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Adozioni in Cina, un muro di gomma lungo tre anni

Alla vigilia della manifestazione a Roma organizzata dalle trenta coppie già abbinate a minori cinesi, da tre anni in attesa di portare a casa i propri figli, il vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali fa il punto della situazione: «La diplomazia è all'opera e lo è sempre stata. Non c’è stato colloquio con la Cina in cui non sia stato posto il tema, fin dal primo giorno»

di Sara De Carli

Dall’8 gennaio la Cina ha allenato le restrizioni per il Covid19. Potrebbe essere l’inizio della fine della lunga attesa che trenta famiglie italiane stanno vivendo: da tre anni, infatti, pur avendo ricevuto da Pechino la “pergamena verde” che gli ha abbinato un bambino adottabile, indicandolo come loro figlio, non riescono a completare il loro iter adottivo. In Cina non è più entrato nessuno e mentre per molti altri paesi già dalle prime concitate fasi del lockdown del 2020 l’Italia è riuscita a stringere accordi per modificare alcune delle procedure in uso prima del Covid e per trovare le strategie che permettessero alle adozioni di andare avanti anche fra le tante limitazioni dettate dalla pandemia, la Cina è rimasta pressoché il solo Paese al mondo a non aver ripreso le adozioni. Non che siano chiuse, ma di fatto sono in stand by da tre anni. Una situazione che non riguarda solo l’Italia, ma tutti i Paesi di accoglienza: la Cina con tutti è stata un muro di gomma.

In Italia le famiglie con un abbinamento in Cina erano 35, rimaste oggi in 30: due coppie hanno rinunciato, mentre per tre bambini si è chiusa la strada dell’adozione internazionale. Mercoledì 11 gennaio le coppie faranno una manifestazione a Roma per chiedere ancora una volta al governo di trovare una soluzione e permettere loro, finalmente, di essere famiglie. Fra loro ci saranno Monia e Daniele, che ci hanno raccontato la loro storia e che da tredici mesi non hanno più nessuna informazione sulla loro Qing Yue. «Chiediamo un passo significativo per lo sblocco delle procedure amministrative, chiediamo aggiornamenti sulle condizioni sanitarie dei nostri figli, tutti speciali needs e chiediamo un incontro con il Presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri e il ministro della Famiglia per avere aggiornamenti sull’interlocuzione con la controparte cinese», scrivono le famiglie in una nota. «In questi anni gli enti autorizzati e la Cai hanno cercato di offrire tutto il supporto possibile, ma purtroppo ad oggi tutti gli appelli e le interlocuzioni sono risultati vani e i bambini sono ancora in istituto o in famiglie affidatarie», dicono.

«Appoggiamo l’iniziativa di queste famiglie perché è insostenibile sapere che dall’altra parte del mondo c’è un bambino che è tuo figlio, sapere che ha bisogno di cure ed essere impossibilitati ad andare a prenderlo per tre lunghi anni. Ci sono anche dei bambini che aspettano un fratellino o una sorellina, un’attesa emotiva ancora più difficile da gestire», commenta Ivana Lazzarini, presidente di Italia Adozioni, un’associazione che promuove la cultura dell’adozione. «Come associazioni familiari siamo vicini a queste coppie perché sappiamo quanto sia difficile convivere in questo stato di sospensione e di mancanza di certezze. Condividiamo la loro speranza che la riapertura dei confini diventi presto anche una riapertura delle procedure per le adozioni internazionali nella Repubblica Popolare Cinese», dice Monya Ferritti, presidente del Coordinamento CARE, un’associazione di secondo livello che riunisce 40 associazioni di famiglie adottive e affidatarie. «Nell’auspicio che nei prossimi mesi, finalmente, i genitori possano unirsi ai propri figli, sollecitiamo fin da ora una particolare attenzione al sostegno successivo, post-adottivo, a queste famiglie già tanto provate. I bambini e le bambine hanno bisogno dell’amore dei loro genitori e di una società pronta ad accoglierli, in questi tre anni sono cresciuti e molti di loro sono in età scolare; la nostra speranza è che le scuole che li accoglieranno siano pronte a riconoscerne bisogni e risorse. Ci auguriamo altrettanto che quei bambini e quelle bambine per cui sarà necessario attenzione medica incontrino dei pediatri esperti di tematiche adottive».

A fare il punto sulla situazione è Vincenzo Starita, vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali, che nella serata di martedì 10 gennaio – prima della manifestazione, quindi – incontrerà a Roma una delegazione delle coppie, insieme alla ministra per la Famiglia Eugenia Roccella (che è anche presidente della Cai) e al sottosegretario agli esteri Giorgio Silla. «Appena si è diffusa la voce di una possibile riapertura della Cina, ho scritto nuovamente all’autorità centrale cinese e chiesto il suo intervento presso i due ministeri competenti, quello degli Esteri e quello degli Affari civili, affinché le coppie possano avere dei visti speciali, dal momento che non è ancora possibile entrare con un visto turistico. La diplomazia è all’opera e lo è sempre stata, con questo governo come con il precedente. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha interloquito con il suo omologo cinese, rappresentando anche la situazione delle adozioni e il nuovo ambasciatore cinese in Italia, che prenderà possesso della sede proprio dopodomani, è giù al corrente del caso. Ringrazio l’ambasciatore Luca Ferrari, che ha da poco cessato il suo incarico in Cina e il consigliere Raffaele De Benedictis, anche con il Maeci è stato fatto un grande lavoro di squadra. Comprendo l’esigenza delle coppie di sollevare l’attenzione sulla loro situazione, ma sarebbe ingeneroso dire che il governo deve attivarsi: non c’è stato colloquio in cui non sia stato posto il tema, fin dal primo giorno. È il classico esempio in cui tutto sta nelle mani del Paese straniero», ammette Starita con un filo di amarezza. Perché purtroppo va detto che la richiesta di Starita del 2 gennaio, come quella del 22 dicembre o prima ancora quella di settembre (in cui chiedeva un aggiornamento della situazione di tutti i bambini, visto che per alcuni da diversi mesi non c'erano notizie) sono rimaste al momento senza risposta. Ma subito aggiunge: «Adesso, con l’allentamento delle restrizioni, la speranza è che qualcosa cambi e che finalmente ci possa essere un po’ ottimismo».

Foto di Ajay Karpur su Unsplash

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