Famiglia

Afghanistan, dal nord sino a Kandahar. Poca acqua, meno veli

Quello della siccità sta per diventare il problema numero uno del Paese. In compenso per le donne qualcosa cambia. Siamo entrati in una scuola, tra tante ragazze piene di allegria.

di Nino Sergi

Maimana e Kandahar, Afghanistan
Maimana, a nord, ai confini col Turkmenistan. Vi ero stato nello scorso gennaio quando, sotto la neve, i nostri operatori di Intersos stavano distribuendo alimenti a una popolazione colpita da tre anni di siccità. Il rapporto con quella popolazione è divenuto ormai molto solido: è la cosa che più mi ha colpito.
Cibo, acqua, educazione: sono i tre campi in cui stiamo intervenendo e che ci hanno fatto conoscere e apprezzare questa gente. Aver portato l?acqua potabile in villaggi che dovevano procurarsela a qualche ora di cammino, aver ricostruito due scuole per più di quattromila ragazze dai 7 ai 19 anni, essere impegnati in altri importanti programmi per l?acqua e per l?educazione, aver coinvolto in un rapporto di fiducia e di amicizia centinaia di persone, sentirsi accolti e protetti da un profondo e sincero senso dell?ospitalità e della fratellanza? sono fatti che rendono Intersos una parte di questa comunità.
Qui la povertà è estrema. La siccità ha ucciso il bestiame per il 90%. Alcuni villaggi posseggono uno o due buoi che, a turno, passano da famiglia a famiglia per l?aratura dei campi, quasi tutti in aree collinose. La vita si ripete, identica, da centinaia di anni, con il minimo essenziale per la sopravvivenza. La terra delle case si confonde con la terra sabbiosa tutt?intorno. Terra arida, fiumi secchi o salati, nessun albero. Tutto è prezioso: i rari arbusti e lo sterco delle capre e delle pecore da usare come combustibile; la terra, mescolata all?acqua e alla paglia per costruire una nuova casa per i figli grandi; la lana delle pecore e delle capre per fare i tappeti o per riempire le trapunte; la farina di grano per fare il pane, che ha la forma piatta della nostra pizza e che, accompagnato dal tè, rappresenta il cibo principale, talvolta l?unico?
Il Faryab è una delle province dell?area di influenza del generale Dostum. Andando verso Mazar-e-Sharif, più a nord-est, si possono vedere i suoi carri armati, nemmeno troppo nascosti dietro ai muri di cinta, ben oliati, pronti a essere utilizzati in caso di necessità. Sono segni chiari che il cammino di pacificazione iniziato è ancora incerto e lungo.
Le insegnanti e le allieve delle due scuole femminili di Maimana hanno (come tutte le donne afghane) un doppio modo di mostrarsi: uno dentro il recinto della scuola, l?altro fuori. Nella scuola dedicata a Maria Grazia Cutuli era stata preparata una cerimonia alla presenza del governatore, dei notabili, delle insegnanti e delle allieve. Le insegnanti hanno gestito con grande libertà e sicurezza, davanti agli uomini e perfino a noi stranieri, tutti i momenti della cerimonia, per nulla intimidite, un foulard sulla testa in modo alquanto disordinato. Le ragazze nel cortile hanno manifestato allegria, chiacchierando e divertendosi di fronte a tutti, composte ma libere. Al momento dei saluti, ci spostiamo tutti verso l?uscita. Solo allora sono ricomparsi i burqa, tenuti sollevati sul capo fino a pochi metri dal cancello e abbassati per varcarne la soglia e uscire in strada.

Kandahar. Qui è l?acqua il problema numero uno di queste regioni meridionali. Fino a qualche anno fa i fiumi, con lo sciogliersi delle nevi, fornivano l?acqua indispensabile per l?irrigazione, che veniva anche raccolta e conservata. Ora sono secchi o hanno accorciato di molti chilometri il loro letto. Anche le popolazioni che vivevano lungo tutto il loro percorso sono state costrette ad abbandonare la terra per risalire dove ancora arriva l?acqua. La falda utilizzata è quella semi profonda, a 35-40 metri, che si abbassa di almeno un metro e mezzo l?anno. Il rischio di un suo esaurimento in tempi ravvicinati, se le piogge continuano a non superare i 30 millimetri l?anno, è molto grande.
Ma l?acqua è un bene troppo prezioso e nessuno è pronto a cedere ad altri quel poco che ha. È facile immaginare quali conflitti potrebbero scatenarsi. Ancora poche sono purtroppo le orecchie attente alle grida di allarme che da qualche anno si sono levate da parte di organizzazioni non governative. L?acqua è quindi uno dei nostri campi di attività nella regione. Oltre ad assicurare acqua potabile alla popolazione residente e alle decine di migliaia di profughi ancora presenti in vari distretti (attività che stiamo sviluppando sia nella provincia di Kandahar che in quella adiacente di Helmand), occorre quanto prima realizzare uno studio approfondito sulla realtà idrogeologica dell?area, quantificando la falda sotterranea, le sue dinamiche, le sue riserve e conoscere quindi l?entità del problema.
L?altra attività che ci vede molto impegnati è l?organizzazione, l?assistenza alle persone e il coordinamento delle attività di un grande campo profughi per 40mila persone, suddiviso in unità di 5mila persone ciascuna. Si tratta prevalentemente di profughi, provenienti dal confine pakistano nella direzione di Quetta, che ancora non possono fare ritorno ai villaggi per ragioni economiche o politiche. Tra loro vi sono infatti migliaia di pashtun e di nomadi kuci fuggiti dalle province del Nord e che non si sentono ancora sicuri per tornare.

In Afghanistan ho fatto visita ai 36 operatori umanitari di Intersos che, in collaborazione con più di 500 operatrici e operatori afghani, stanno contribuendo alla ricostruzione del Paese. Ho potuto verificare come la popolazione corrisponda poco agli stereotipi che circolano in Occidente; è fiera di sé, del suo gruppo etnico, delle sue tradizioni, vendicativa di fronte alle ingiurie e alle offese, e contemporaneamente è profondamente umana, disponibile, generosa, ospitale e fedele. Con essa i nostri operatori stanno condividendo il difficile cammino della speranza.

Info:
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