Mondo
Adozioni in Cina: da tre anni non possiamo portare a casa la nostra Qing Yue
Sono trenta le coppie italiane con in mano la "pergamena verde” inviata da Pechino, cioè l’abbinamento con un bambino. Il Covid però ha bloccato tutto e dopo tre anni, la Cina resta uno dei pochi paesi al mondo in cui adottare è impossibile. Queste famiglie ora scendono in piazza. La testimonianza di Monia e Daniele
Sono passati quasi tre anni dal giorno in cui Monia e Daniele hanno scoperto il volto e il nome di loro figlia: Qing Yue. «L’abbinamento è arrivato il 4 marzo 2020. Era un venerdì. Il lunedì dopo è iniziato il lockdown», ricorda con amarezza Monia. Quel giorno, Qing Yue aveva appena tre anni: oggi di anni ne ha sei e sta ancora in Cina, anziché a Roma tra le braccia dei suoi genitori. Da fine novembre 2021, Monia e Daniele non hanno più ricevuto alcuna comunicazione su di lei: tredici mesi di silenzio assoluto, senza sapere come sta, come cresce. Sorretti soprattutto – racconta Monia – «dal pensiero che la nostra bambina sa che dall’altra parte del mondo c’è qualcuno che la aspetta. Il pensiero di abbandonarla, di cambiare paese, non ci ha sfiorato nemmeno: per lei sarebbe stata un secondo abbandono».
Mercoledì 11 gennaio Monia e Daniele saranno in piazza a Roma, insieme alle altre coppie che da tre anni attendono di portare a casa i propri figli: sono un’ottantina le coppie italiane instradate sulla Cina e trenta quelle che hanno già ricevuto da Pechino la “pergamena verde”, cioè l’abbinamento con un bambino. Ormai tre anni aspettano l’arrivo della “pergamena rossa” che le inviti a recarsi in Cina per completare la procedura adottiva. Erano 35 a inizio 2020, sono rimaste in 30. La ministra Eugenia Roccella, presidente della Commissione Adozioni Internazionali, incontrerà una delegazione delle famiglie nel tardo pomeriggio di martedì 10 gennaio, insieme al sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli e al vicepresidente della CAI Vincenzo Starita (qui la sua intervista). «Perché ci siamo decisi a fare una manifestazione? Lo dice il titolo che abbiamo scelto: “Aiutateci a portarli a casa”», risponde Monia.
Da fine novembre 2021 non abbiamo più ricevuto alcuna comunicazione su nostra figlia. Tredici mesi di silenzio assoluto. Ci ha sorretti il pensiero che la nostra bambina sa che dall’altra parte del mondo c’è qualcuno che la aspetta. Non ci ha sfiorato nemmeno il pensiero di abbandonarla, per lei sarebbe stata una seconda volta
«Ci rendiamo conto degli sforzi che hanno fatto le nostre istituzioni. Sia questo governo che il governo precedente ci hanno sempre dimostrato di lavorare al nostro caso. Però una soluzione ancora non c’è e i nostri figli sono ancora in Cina. Per questo abbiamo bisogno di attivare tutte le risorse possibili, l’interlocuzione deve essere fra i massimi livelli. Contiamo molto sulla visita di Stato che la presidente Meloni farà in Cina, su invito di Xi Jinping. Noi speriamo che la recente decisione della Cina di togliere le restrizioni per il Covid ci permetta presto di realizzare il nostro sogno, ma al momento non è possibile entrare in Cina con un visto turistico e comunque per completare l'adozione ci serve la pergamena rossa», spiega Monia.
Tredici mesi di silenzio
Monia e Daniele sono alla loro prima adozione. «Abbiamo cominciato il nostro percorso nel 2013 e questo bisogna dirlo, perché l’abbinamento è un traguardo che non arriva subito», sottolinea Monia. Hanno scelto la Cina perché hanno un decreto di idoneità per un minore fino a 5 anni: «All’epoca i due paesi da cui arrivavano bambini con un’età media così bassa erano praticamente solo la Federazione Russa e la Cina. La Cina all’epoca aveva tempi di attesa minori e soprattutto invia schede dettagliate, precise e realistiche per descrivere le condizioni di salute dei bambini». Quando vedono la foto di Qing Yue, per Monia e Daniele è amore a prima vista. Scelgono subito il nome italiano che vorrebbero affiancare al suo: Miriam. In quella terribile primavera del 2020, nell’incertezza più completa che tutti abbiamo vissuto, Monia e Daniele fanno affidamento sull’ipotesi del “rabbonirsi del virus” durante l’estate: contano di partire per la Cina a giugno. «Eravamo abbastanza tranquilli, anche perché per tutta l’estate del 2020 il governo cinese ha continuato a fare abbinamenti di minori con coppie italiane», dice. Ogni sei mesi arriva un aggiornamento: qualche foto e un video di pochi secondi, nessun contatto diretto con la bambina, ma comunque qualcosa a cui aggrapparsi. «Abbiamo mandato anche noi dei video, qualche piccolo regalino, a dicembre 2022 per il suo sesto compleanno abbiamo inviato un video in cui le presentiamo i nonni, gli zii, i cugini… le diciamo che qui tutti la stiamo aspettando». Dalla Cina invece le informazioni si diradano: «L’ultimo aggiornamento risale a fine novembre 2021, sono 13 mesi che non sappiamo nulla».
Ci rendiamo conto degli sforzi che hanno fatto le nostre istituzioni. Sia questo governo che il governo precedente ci hanno sempre dimostrato di lavorare al nostro caso. Però una soluzione ancora non c’è e i nostri figli sono ancora in Cina. Per questo abbiamo bisogno di attivare tutte le risorse possibili. La recente decisione della Cina di togliere le restrizioni per il Covid è un passo importante, ma al momento non è possibile entrare nel Paese con un visto turistico e comunque ci serve la pergamena rossa
Un silenzio pesante da vivere, che ha reso ancora più dura questa attesa ormai infinita. «Per noi è stata molto importante la vicinanza delle altre famiglie e la presenza di Aibi, che ci ha supportato tantissimo. Con l’ente abbiamo fatto un corso di cinese, incontri periodici, ci hanno offerto l’aiuto di una psicologa… Noi personalmente abbiamo trovato sostegno nella fede. In questi tre anni ci siamo spesi tantissimo, anche per mantenere un atteggiamento collaborativo con le istituzioni, fondamentale, senza cedere allo sconforto né alla rabbia… ma non è facile. Adesso questa riapertura è una nuova grande speranza, ma va risolta la questione dei visti e delle pergamene rosse. Spero che marzo 2023 sarà il mese giusto, sarebbe un meraviglioso regalo per la festa del papà», conclude Monia. E le si incrina la voce mentre confida che «abbiamo scritto anche al presidente Mattarella, una volta rientrati sarebbe bello poter essere accolti nella “casa degli italiani”: un gesto simbolico per dire a questi bambini, immersi così a lungo nel silenzio, che sono stati tanto desiderati e amati e che tutta l’Italia è felice di accoglierli come cittadini».
Aggiornamento dell'articolo del 13 gennaio. Una delegazione delle famiglie in attesa di concludere l'adozione nella Repubblica Popolare Cineseè stata ricevuta al ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale dal sottosegretario Giorgio Silli, con il direttore generale per gli italiani all'estero Luigi Vignali. Silli, sul suo profilo Facebook, ha sintetizzato così l'incontro: «Le procedure di adozione già avviate da molte famiglie italiane sono state di fatto bloccate in Cina a causa dell’emergenza pandemica da Covid-19. La Convenzione dell’Aja vincola gli Stati a procedure rigorose nelle adozioni, con l'obiettivo di arginare il triste fenomeno della tratta dei bambini. La Commissione per le Adozioni Internazionali ha cercato in questi anni di mantenere aperto un canale di dialogo con la Cina. Da quando la situazione epidemiologica in Europa è migliorata, la Commissione ha chiesto all'autorità centrale per le adozioni internazionali della Repubblica Popolare in molteplici occasioni, in ultimo il mese scorso, che le famiglie italiane possano recarsi in Cina per completare l’iter di adozione. Purtroppo finora ha ottenuto solo risposte negative. Continueremo a impegnarci con la Commissione per le Adozioni Internazionali, con la ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Maria Roccella, e con il dipartimento che dirige, per riavviare le procedure di adozione tanto dalla Repubblica Popolare Cinese, quanto dalla Repubblica di Bielorussia. Abbiamo dedicato molto impegno alla questione in questi primi mesi di governo e non lesineremo sforzi ed energie, in particolare cooperando con altri Paesi, come Francia e Spagna, in cui molte famiglie si trovano in situazione simile».
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.