone l’accento sulla necessità di aumentare le armi  a disposizione dei militari italiani. Lo dice il ministro della difesa La Russa che «mette in rilievo  come i quattro Amx spediti in Afghanistan per supportare le nostre pattuglie servano a poco se possono utilizzare solo il cannoncino di cui sono armati ma che li obbliga fatalmente a volare a poche centinaia  di metri dal suolo, rendendosi estremamente vulnerabili». Lo dice pure il militare, il generale Claudio Berto intervistato  da Fausto Biloslavo: «Tecnicamente è un opzione che può servire, già sperimentata dai nostri alleati, ma come ha annunciato lo stesso ministro della difesa la decisione sarà discussa dal Parlamento». Biloslavo domanda se sono stati colpiti camion civili. Berto risponde :«Sì due o tre mezzi che erano nella colonna, ma i 70 afghani hanno ringraziato tantissimo i nostri soldati. Ci è costata cara, ma senza di noi non sarebbero mai usciti vivi dalla valle». Il quotidiano di Feltri  mette in luce che «la sinistra è spaccata perché il Pd vuole discuterne  tanto che Fassino ha detto “la questione va affrontata con responsabilità escludendo provvedimenti propagandistici che non servono per la scurezza vera dei nostri militari e senza dimenticare i rischi di cui ha parlato lo stesso La Russa”, mentre l’Idv Urla al massacro». Ma anche nel centro destra c’è qualche nube. «A testimoniarlo la presa di posizione personale dell’ex ministro leghista Luca Zaia, ora governatore del Veneto. Evita di affrontare il tema bombe ma si lancia deciso a reclamare il rientro immediato delle nostre truppe perché l’Afghanistan non deve diventare il nostro Vietnam».

IL SOLE 24 ORE non dedica attenzione agli alpini caduti in Afghanistan sull’edizione cartacea. Online invece Vittorio Da Rold firma “Belluno a lutto ricorda i suoi ragazzi del settimo reggimento alpino caduti in Afghanistan”. «Belluno è a lutto per i suoi ragazzi, i quattro alpini morti in Afghanistan tra le montagne del Gulistan. Il Tricolore è a mezz’asta su tutti gli edifici pubblici e su molti edifici privati e non è un rito formale. I nomi dei caduti passano di bocca in bocca nella centralissima Piazza dei Martiri tra molte teste chine perché sebbene nessuno dei caduti sia di origine veneta qui tutti gli alpini sono considerati figli della città che ospita la caserma da cui sono partiti i quattro militari». I quattro ragazzi infatti sono i primi caduti del 7/mo Reggimento in Afghanistan nonostante da Belluno siano già partite tre missioni per quelle terre. «La gente era sinceramente addolorata in una domenica triste con le Dolomiti che si stagliavano nel cielo azzurro che ha visto per tanti mesi gli addestramenti degli alpini del 7/mo Reggimento della Brigata Julia. Gli alpini hanno voluto ricordare con una messa in caserma i quattro compagni uccisi in un agguato dai talebani». Una funzione molto partecipata, spiega De Rold, «per dare il segno della propria partecipazione, della propria solidarietà portata in modo discreto tipico della gente di montagna. Perché dire 7/mo Reggimento e Brigata Julia qui a Belluno vuol dire la terribile campagna di Grecia, la ritirata di Russia e la battaglia di Nikolajewka, 4.556 caduti per il 7/mo Reggimento nelle Seconda guerra mondiale, le tante missioni del dopoguerra, il terremoto del Friuli, dell’Irpinia, dell’Aquila, una medaglia d’oro al valor civile per essere stati i primi a soccorrere nel fango del Piave la popolazione di Longarone esattamente 47 anni fa nel disastro della diga del Vajont». “Giunto a Ciampino il C130 con le salme dei 4 alpini uccisi in Afghanistan” di Nicoletta Cottone è la cronaca dell’arrivo delle salme. «Il C130 dell’Aeronautica militare con le salme avvolte nel tricolore dei quattro alpini italiani uccisi in un attacco rivendicato dai talebani, sabato scorso in Afghanistan, è atterrato questa mattina alle 9 all’aeroporto militare di Ciampino, a Roma. Alcuni militari hanno portato su cuscini di velluto rosso i cappelli alpini con la penna dei quattro militari caduti: Francesco Vannozzi di 26 anni, Marco Pedone di 23 anni, Sebastiano Ville di 27 anni e Gianmarco Manca di 32 anni». Il Sole si sofferma sulle reazioni, in particolare sulla proposta del ministro La Russa di riaprire la discussione sull’armamento degli aerei italiani schierati in Afghanistan. Gianandrea Gaiani spiega di cosa si tratta in “Ecco perché il ministro La Russa ha riaperto la discussione sull’armamento dei caccia italiani”. La decisione per il giornalista «rappresenta un importante passo verso la rimozione dell’ultimo caveat di rilievo che limita l’impiego delle forze militari italiane. Finora i cacciabombardieri Amx (e prima di loro i più grandi Tornado) non sono autorizzati a imbarcare bombe e missili per evitare il rischio di colpire involontariamente i civili. I jet italiani vengono quindi impiegati solo come ricognitori e possono eventualmente intervenire contro i talebani impiegando esclusivamente il cannoncino a tiro rapido». Il discorso non è solo di sicurezza «Ci sono molte ragioni operative ed economiche per le quali è importante eliminare questo “caveat” imposto ai militari dalla politica nazionale. Con l’imminente ritiro dei 6 Tornado tedeschi schierati a Mazar-i-Sharif, che hanno limitazioni simili, i jet italiani resteranno gli unici tra le forze alleate a non poter bombardare i talebani. Ciò significa che le truppe italiane, quando cadono nelle imboscate talebane e chiedono l’intervento dei jet (come è accaduto anche ieri nella battaglia che ha visto la morte di quattro alpini in Gulistan), vengono soccorsi dagli aerei alleati ma non italiani. Al tempo stesso i nostri aerei non sono in grado di “ricambiare il favore” soccorrendo con interventi risolutivi truppe alleate in difficoltà».

Intervista a pagina tre de LA STAMPA al ministro La Russa che incontrerà il generale Petraeus a Roma la prossima settimana.  Nell’intervista “La Russa: Possiamo lasciare Herat entro il prossimo anno”  il ministro della difesa ribadisce la strategia italiana «di addestrare gli afgani e di dare alla politica di Kabul la possibilità di gestire in proprio la loro polizia e il loro esercito» e conferma che i militari italiani non andranno da nessuna altra parte. Sulla questione dei bombardieri, La Russa ricorda di essere stato proprio lui a voler armare i bombardieri perché, spiega «in quel momento non era tatticamente indispensabile e nei rari casi in cui è stato necessario sono venuti gli aerei inglesi e americani a darci manforte. I nostri militari si sono sentiti a disagio nel non poter fare da soli».  LA STAMPA pubblica anche due interviste. Una a Ignazio Marino, che senza mezzi termini afferma la sua contrarietà a dotare i nostri caccia di armi e neppure, «nel caso in cui si dovesse capire che le condizioni sono cambiate», di mantenere le truppe. Nell’intervista “Marino: se è guerra io non ci sto più”, l’esponente del Pd dice anche che il tema della missione non spaccherà il centrosinistra. «Ci sono sensibilità diverse su questo tema, ma io credo che se le missioni sono di pace, si trova una linea comune. Se si parlasse invece di missione di guerra, allora no, non credo sia possibile una linea comune».  L’altra intervista è all’ex colonnello dell’esercito Usa e professore di relazioni internazionali e storia all’Università di Boston, Andrew Bacevich. «Se il fine è combattere il terrorismo» dice il professore nell’interista “Una guerra senza speranza. E’ meglio ritornare a casa”, «bisogna considerare che Al Qaeda è un fenomeno transnazionale, e l’idea che uno stanziamento militare massiccio e prolungato in un paese possa combatterla è semplicemente assurdo». L’Exit strategy passa dalla necessità dell’addestramento di un maggiore numero di truppe afgane. E’ quello sostenuto nel pezzo di Maurizio Molinari “Washington preme su Roma. Servono altri addestratori”. Questi i numeri: attualmente l’esercito afgano conta 134 mila uomini e la polizia non arriva a 110 mila. L’obiettivo è di arrivare ad un contingente complessivo di 305 mila militari ben addestrati.  Al momento ci sono 200 istruttori italiani. Secondo quello scritto da Molinari, Washington chiederà di aumentarli. «Il governo Berlusconi durante l’estete ha fatto sapere al Pentagono di essere pronto a raddoppiarli – portandoli a 400 – ma se Da

vid Petraeus sta arrivando a Roma, è perché questi numeri sono insufficienti: ne servono di più».

E inoltre sui giornali di oggi:

LIU XIAOBO
CORRIERE DELLA SERA – “Arresti domiciliari per la moglie del Premio Nobel”. Titolo a pie’ di pagina, la 15, per raccontare le poche notizie che filtrano da Pechino. E così si scopre che il premio Nobel per la pace è stato avvertito del riconoscimento dalle guardie carcerarie. Liu Xiaobo avrebbe detto di voler dedicare il Nobel alle vittime della repressione di piazza Tienanmen del giugno 1989. Intanto la moglie, senza alcuna accusa di reato, è stata messa agli arresti domiciliari, come informa Freedom Now.

TELEVISIONE
LA REPUBBLICA – R2 pubblica un’inchiesta su “La tv della paura”, ovvero la grande passione per la cronaca nera di chi dirige i tg in Italia. L’osservatorio di Pavia diffonde dati che Ilvo Diamanti commenta in modo puntuale: il tasso di crimini non è più alto che negli altri paesi europei, ma i tg italiani dedicano anche l’11% dello spazio alla nera (contro il 4% della Spagna, il 2% della Germania). Da noi la regola è la serializzazione e la drammatizzazione: «i crimini non solo hanno uno spazio quotidiano, ma vengono trattati – e sceneggiati – come fiction». Demos ha però chiesto agli italiani cosa li preoccupa di più: la criminalità preoccupa il 7,4% (mentre il 51,3 è interessato alla disoccupazione)…

BANCHI SPONSORIZZATI
IL GIORNALE – Dopo aver pubblicato il commento di Marcello D’Orta  sull’idea di aver a scuola banchi e lavagne pagati da aziende, il giornale scrive la notizia «lanciata dalla provincia Barletta-Andria-Trani  che a Roma diventa realtà quando è prevista la consegna dei primi banchi firmati  dallo storico Bara “lo zio d’america”, dei supermercati Sir, della ditta edile Parnasi, della Cam, Antonelli e di una cooperativa sociale. Un centro anziani pagherà le gite dei “nipotini” con una donazione di  2mila euro».

IMMIGRAZIONE
LA STAMPA- “L’Europa perde i clandestini“. Secondo le stime di Bruxelles pubblicate nel dossier a pag 15, i clandestini calano del 25%.  Il numero dei clandestini entrati nel perimetro dei Ventisette è sceso a 40.977 nei primi sei mesi, il 23% rispetto all’equivalente periodo del 2009. Secondo l’analisi, oltre il deterrente della crisi, funzionano le intese con gli Stati Africani affacciati sul mediterraneo. 

COREA DEL NORD
CORRIERE DELLA SERA – Bel reportage da Pyongyang a pag. 15. Marco Del Corna racconta: “Ovazione per il Giovane Generale. La Nord Corea si inchina all’eroe”. Una grande parata legittima il figlio di Kim Jong-Il. Il regime ha invitato i giornalisti occidentali allo show per l’investitura di Jong-Un.

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