Famiglia
Affidi, Italia datti una mossa
Basso sostegno alle famiglie. E servizi non conformi ai nuovi bisogni. Così, in attesa di una svolta con le nuove Linee guida, i numeri restano ancora ridottissimi.
Il prossimo 6 maggio la legge 184 del 1983, la norma che ha rivoluzionato il sistema di tutela dei minori in Italia, compirà 25 anni. E in questo periodo, per usare le parole di Luigi Fadiga, un giudice che di bambini si è occupato per tutta la carriera, «la parte che riguarda l?adozione ha dato frutti molto positivi, ma lo stesso non si può dire, malgrado numerosi tentativi, di quella relativa all?affidamento familiare». Un giudizio severo ma ben motivato: un conto, sottolinea Fadiga, sono le buone leggi. Tutta un?altra storia sono poi l?applicazione amministrativa, la collaborazione della magistratura, l?organizzazione dei servizi e la disponibilità finanziaria.Con circa 25mila minori fuori dalla famiglia, l?Italia dell?affido è oggi un Paese a più facce, con punte di eccellenza là dove si investe sui servizi e già si sperimentano nuovi strumenti di accoglienza (affidi di neonati, affidi interculturali, progetti madre-bambino e di buon vicinato), accanto a situazioni di totale disarmo, dove l?assenza dei servizi si ripercuote e amplifica l?emergenza sociale.
Le prime della classe
«Per un ente locale investire sull?affido è una scelta prima di tutto politica, poi economica», dice Teresa Angela Migliasso, assessore al Welfare e al Lavoro del Piemonte, che il 21 febbraio aprirà a Torino il convegno nazionale sull?affido. «Valorizzare questo strumento costa molto meno che far fronte a una situazione già compromessa, con un adolescente da inserire in comunità», prosegue l?assessore. «L?affido non è solo un risparmio per l?amministrazione, ma anche una forma di prevenzione, la creazione di una nuova cultura che fa della relazione d?aiuto tra famiglie e dei rapporti di solidarietà tra vicini una risposta alle nuove forme di disagio ed emarginazione sociale».A Torino l?affido è una pratica che sta dando i frutti migliori, in sintonia con la legge 149 del 2001, che ha chiuso gli istituti. I numeri lo dimostrano: circa un migliaio di affidi in corso, di cui 370 residenziali e i restanti solo diurni (a Milano città, per fare un paragone, gli affidi residenziali sono 200). Nel capoluogo piemontese ci sono poi altri 700 minori in comunità (circa la metà ospitati con la madre) e sono pochissimi i piccoli sotto i 5 anni soli in comunità: 24 in tutto.Anche Genova è una prima della classe: «Abbiamo circa 300 minori in affido e altrettanti in comunità residenziali», spiega Liana Burlando, responsabile del servizio Affido cittadino ma anche rappresentante del Coordinamento nazionale dei servizi affido. Da questo osservatorio privilegiato la Burlando ne vede bene i punti deboli, più o meno gli stessi indicati da Fadiga: «Da un lato lo scarso sostegno alle famiglie affidatarie», dice. «Poi c?è il fronte servizi, che non sono ancora presenti su tutto il territorio nazionale: al Sud ci sono zone scoperte dove non c?è presa in carico della famiglia in difficoltà, non si supportano le famiglie affidatarie, non c?è specializzazione degli operatori. Fare affido, in quei contesti, diventa quasi eroico».
Svolta in arrivo
Per monitorare la situazione, il ministero della Solidarietà sociale e quello della Famiglia hanno affidato al Coordinamento un progetto per la mappatura dei servizi Affido in Italia, attraverso un protocollo d?intesa con il Comune di Genova. «Servirà a censirne il numero, a individuare le carenze e a mettere in luce le buone pratiche», prosegue la Burlando. La mappatura mira anche alla costruzione di una campagna nazionale più mirata ed efficace della precedente (quella dei canguri…), che non ha sortito grandi risultati.A fine dicembre il Coordinamento ha inoltre presentato una bozza di Linee guida sull?affido, in cui sono focalizzati ruoli e necessità di tutti i soggetti coinvolti. Il documento si propone di armonizzare le prassi in tutte le realtà locali e di diffondere metodi comuni di lavoro (ad esempio per ogni minore deve essere costruito un progetto di recupero/reinserimento) e standard minimi di supporto per le famiglie affidatarie (un mensile almeno pari alla pensione minima Inps). Tra le altre indicazioni, c?è la differenziazione delle risposte rispetto al bisogno. «Lavoro in questo settore da 25 anni», dice ancora la Burlando, «ma non ho mai visto tanta sofferenza nei minori come oggi. Una volta il disagio era economico e il sentimento prevalente la rabbia. Oggi il problema è più sottile, riguarda la tenuta psicologica dei genitori e dei figli». Mentre rilanciano l?affido, insomma, gli operatori si accorgono che il terreno è cambiato, e che le risposte vanno trovate nella realtà, non solo nelle leggi. «Lavorare di prevenzione, far leva sulle reti di famiglie, creare nuove soluzioni d?affido. Per farlo, bisogna che il servizio ci sia. E sia preparato ad affrontare le nuove emergenze».
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