Welfare
Adozioni internazionali: mantenimento del sistema o rilancio del senso?
La riflessione di Marco Rossin, responsabile delle adozioni internazionali di AVSI
A metà settembre la Commissione Adozioni Internazionali ha pubblicato un nuovo “decreto ristori” per gli enti autorizzati, dopo quello che a giugno 2020 aveva stanziato 2,35 milioni di euro. Il decreto riconosce un contributo in favore degli enti che tra il 1° aprile 2020 e il 31 maggio 2021 abbiano registrato una diminuzione di almeno un terzo rispetto all’ammontare delle entrate relative alle adozioni del medesimo periodo dell’anno precedente. Gli enti che si trovano in questa condizione avevano quindici giorni di tempo per chiedere un contributo per i costi sostenuti per restare operativi sul fronte delle adozioni, dall’acquisto di DPI alle bollette per le utenze, dalle spese per il personale alle spese di pubblicità. L’importo massimo erogabile è pari a euro 100mila euro per ciascun ente.
«Si tratta di un onorevole contributo della CAI a dare ossigeno a un sistema che è in oggettiva difficoltà, ma basta? Come enti autorizzati alle adozioni possiamo davvero limitarci a cercare di restare a galla, una boccata di ossigeno dopo l’altra?». A parlare così è Marco Rossin, responsabile adozioni di AVSI. È consapevole di lanciare una provocazione di non poco conto, ma è convinto che «dare ossigeno è utile, ma come enti dobbiamo tornare ad avere anche una prospettiva di lungo termine, di senso. L’obiettivo è il mantenimento del sistema o il rilancio delle adozioni? Credo che dobbiamo spostare il nostro sguardo, perché l’urgenza della sopravvivenza ci sta facendo perdere di vista il fatto che il senso del nostro esistere sta nell’accompagnamento alle famiglie. Il nostro dovere di enti non finisce nel trovare due genitori a un bambino ma comprende anche il seguire la famiglia, prima e dopo l’adozione».
Se vogliamo parlare di ripartenza e non di mera sopravvivenza dell’esistente è necessario ripensarsi e ristrutturarsi. «Sono questi gli enti che sopravviveranno al momento così difficile che stiamo attraversando. E bisogna dire che molti enti lo stanno facendo, stanno pensando a lungo termine». Che significa ripensarsi? «Cambiare modo di concepire l’ente, recuperare una visione. Chiudere il cerchio sulle adozioni più vecchie, puntare sulla competenza degli operatori e sulla qualità del servizio, immaginare una estensione territoriale all’estero, spiegare alle famiglie cosa vogliono dire i numeri di cui leggono. Noi in AVSI abbiamo investito sul personale, in Italia e all’estero e negli ultimi quattro anni abbiamo assunto, anche in un periodo di contrazione: scelta rischiosa ma che sta pagando». Le adozioni concluse con AVSI nel 2020 sono state 24, con 34 bambini arrivati: numeri del tutto simili a quelli del 2019, che avevano visto 25 coppie e 30 bambini adottai. «In termini numerici il Covid lo stiamo pagando nel 2021: pesa la situazione della Lituania, che per noi storicamente rappresentava quasi la metà delle adozioni e che in due anni è scesa da 15 a 2 adozioni. I mandati invece continuano ad arrivare in maniera costante». L’altro tassello importante del rilancio riguarda l’accompagnamento dei ragazzi e delle famiglie, che ha trovato concretezza nel progetto di ritorno alle origini “Partire per ritornare”. «Negli ultimi anni siamo stati contattati da diversi ragazzi adottati 10-15 anni fa che chiedevano di sapere di loro, della loro storia, del loro paese. Alcuni in maniera disorganizzata, altri chiedevano supporto per rimettersi sulle tracce della loro storia, andando nel loro Paese di origine. Questa funzione dell’ente autorizzato dieci anni fa esisteva meno ma adesso sta diventando centrale. Noi enti in fondo siamo i custodi della loro storia».
Da gennaio 2021 questi ragazzi fra i 14 e i 24 anni stanno partecipando a un percorso di gruppo «con la finalità di aiutarli a rispondere alle domande che tutti i figli adottivi hanno. Un viaggio in Lituania? Anche ma non necessariamente, perché su questo i tempi sono diversi per ciascuno».
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