Non profit

Afghanistan, il dolore e le parole

Distinzioni e polemiche dopo la morte dei militari italiani

di Franco Bomprezzi

Ancora morti, ancora lutti italiani in Afghanistan. Un brusco richiamo alla difficile realtà della nostra missione “di pace” in un Paese nel quale la violenza è ancora cronaca quotidiana, e la pressione dei talebani fortissima. I giornali raccontano i fatti, ma soprattutto le ripercussioni politiche in Italia.

“Afghanistan, morte sul blindato”: apre così LA REPUBBLICA che nel sommario aggiunge: “Bomba uccide 2 soldati italiani. Altri 2 gravi: c’è anche una donna”. I servizi da pagina 2. I quattro italiani erano  sull’ottavo mezzo della lunghissima fila partita da Herat (il convoglio composto da mezzi italiani afgani e spagnoli: doveva raggiungere la base della provincia di Badghis per operazioni congiunte con gli americani). Al volante del Lince colpito ieri alle 9 ora locale era il sergente Massimiliano Ramadù, accanto Luigi Pascazio, caporalmaggiore: sono stati investiti in pieno da una bomba improvvisata probabilmente azionata da un telecomando. Feriti gravemente la radiofonista Cristina Buonacucina (lesioni alle vertebre) e il mitragliere Gianfranco Scirè. In appoggio due approfondimenti sui soldati uccisi. “Lo strazio del padre «Luigi, un ragazzino mandato a combattere»”: a parlare è il padre (poliziotto) del pugliese 25enne Luigi Pascazio. «È un dolore per ogni uomo con un cuore, per ogni uomo che crede nel sacrificio per la patria, per ogni uomo che crede negli ideali, che a dare un contributo piccolo o grande possa servire a migliorare il mondo anche con la propria vita»: è il testo dell’sms che la famiglia Pascazio ha diffuso agli amici. Da Latina invece “Mancavano volontari Massimiliano costretto a partire in missione”. Lo spiega la moglie di Massimiliano Ramadù: «Me lo sentivo, avevo un presentimento, uno pensa sempre che queste cose succedano solo agli altri e invece io avevo paura, lo sapevo che Massimiliano era in pericolo». Uno degli zii spiega che il sergente non avrebbe voluto partire (sposato da poco, voleva stare con la moglie) ma che era stato costretto dalla mancanza di volontari tra gli sminatori. Un commento è affidato a Enaiatollah Akbari, il ragazzo afgano protagonista del libro di Fabio Geda “Nel mare ci sono i coccodrilli”. Afferma Akbari: «sono passati quasi dieci anni da quando sono arrivati gli occidentali e non si vede ancora la luce. Ogni speranza è svanita. Ora vivo in Italia, al sicuro. La guerra qui sembra lontana, fino a quando non arrivano le notizie di vittime italiane. Purtroppo è così che potete capire come ci sentiamo noi, in Afghanistan». Un secondo commento di Guido Rampoldi, “Quale strategia per Kabul”. Alla Nato va male, sottolinea, ma ai talibani va anche peggio. Gli americani hanno annunciato la loro uscita entro il 2013, dando però l’impressione di una fuga.

“Trappola talebana per gli alpini”, titola il CORRIERE DELLA SERA in apertura. Fra i commenti grande evidenza all’intervento di Franco Venturini: “I segnali sbagliati ai terroristi”. Scrive Venturini: «Karzai si sente minacciato e tenta di smarcarsi dagli occidentali, continuano a morire troppi civili afghani, i telebani resistono bene e possono permettersi di aspettare o di rendere carissimo in termini di immagine e di credibilità il ritiro occidentale. Ma è in questa prospettiva che ci si muove tentando di non dare il segnale sbagliato al terrorismo internazionale. Fingere di ignorarlo o chiedere di riflettere per guadagnare qualche consenso diventa allora un imbroglio. Soprattutto se non vengono avanzate proposte alternative. Soprattutto se si dimentica che mentre tutti guardano l’euro anche l’Afghanistan si pone come prova cruciale per i principali paesi europei e per l’alleanza della quale fanno parte». Il CORRIERE  a pag 5 intervista il ministro degli esteri Franco Frattini che dice “colpiremo le basi terroriste”. E aggiunge: «Missione fondamentale. Si era sottovalutato l’effetto formidabile dell’apertura di scuole e ospedali. A Herat, di ospedali, ne abbiamo riammodernati due. A Herat è cominciata anche la reintegrazione dei talebani». Nessuno spazio sulle colonne del CORRIERE alle voci contrarie alla missione.

 Sull’Afghanistan intervento di Gian Micalessin che scrive su IL GIORNALE: « A ogni caduto il vecchio ritornello « c’è un morto, corriamo via». Chi ogni volta approfitta di un cadavere dilaniato per trasformare il dolore in opportunità politica dovrebbe chiedersi  se nelle proprie dichiarazioni ci sia  più cinismo  o più compassione. Noi gli chiediamo se gli sia mai passato per la testa di ritirare i carabinieri dalla Sicilia dopo l’assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa o di chiudere i tribunali dopo quello di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.  Il no sarà ovvio, ma  è la chiave per capire quanto la lotta ai talebani somigli a quella alla mafia. La chiamiamo guerra ma è una sfida più ampia. Al pari di quella  alla cupola, non sarà chiusa da un trattato di pace perché non è uno scontro fra eserciti rivali, ma fra visioni del mondo».  E poi «In Afghanistan  la guerra vera è stata già vinta nel 2001, da allora i talebani colpiscono nell’ombra, impongono il pizzo, le proprie leggi e le proprie ritorsioni solo nelle zone dove mancano l’esercito afgano e i suoi alleati occidentali. Anche i 24 morti italiani di questo conflitto ricordano molto di più il bilancio di un’operazione di polizia che non quello di una guerra come il Vietnam dove solo 40 anni fa l’America registrava centinaia di morti in una singola giornata di combattimento». E infine Micalessin conclude: «Le nostre truppe dovranno restarci fino a quando l’esercito afgano non sarà in grado di impedire la presenza dei talebani, fino a quando le scuole non verranno più bruciate e le studentesse sfregiate con l’acido, fino a quando tutti gli afgani obbediranno alle leggi di Kabul e non alle intimazioni degli insorti».

“La marcia della guerra”, è il titolo del MANIFESTO, con un chiaro richiamo alla marcia della pace Perugia-Assisi «silenziata dai media», secondo il quotidiano. Il servizio è alle pagine 8-9, con un pezzo di Emanuele Giordana da Perugia che registra le posizioni della società civile afghana, così come è emersa nel corso di un dibattito alla Perugia-Assisi “Dialogo, con tutti. Soluzione militare impraticabile”: «Najila Ayubi, che il coordinamento delle donne afgane ha inviato alla Perugia Assisi su invito  della Tavola della pace e del network di “Afgana”, si spiega meglio: “C’è un’assoluta mancanza di sintonia tra quello che sta facendo il governo afgano e chi prepara l’imminente lancio di un’offensiva al Sud.” (…) “Mio padre e mio fratello sono stati uccisi dai mujaheddin. Io sono stata vessata dai talebani. I signori della guerra ci hanno portato via terra e beni. Certo che vorrei rivendicare le mie proprietà, vedere questa gente in tribunale pagare i crimini commessi,  ma so che in Afghanistan tutti hanno le mani sporche di sangue. E che dunque anche con questa gente, talebani compresi, bisogna negoziare, trattare….”. (…) L’Afghanistan è un Paese che cerca la pace ma che il negoziato, insistono gli ospiti  afgani, “non può essere solo simbolico. Deve aprirsi a tutte le forze e contemplare la presenza attiva delle donne, anche per difenderne il ruolo in futuro”. Un ruolo che resta debole anche perché la  società civile interessa poco, inascoltata, sottofinanziata, indifesa,  abbandonata a se stessa».

Fotonotizia in prima, commento a pagina 16 e servizi a pagina 11 per il SOLE 24 ORE sulla morte dei due alpini in Afghanistan. Oltre alla ricostruzione dell’accaduto, il giornale di Confindustria si concentra sulla presenza femminile in Afghanistan. Uno dei feriti, infatti, è Cristina Buonacucina, 27 anni, caporale. In tutto sono l’8% le donne presenti nell’esercito italiano. Al fronte sono 86 su 3200, di cui 82 nell’esercito e e 4 nell’Aeronautica. Ricoprono ogni tipo di ruolo e, a differenza di altri eserciti, le donne italiane in uniforme sono impiegate anche in prima linea. Il quotidiano spiega inoltre l’importanza della zona in cui è avvenuto l’attentato. Bala Murghab – questo il nome della destinazione verso cui stava viaggiando il convoglio colpito – è infatti un importante e pericoloso avanposto del contingente Isaf, fondamentale in previsione dell’offensiva prevista per questa estate alle truppe talebane. Chiude il commento del direttore dal titolo più che esplicativo: “Il silenzio prima di tutto”. «Come doveroso – si legge nel commento – il ministro La Russa riferisce oggi in parlamento su quanto accaduto a Herat. Su dinamiche, mezzi, dislocazione delle forze. Oggi è il giorno per parlare. Ieri qualcuno avrebbe fatto meglio a tacere».

ITALIA OGGI dedica un articolo di Emilio Gioventù all’attentato in cui hanno perso la vita due militari italiani “Afghanistan, altro sangue italiano”. Oltre alla cronaca sono registrate tutte le reazioni alla notizia. «Sono le 8.57 quando si leva il primo commento in patria. È quello del ministro per la semplificazione, Roberto Calderoli: «Al di là della perdita di vite umane che fanno spaccare il cuore, bisogna verificare se i sacrifici servono”. Parole che chi segue il chiacchiericcio della politica non s’aspetta perché Calderoli è un esponente di punta della Lega. A prevederne la portata è Umberto Bossi che, infatti, interviene e dice: “Io non penso che possiamo scappare. Questa decisione sarebbe sentita dal mondo occidentale come una fuga difficilmente spiegabile e probabilmente avrebbe delle conseguenze gravi sul governo”. Si va avanti così. Con la voce delle istituzioni a dire ciò che in questi momenti t’aspetti. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, esprime cordoglio per le vittime italiane ma al tempo stesso ribadisce «la fondamentale importanza della missione in Afghanistan per la stabilità e la pacificazione di un’area strategica». Sentito il cordoglio del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: “Provo profonda emozione per le vittime”. E c’è la voce dalla quale devi avere spiegazioni e alla quale devi affidarti per comprendere i perché dell’ennesimo dramma che colpisce l’Italia fiera dei suoi soldati. È la voce del ministro della difesa, Ignazio La Russa che dice che l’Italia non farà alcun passo indietro prima della data del rientro fissata per il 2013. “Oggi abbiamo ritenuto e continuiamo a ritenere che il rischio sia connesso all’importanza della missione. C’è sempre un prezzo in queste missioni internazionali e questo ci rende consapevoli della gratitudine che dobbiamo ai nostri militari. Ma questo non ci fa deflettere sulla opportunità, sulla necessità, sulla valutazione politica di partecipare a missioni internazionali che hanno lo scopo di rendere più vicina la pace, di costruire una situazione di equilibrio e allontanare il terrorismo dalle nostre nazioni, dalle nostre città e dalle nostre case”. I presidenti di Camera, Gianfranco Fini, e Senato, Renato Schifani, sono al fianco dei militari schierati a favore di una missione che deve continuare». Spazio anche all’opposizione. «Per Antonio Di Pietro “non è giornata di polemiche”, ma è comunque il momento opportuno per dire che in Afghanistan “sono venute meno le ragioni per cui la comunità internazionale ha deciso di inviare truppe”. Anche il Pd dice la sua «Pier Luigi Bersani esprime cordoglio a nome del Pd ma sente “l’esigenza di una riflessione sulla missione”. Dalle parti del Partito democratico si è era levata poco prima la voce di Rosy Bindi. identica a quella del suo segretario a chiedere che presto «deve venire anche il momento della responsabilità”. Su tutto il dolore e la rabbia dei familiari dei soldati uccisi: “Almeno il loro sacrificio serva a qualcosa”».

“Obiettivi più chiari per la coalizione”. Su AVVENIRE, che dedica tre pagine all’attentato di ieri a Herat, spicca l’intervista alla politologa Elisa Giunchi, autrice di “Afghanistan. Storia e società nel cuore dell’Asia”. Sottolineando come Washington abbia capito troppo tardi quanto pesa su Kabul l’influenza del Pakistan, la Giunchi afferma che «offensive come quella nell’Helmand non possono far sparire i taliban, ma semmai obbligarli al tavolo negoziale in una situazione di debolezza». In quanto alla posizione dell’Italia, la Giunchi sostiene che «dovrebbe pretendere obiettivi strategici finali chiari e tenere alto il dibattito pensando al quadro generale. E poi, per attrarre i taleban non ideologizzati, puntare a politiche di ricostruzione nel medio periodo in aree sicure». La pagina dedicata ai commenti dei politici nell’articolo “il Palazzo è (quasi) compatto: è il momento della coesione” AVVENIRE sottolinea che sul ritiro Di Pietro resta solo, riportando in particolare le reazioni di Napolitano, Schifani, Fini e del presidente della Consulta Amirante .

“Herat, uccisi due alpini” titola in prima pagina LA STAMPA, che apre con le prime cinque pagine dell’edizione di oggi sull’attentato in Afghanistan. Da segnalare il “taccuino” di Marcello Sorgi sulle reazioni della Lega, titolo. “Perché Bossi non vuole lasciare Kabul”, in cui il giornalista punta l’attenzione sulla «cautela e tempestività con cui Bossi ha voluto chiudere subito il nuovo fronte aperto dall’ambigua presa di posizione di Calderoli, che nuovamente (lo aveva già fatto in occasioni simili, ma con l’avallo del Senatur) aveva messo in dubbio l’opportunità dell’Italia di mantenere i propri impegni nelle missioni internazionali. Bossi non solo ha preso chiaramente posizione per ricordare che il governo non può decidere unilateralmente di ritirarsi, ma ha chiaramente spinto il suo ministro a fare lo stesso, in modo che nel giro di un pomeriggio il problema è rientrato, prima di provocare nuovi attriti con gli alleati». La spiegazione della svolta di Bossi in politica estera, scrive Sorgi, è tutta domestica: la Lega è impegnata in questi giorni a dimostrare a Berlusconi che solo la Lega è un alleato affidabile e che l’allargamento vagheggiato all’Udc non sia affatto necessario.

E inoltre sui giornali di oggi:

GAY
LA REPUBBLICA –  La Carfagna si pente, si corregge e chiede scusa («all’inizio sono stata guidata dal pregiudizio nei confronti delle vostre istanze»). È avvenuto ieri al Quirinale alla presenza di Napolitano che a sua volta ha sottolineato: «I diritti degli omosessuali non riguardano solo gli omosessuali. Sono i diritti di tutti. E tutti si devono impegnare per il loro riconoscimento».

ASSEGNI DI INVALIDITA’
CORRIERE DELLA SERA – “Assegni di invalidità, revocato uno su cinque”, è il titolo dell’approfondimento di Mario Sensini: «Il governo conferma la stretta sulle pensioni di invalidità nell’ambito della manovra per la correzione dei conti pubblici 2011-2012, e assicura che non saranno tagliati i salari dei dipendenti del settore pubblico… «Ci sono decine di migliaia di false, finte o non dovute pensioni di questo tipo: è necessario dare una stretta, con molta attenzione ai criteri di assegnazione e con controlli ben precisi» ha detto Brunetta. Del resto, la spesa per gli assegni di invalidità, corrisposti alla bellezza di 2,7 milioni di cittadini (quattro volte di più che in Francia e Germania) è letteralmente esplosa negli ultimi anni, arrivando ad oltre 16 miliardi di euro, un punto di prodotto interno lordo. Negli ultimi cinque anni, ha detto il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, pochi giorni fa in Parlamento, la crescita è stata del 36,4%. Colpa, a suo dire, del federalismo incompleto: dal 2001 la competenza sulla concessione e gli accertamenti dei requisiti è passata alle Regioni, ma a pagare è rimasto lo Stato. L’anno scorso il governo ha messo la prima toppa: le domande oggi vanno presentate all’Inps e non più alle Asl, le cui Commissioni mediche sono state integrate dai medici dell’istituto, che oggi può fare le verifiche. E i risultati si sono visti. L’anno scorso l’Inps ha scovato una marea di falsi invalidi, revocando il 17% delle 200 mila pensioni verificate (con punte del 29% in Basilicata e del 25% in Campania)». 

CONSUMI
IL GIORNALE – L’associazione Casa dell’Amicizia  che a Milano da 40 anni  offre pranzo e sostegno ai senzatetto promuove la campagna “il buono che avanza”. Si tratta della  doggy bag, la sportina  che contiene ciò che non si consuma al ristorante. Coinvolto anche il Comune di Milano. Per ora  sono 15  le adesioni nel capoluogo milanese, riconoscibili dal cartello esposto “in questo locale non si spreca”.

ACQUA
IL MANIFESTO – Raggiunto il mezzo milione di firme. Un vero record, in appena un mese. Il commento in prima di Ugo Mattei: «Il primo mezzo milione di firme è un segno che va oltre l’acqua. Dimostra che rispetto, inclusione, condivisione e pace possono prosperare soltanto all’interno di un settore pubblico efficiente, attento al bene comune e colluso con gli interessi privati. Sostiene Ronchi che solo i privati possono apportare i 4-5 miliardi annui necessari per ristruttura i nostri acquedotti e che quindi la loro gestione “va messa a gara”. (..) In un paese in cui non dominasse il Caimano si metterebbe a gara lo spettro delle frequenze, che rende oggi alla collettività 50 milioni l’anno, a fronte dei 5 miliardi di sterline che la Gran Bretagna vi ricava annualmente. Ecco qui oltre quattro miliardi di denaro pubblico per riparare gli acquedotti, cui aggiungerne immediatamente un altro abbondante da dare magari alla scuola: quello che ci costa la carneficina afghana».

UNIVERSITA’
LA STAMPA – “Via ai baroni, largo ai giovani”. Il Pd propone la pensione anticipata a 65 anni per assumere migliaia di ricercatori, scrive nel sommario del primo piano a pagina 16 LA STAMPA. La proposta è il primo dei dieci capitoli che compongono uno dei cinque documenti messi ai voti sabato dall’assemblea del Pd sui temi cardine del “Progetto Italia”: lavoro, università, riforme e giustizia, Europa e Green economy. La bozza sull’università è pronta e arriva in un momento di tensioni nel mondo accademico, con 50 mila precari e giovani ricercatori che minacciano di sospendere le attività didattiche. La proposta del Pd punta ad abbassare di 10 anni l’età media dei docenti. A metterla a punto è stata Chiara Carrozza, 45 anni, presidente del Forum Università Saperi e Ricerca del Pd e direttore della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Intervistata da LA STAMPA, Sugli over 65 dice: «Chi ha una vita professionale molto attiva può anche restare. Le formule si trovano. Ma tutti gli altri è giusto che vadano in pensione. In una situazione di crisi non accetto che i sacrifici siano tutti e soltanto da parte dei giovani. Anche gli ultrasessantenni devono fare la loro parte».

CHIESA
AVVENIRE – “La sosta e la chiamata”. Così titola il quotidiano cattolico l’editoriale di Marco Tarquinio dedicato alla preghiera dei 200 fedeli in piazza San Pietro che domenica hanno pregato con il Papa. Tante persone di ogni età e condizione sociale che rappresentavano «la parte visibile di una realissima e quasi inconcepibile “rete” della quale il mondo, dopo duemila anni di cristianesimo, ancora non si capacita. Una moltitudine capace di esprimere l’unità e la ricchezza della galassia di associazioni e movimenti che contribuisce ad animare la Chiesa italiana». All’interno, AVVENIRE dedica tre pagine all’evento, con interventi di Giuliano Ferrara (“Originalità e silenzio: lo stile di una folla senza polemiche”), Piero Ostellino (“Ci hanno ricordato di essere in debito con i valori cristiani”) e Giorgio Israel (“Il contributo al nuovo umanesimo”). 


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