Giustizia

Affettività in carcere, la Cassazione ribadisce il “sì”

Con una sentenza la prima sezione penale della Cassazione ha stabilito che il ricorso proposto da un detenuto del carcere di Asti, per poter svolgere colloqui con la moglie in intimità, non può essere dichiarato inammissibile dall’ufficio di Sorveglianza di Torino dopo che l’istituto di pena aveva rifiutato la richiesta dell’uomo poiché «la struttura non lo consente». Patrizio Gonnella (Antigone): «La sessualità e l’affettività hanno a che fare con la dignità umana e con la salute delle persone. Se fossero pienamente garantiti, superando il tabù del sesso, avremmo un carcere con meno tensioni»

di Ilaria Dioguardi

La richiesta «di poter svolgere colloqui con la propria moglie in condizioni di intimità» è un diritto e non «una mera aspettativa» da parte del detenuto. Lo ha affermato la prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza numero 8 del 2 gennaio, riprendendo la motivazione della storica sentenza della Corte costituzionale, la numero 10 del 26 gennaio 2024 (VITA ne scrisse QUI).

La sentenza della scorsa settimana ha stabilito che il reclamo proposto da un detenuto del carcere di Asti, di 34 anni, non doveva essere dichiarato inammissibile dall’ufficio di Sorveglianza di Torino, ma valutato, a fronte di un presunto illegittimo rifiuto da parte dell’istituto di pena che aveva risposto con un diniego alla richiesta dell’uomo poiché «la struttura non lo consente». È stato accolto il ricorso, procedendo con l’annullamento con rinvio dell’ordinanza della Sorveglianza.

Colloqui intimi negati solo per ragioni di sicurezza

La Corte costituzionale ha ribadito che «tali colloqui costituiscono una legittima espressione del diritto all’affettività e alla coltivazione dei rapporti familiari» e che possono essere negati solo per «ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina», ossia per il comportamento non corretto del detenuto o per ragioni giudiziarie, in caso di soggetto ancora imputato.

«Vanno subito delineate le modalità e definiti gli spazi»

«Con nettezza la Corte costituzionale aveva affermato, con la sentenza numero 10 del 2024, che dovesse essere garantito il diritto all’affettività e alla sessualità dei detenuti. Aveva anche scritto in quella sentenza che l’amministrazione dovesse applicarla senza attendere ulteriori modifiche normative», dice Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. «È solo una questione, dunque, di volontà politica e gestionale. Vanno fatti tutti gli sforzi possibili per assicurare un diritto che non è derubricabile a mera aspettativa o a desiderio. Vanno subito delineate le modalità e definiti gli spazi. Ogni melina è un disattendere le supreme decisioni dei giudici, come ricordato dalla Cassazione».

Sessualità e affettività per un carcere con meno tensioni

La sessualità e l’affettività «hanno a che fare con la dignità umana e con la salute delle persone. Se fossero pienamente garantiti, superando il tabù del sesso, avremmo un carcere con meno tensioni», prosegue Gonnella. «Dunque, un vantaggio anche per chi lavora in carcere, stressato dal sovraffollamento e da un modello carcerario chiuso e senza prospettive per tutti».

Foto di Rajesh Rajput su Unsplash

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