Famiglia
Affinati: i ragazzi cercano esperienze reali, l’artificiale li fa scappare
«Se non dimenticheremo ciò che ci è mancato di più, la forza incommensurabile dei rapporti diretti, la promiscuità degli incontri, la medesima talvolta vituperata animazione collettiva, allora forse potremo mettere a frutto i momenti tristi e scabrosi che abbiamo affrontato». L'intervento del fondatore della scuola Penny Wirton
Chi avrebbe mai pensato che l’interruzione delle attività scolastiche per l’intero secondo quadrimestre di quest’anno, nel contesto del più generale confinamento imposto dall’epidemia del Coronavirus, peraltro esteso a gran parte del mondo, sarebbe stata così drammatica e lacerante, fino al punto di soffocare l’entusiasmo di Pinocchio in partenza per il Paese dei Balocchi? Adesso molti si chiedono quali conseguenze potrà avere tale stop planetario nella psiche collettiva e, per restare nell’ambito strettamente pedagogico, come cambierà la relazione educativa fra giovani e adulti. Almeno sulla carta la consapevolezza di una vulnerabilità comune dovrebbe aver smussato la sicumera di quanti, negli ultimi anni, sedotti e lusingati dal consumismo più sfrenato, si erano creduti invincibili e autosufficienti. Ma, tutto sommato, non sarei così convinto. Come recita il salmista: “L’uomo nel benessere non comprende, è simile alla bestia destinata al macello”. Temo che basterà recuperare un minimo di agibilità per ritrovare la vecchia improntitudine di un tempo. Tuttavia voglio sperare che, almeno in taluni individui, i più sensibili e consapevoli, questo periodo non sia passato invano: se non dimenticheremo ciò che ci è mancato di più, la forza incommensurabile dei rapporti diretti, la promiscuità degli incontri, la medesima talvolta vituperata animazione collettiva, allora forse potremo mettere a frutto i momenti tristi e scabrosi che abbiamo affrontato.
Oggi siamo tutti assetati d’umanità, desiderosi di ritrovare la spensieratezza dei comportamenti sociali perduti. Assomigliamo a piante secche alle quali è stata tolta l’acqua: cos’altro è la pratica dell’amicizia, ad esempio, se non camminare insieme attraversando una comune vegetazione? Il compito dell’educatore comincia ora: per risalire dal fondo della scarpata in cui siamo precipitati sarà necessario prima recuperare, poi consolidare, negli occhi degli adolescenti che ci verranno affidati, il senso di smarrimento da loro provato nel momento in cui si sono sentiti messi sotto scacco, fuori dal circuito dialettico del gruppo di sodali e senza neppure il necessario confronto istituzionale. È paradossalmente dall’atrofia di quella solitudine che dovremo saper ricavare gli strumenti per tornare a vivere in comunità. Come se il vuoto attraversato avesse lasciato dentro ognuno di noi una cicatrice di nuova imprevedibile sensibilità predisponendoci ad apprezzare assai più di quanto fossimo abituati a fare la qualità degli incontri personali. La medesima apparente ordinarietà della vita quotidiana. Sta già succedendo a molti fra noi: esci di casa, fai quattro chiacchiere al bar, discuti coi colleghi, bevi un caffé al bar. Sembra tutto nuovo: perché non ci avevamo pensato prima? La sensazione assomiglia allo “straniamento” che il grande critico russo Viktor Borisovič Šklovskij riteneva dovesse essere la dote essenziale imprescindibile dello scrittore. Saper guardare la realtà con occhi sfasciati, come se la vedessimo per la prima volta, consente di rendere più intense le percezioni mentali. Riuscire a conservare tale attitudine conoscitiva introduce all’arte della vita post Covid-19. Tale conquista potrebbe rinnovare i modelli dell’istruzione nazionale.
Diciamo la verità: la didattica online, oltre a rivelare ancora una volta il divario digitale, fra le famiglie attrezzate e quelle prive di reti wifi, ricollocando nel ventunesimo secolo il vecchio tema dell’ingiustizia sociale, è stata solo un misero manichino della vera scuola, la quale non può vivere senza la presenza fisica del maestro in mezzo agli allievi, pronto ad assumere la responsabilità dei loro sguardi e capace di entrare in azione come guida sapiente e caparbia, in grado di condurli verso la meta conoscitiva. L’accelerazione tecnologica obbligata, seppure diseguale, che stiamo vivendo, sarà positiva se riusciremo a modificare la nostra modalità didattica, aggiornandola ai nuovi stili che la rivoluzione informatica determina. Se invece continueremo a replicare, come se niente fosse accaduto, i vecchi schemi valutativi — spiegazione, compito da assegnare, controllo delle nozioni apprese, giudizio da formulare — allora questa rivoluzione non sarà foriera di un vero cambiamento. Produrrà anzi una rigidità precettistica legata all’accertamento di competenze formali di cui potremmo sinceramente fare a meno.
Al contrario, il tempo sospeso della pandemia dovrebbe spingerci a riformulare le condizioni dell’esperienza formativa che oggi appare ancora più necessaria di ieri. I ragazzi hanno bisogno di modelli che scaturiscano da azioni concrete, senza la comoda rete di protezione assicurata dagli schermi grandi e piccoli, altrimenti si corre il rischio di alterare la realtà, rendere artificiale il linguaggio, piombare nel vicolo cieco del narcisismo autoreferenziale. Insomma in certi casi bisogna sbattere la testa contro il muro, disponendosi a pagare il prezzo del risarcimento quando si commettono errori e danni. Soltanto così può avvenire una vera crescita interiore. Nei periodi di crisi diventa più facile sperimentare: approfittiamone per progettare una scuola nuova.
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