Famiglia

Affido internazionale, la via di mezzo

In Parlamento una misura fra adozione e assistenza in loco

di Benedetta Verrini

Ecco cosa prevede il testo depositato dal senatore Pdl, Antonino Caruso. Favorevole l’Aibi Per i piccoli sopravvissuti al terremoto di Haiti sembrano esistere due sole possibilità: sopravvivere nel loro Paese oppure essere allontanati per sempre e diventare cittadini di un’altra nazione, attraverso l’adozione internazionale. L’opinione pubblica è spaccata, anche perché la dimensione dell’emergenza è sconvolgente: secondo stime Unicef, i minori presenti nell’area intorno all’epicentro del terremoto erano 1,8 milioni. Al momento è molto difficile stabilire quanti, tra i sopravvissuti, siano rimasti completamente soli, ma è certo che già prima del sisma almeno 50mila bambini erano ospiti di istituti, altri 50mila erano orfani di entrambi i genitori, 4mila erano bambini di strada. Tra loro, circa 2mila all’anno erano vittime della tratta: fenomeno che ora, tra la confusione e le macerie, rischia di toccare livelli esponenziali.
Tra il portarli via dall’inferno o il garantire loro una protezione in loco esiste una terza soluzione? Secondo molte organizzazioni e secondo alcuni senatori italiani esiste: è l’affido internazionale. Il 20 gennaio il senatore Pdl, Antonino Caruso, insieme ai colleghi Massimo Baldini e Laura Allegrini (entrambi Pdl), ha depositato in Senato il disegno di legge «Disposizioni in materia di affidamento in via eccezionale di minori stranieri, di nazionalità haitiana, a famiglie residenti in Italia». «È una proposta che si muove nel rispetto delle autorità haitiane e delle famiglie dei bambini», spiega Caruso. «Riteniamo che l’ospitalità possa essere la via meno definitiva e di più facile e immediata attuazione per aiutare davvero questi minori». Il ddl non è ancora stato assegnato, «ma potrebbe essere approvato anche entro un mese». A favore dovrebbe esserci sicuramente la presidente della Bicamerale Infanzia, Alessandra Mussolini, che il primo febbraio, ospite di Porta a Porta, ha espresso il suo appoggio all’ipotesi dell’affido internazionale. La preoccupazione, per i proponenti, è fare qualcosa di concreto evitando la – inevitabile – burocrazia degli aiuti e della cooperazione internazionale, che nelle prime ore non ha brillato per organizzazione. «Se questi bambini fossero in Italia e si trovassero in un’emergenza, privi di genitori, cosa faremmo?», sottolinea Marco Griffini, presidente di AiBi, «li accoglieremmo senza indugio in una sfera di tutela temporanea, attraverso i servizi e le famiglie accoglienti. Perché i bambini haitiani non devono avere gli stessi diritti? E perché i bambini che erano orfani già prima del terremoto non possono finalmente essere accolti in una famiglia?».
La disponibilità delle famiglie italiane è enorme: 6/7mila coppie, cita il ddl Caruso, tra famiglie candidate all’adozione e famiglie disponibili all’accoglienza temporanea. Ma una regolamentazione dell’affido internazionale è indispensabile perché, come sottolinea Raffaele Iosa, presidente di Avib, la federazione che raccoglie 50 associazioni impegnate nei soggiorni terapeutici, «nella nostra lunga esperienza con i bambini bielorussi – ma non solo: nel corso degli anni sono stati accolti anche sahrawi, palestinesi, croati, osseti, lituani – non si realizza un vero e proprio “affido”, ma un’ospitalità familiare temporanea».
Il Comitato Minori stranieri, l’organismo preposto alle autorizzazioni e al controllo sul soggiorno terapeutico, non è organizzato e non ha le procedure per gestire un’accoglienza d’emergenza. Per questo motivo, anche il ddl rimette la responsabilità in capo alla Cai, alle organizzazioni coinvolte nella cooperazioni e alle rappresentanze diplomatiche. «Questi bambini hanno diritto a poter costruire un progetto di vita nella loro patria», sottolinea Iosa. «Detto questo, pensiamo comunque che per un certo numero di loro, sia con famiglia che orfani, sia utile uscire, per un certo periodo, dal cratere di Haiti». Come tante associazioni, anche gli enti dell’Avib si offrono per ospitarli, «meglio in strutture comunitarie come scuole, alberghi e parrocchie».


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