Welfare

Adozioni in Kirghizistan, fu truffa

A otto anni dalla vicenda che coinvolse l'ente Airone e 21 coppie italiane, è arrivata la sentenza. Silvia La Scala, presidente dell'ente, condannata per truffa

di Sara De Carli

Alla fine quindi fu truffa. Una truffa proprio là dove mai dovrebbe esserci, là dove si tratta di bambini soli, a cui dare una famiglia. A fine luglio è arrivata la sentenza sull’operato dell’associazione Airone, impegnata nelle adozioni internazionali in Kirghizistan. La sua presidente, Silvia La Scala, è stata condannata a 4 anni. È stata invece assolta Inna Troukhan, una collaboratrice di Airone. La vicenda risale al 2012 e sono coinvolte ventuno coppie italiane e altrettanti bambini kirghizi. Alle famiglie italiane sono stati presentati come bambini da adottare, sono stati abbinati a loro, si sono incontrati: nulla era vero, alcuni bambini non erano adottabili, altri erano già stati abbinati ad altre famiglie, in altri Paesi. I soldi versati all’ente no, quelli erano veri. E pure i sentimenti, i sogni e le attese delle famiglie e dei bambini: «Il 29 giugno 2012 io e moglie Gessica abbracciavamo Vova, nell’orfanotrofio di Bishkek. Doveva essere un saluto, invece si è rivelato un addio. Eravamo lì per adottarlo, il tempo di completare le pratiche e tornare, per stare insieme per sempre. Gli abbiamo detto “siamo mamma e papà, torniamo presto a prenderti” e invece siamo spariti dalla sua vita, non abbiamo mantenuto la promessa. Nessuno ha mai chiesto scusa a noi, né – soprattutto – a quei bambini. È questo quello che pesa di più», ricorda Fabio Selini, una delle 5 coppie italiane che nel processo contro Airone si è costituita parte civile.

«Un aspetto della storia finalmente si è chiuso. Un tribunale ha stabilito che è stata perpetrata una truffa. Non erano farneticazioni, suggestioni, arrabbiature di genitori troppo coinvolti, come ci è stato detto. Io non mi sono mai permesso usare la parola truffa finora, ho sempre usato la parola scandalo. E lo scandalo resta anche oggi», racconta Fabio mentre cammina per le strade assolate della campagna bergamasca. «Ma se è stata truffa, e lo è stata, mi sembra palese che qualcosa non abbia funzionato a dovere, come dimostra anche la sentenza civile del 2017 che ha condannato la Cai per omessa vigilanza: questa condanna colpisce nel vivo il sistema delle adozioni internazionali, perché certifica che un ente ha truffato delle coppie che le si erano affidate. Quel che è successo a noi in Kirghizistan è la foto di tutto quello che non si deve fare in ambito adottivo e che però nella realtà è accaduto. Oggi non c’è più spazio per le ipotesi e le interpretazioni e forse è proprio per questo che la sentenza è stata accolta con un sostanziale enorme silenzio. Un silenzio che mi ha fatto male ancora, ennesima conferma di quella sensazione di solitudine che ci ha sempre accompagnato in questi otto anni», riflette Fabio.

Nessuna gioia alla sentenza, nessun “giustizia è fatta”, precisa Fabio. «Quando ho saputo, perché non ero in aula, il pensiero è andato subito a Vova. Noi non abbiamo mai smesso di pensarlo né di cercarlo, non per entrare a piè pari nella sua vita ma perché riteniamo che sia umano, civile e anche doveroso da parte nostra accertarci che stia bene e abbia una vita decorosa. Qualcuno ha permesso che andassimo in Kirghizistan e dicessimo a un bambino “mamma e papà tornano presto a prenderti” e invece non sono mai tornati. Questo è il vero dramma, di fronte a cui una condanna cambia poco le cose. E in otto anni lo Stato italiano non ha poste in atto alcuna azione per sincerarsi del destino di quei bambini, per chiedere loro scusa».

Qui la petizione "Voglio sapere come sta Vova?", «l'ennesimo tentativo di chiedere rispetto e verità. Per garantire civiltà e umanità».

Photo by Tingey Injury Law Firm on Unsplash

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