Welfare
Adozioni internazionali, nasce un nuovo network operativo in 50 Paesi
Si chiama LIAN - Life in Adoption Network e riunisce cinque enti autorizzati che mettono in comune risorse, energie, strutture, attività in Italia e all’estero. Si tratta di Cifa, AiBi, ASA, Ariete e Nidoli. Insieme hanno 33 sedi in Italia, 12mila adozioni concluse e operatività in 50 Paesi. Intanto la CAI trasmette al Parlamento la Relazione sugli anni 2018/19
Ben 33 sedi in Italia, autorizzazioni a operare in 50 Paesi esteri e 12mila adozioni concluse negli ultimi 20 anni. Con questo profilo debutta LIAN- Life in Adoption Network, una partnership fra cinque enti autorizzati alle adozioni internazionali: CIFA, l’ente italiano con il maggior numero di adozioni accompagnate; Ai.Bi. – Amici dei Bambini, l'ente con il maggior numero di sedi in Italia e all’estero; ASA, realtà leader per le adozioni nell'Europa dell’Est; Ariete, l'ente più rappresentativo nel Sud Italia; Nidoli, organizzazione leader per le adozioni nella Federazione Russa.
Non un coordinamento ma un network, dicono i promotori. Figlio dell’esperienza positiva fatta con Adozione 3.0, che aveva sorprendentemente riunito praticamente tutti gli enti autorizzati, nata nel novembre 2019 e già sciolta per la oggettiva difficoltà di rappresentare soggetti tanto eterogenei. Un segno di speranza, per dire che non è vero che nelle adozioni internazionali tutto è fermo. «Le difficoltà che oggi si presentano sul fronte della Adozione Internazionale sono difficilmente risolvibili da un solo ente, per quanto grande e organizzato sia. Da soli oggi non si va da nessuna parte», commentano. Cinque enti quindi pronti «a condividere le proprie capacità organizzative, le proprie risorse, le proprie energie, le proprie strutture e attività sia in territorio nazionale che all'estero, a tutto vantaggio dei bambini abbandonati e delle loro famiglie adottive», e «aperta a collaborare anche con le istituzioni e con gli enti autorizzati di Paesi esteri che vorranno provare a “camminare insieme” per ridare ad ogni bambino abbandonato quella speranza che si merita». La stella del logo dice questo, il desiderio di avere una mamma e un papà che ogni bambino abbandonato porta nel cuore.
Sulla parola “network” mette l’accento Gianfranco Arnoletti, presidente di Cifa. «Il coordinamento è uno strumento ottimo per la rappresentanza politica e in questo senso l’esperienza di Adozione 3.0 è stata molto importante. Network è qualcosa di diverso, perché la “rete” sostiene. Dice il mettere in comune qualcosa, per esempio gli uffici: in alcuni casi i locali saranno concretamente condivisi, ma in tutti si troverà il materiale informativo di tutti i 5 enti del network. Significa poter offrire alle famiglie una scelta più vasta di Paesi oppure la possibilità di essere accolti con facilità da un altro ente del network nel caso un Paese chiudesse. Insieme, si può dare più sostegno alle famiglie che hanno bisogno di persone che si dedichino a loro, dando un’assistenza maggiore: un percorso adottivo che dura tre anni è completamente diverso da uno che vedeva le coppie partire dopo sette o otto mesi… Se devi gestire una coppia per tre anni devi organizzare il servizio diversamente. Ciascuno di noi farà passi indietro su qualcosa, ma potremo dare una mano uno a gli altri, ad esempio con la cooperazione. E poi credo che, avendo esperienza sulle spalle, potremo anche avanzare proposte alla CAI per migliorare le adozioni».
Dal punto di vista della rappresentanza, LIAN si affianca quindi ai coordinamenti esistenti, OLA e CEA, da cui i 5 enti sono usciti. Il momento per le adozioni internazionali è difficilissimo e nessuno sa se verranno realizzate la metà delle adozioni concluse l’anno scorso: quota 500 quindi nel 2020 sembra quasi un sogno nonostante siano oltre 400 i bambini nel mondo che sono già stati abbinati con famiglie italiane, che non aspettano altro che di poter andare a prenderli o di accoglierli. «Qualcosa si è mosso, solo noi abbiamo una cinquantina di abbinamenti attivi e per l’80% in tempi normali saremmo alla fase di organizzazione del viaggio», dice Arnoletti. «Sono i soggetti a cui dare più attenzione, moltissime famiglie si sono già conosciute, quello del bambino non è solo un nome letto sulla carta. Si sta lavorando tutti per esplorare strade che non siano quelle note da sempre, la speranza è che qualcosa ora possa avvenire, penso in particolare a Cina e India». È di oggi ad esempio la notizia che 36 coppie europee, tra cui 8 italiane, potranno partire entro la fine di ottobre per il Vietnam e completare le procedure adottive.
Per Marco Griffini, presidente di AiBi, LIAN è uno strumento per razionalizzare gli sforzi e mettere a fattor comune le energie, certo, ma soprattutto «per affrontare le nuove sfide dell’adozione. Vogliamo dare un messaggio di fiducia alle coppie italiane che forse hanno la sensazione che sul fronte adozioni sia tutto bloccato e invece non è vero: da subito noi enti abbiamo attivato la formazione online e solo AiBi ha visto ad oggi 300 coppie, anche i servizi si sono dotati di strumenti online e vediamo coppie che hanno ottenuto l’idoneità in pochissimi mesi, abbiamo sperimentato l’affiatamento online con il bambino tanto che alcuni paesi hanno permesso la partenza dei minori anche in assenza del primo viaggio, solo con questi incontri online tra famiglie, bambini e operatori… Abbiamo scoperto la proattività di tanti paesi. L’idea di questa sinergia è quella di mettere insieme capacità e potenzialità per dare una miglior risposta ai bambini abbandonati, che chissà quanti saranno dopo l’epidemia, uscendo dalla conflittualità. Il nome è in inglese perché la dimensione è naturalmente internazionale, la portata della nostra sfida è questa».
Qui la relazione al Parlamento della Commissione Adozioni Internazionali sul biennio 2018/19, da poco trasmessa alle Camere. Nel 2018 le coppie adottive sono state 1.130 per 1.394 minori stranieri per i quali è stata chiesta l’autorizzazione all’ingresso in Italia a scopi adottivi (in media 1,23 minori adottati per coppia). Nel 2019 invece il numero delle coppie adottive è sceso a 969 per 1.205 minorenni, per i quali è stata chiesta l’autorizzazione all’ingresso in Italia, in media 1,2 adottati per coppia. Se il calo numerico complessivo nel trend di ingresso dei minorenni stranieri a scopo adottivo è l’evidenza più discussa in merito all’adozione internazionale nel nostro Paese, il massiccio ingresso di bambini e ragazzi con special needs testimonia meglio di ogni altro dato la funzione sussidiaria dell’adozione internazionale, una valenza che l’istituto adottivo ha assunto nei fatti in modo sempre più marcato nel corso del tempo. Nel 2019, a fronte di 1.205 minorenni autorizzati all’ingresso in Italia, 774 riguardano portatori di uno o più special needs (pari al 64,2% del totale), incidenza che è d’altro canto in calo rispetto al 70% registrato nel corso del 2018 quando a fronte di 1.394 minori autorizzati all’ingresso in Italia, 981 erano bambini portatori di uno o più special needs.
Nel corso del 2018 sono stati cancellati dall’Albo 7 Enti Autorizzati e altri 4 sono stati cancellati nel 2019, la grandissima parte per fusioni: si è così passati da 62 enti iscritti all’albo nel 2017 a 51 nel 2019. Nel corso del 2019, sono state concluse 53 verifiche sugli Enti Autorizzati con l’adozione di provvedimenti da parte della Commissione quali la sospensione di nuovi incarichi fino al 31 dicembre 2019, la definizione di un tetto massimo per i nuovi incarichi fino al 31 dicembre 2019, il divieto di nuovi instradamenti in alcuni Paesi, la richiesta di fornire un progetto di gestione delle coppie pendenti e la regolarizzazione delle coppie in sospeso. Fra le urgenze messe in rilievo, «riuscire a dimostrare che l’adozione di bambini più grandi, se svolta correttamente, è possibile, desiderabile e ha spesso un’ottima riuscita. In quest’ottica, una ricerca promossa dalla CAI e realizzata con la collaborazione dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, ha analizzato un campione di nuclei familiari in cui sono presenti minori che al momento dell’adozione avevano un’età compresa tra i 6 ed i 12 anni. I risultati ottenuti al termine dell’indagine mostrano come non vi siano differenze in base alla fratria, al tempo vissuto nella famiglia biologica e quindi in base alla precocità dell’abbandono, né tra i vari contesti di provenienza».
Photo by David Watkis on Unsplash
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