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Adozioni: il sottosegretario Sestini risponde al sen. Jovene

Il testo della risposta all'interrogazione e la replica di Jovene

di Redazione

Risposta orale all’interrogazione 3-00173 del Sen. Iovene sulla sospensione dell’attività della Commissione per le adozioni internazionali. SESTINI, sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, rispondo all’interrogazione 3-00173, presentata dai senatori Rotondo e Iovene, che iguarda le vicende legate alle sorti della Commissione per le adozioni internazionali e, nello specifico, ai problemi che si sono creati con alcuni dei Paesi con cui l’Italia è in contatto, proprio per tali adozioni. Non nego che la Commissione abbia vissuto, in questi ultimi due mesi, un momento di difficoltà, dovuto alle dimissioni, per passaggio ad altri inarichi (mi preme sottolinearlo), e non per polemiche o per altri motivi, di alcuni suoi componenti. Si tratta di difficoltà che allo stato attuale sono state superate, perché il Presidente del Consiglio ha provveduto ad operare le necessarie sostituzioni, nelle persone della dottoressa Paola Chiari (in sostituzione del dottor Onelli, rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali), del consigliere Sergio Fusaro (in rappresentanza del Ministero della giustizia) e del dottor Ennio De Francesco (in rappresentanza del Ministero dell’interno). È in corso di nomina il rappresentante del Ministero degli affari esteri, che sostituirà la dottoressa Menichini, mentre sono in corso di definizione le procedure per la nomina dei due rappresentanti della Conferenza unificata Regioni-autonomie locali ed entro il 15 dicembre le Regioni faranno pervenire alla Presidenza del Consiglio dei ministri le designazioni con i relativi curricula, affinché la Presidenza del consiglio dei ministri possa designare i nominativi da sottoporre all’approvazione della conferenza unificata prevista per il 20 dicembre prossimo venturo. Dico ciò perché, se da una parte, comunque, la Commissione non aveva mai smesso di operare (ricordo che, in base al regolamento interno della Commissione stessa, il presidente può, con atto proprio e con procedura d’urgenza, sostituirsi agli atti della Commissione), dall’altra parte non ci nascondiamo che per questi motivi alcune difficoltà si sono veramente incontrate. Così come non ci nascondiamo che si sono registrate difficoltà derivanti dal trasloco della sede della Commissione per le adozioni internazionali da via Veneto alla nuova sede di via Fornovo, 8, difficoltà che (anche qui mi preme sottolinearlo) non sono durate più di ventiquattro ore, il tempo cioè di riattivare i servizi telefonici, fax e computer. La stessa presidente Cavallo ha riconosciuto che, comunque, questi disagi si sono verificati ma sono stati limitati nel tempo. Gli onorevoli interroganti chiedono, inoltre, di conoscere i motivi del ritardo con cui sono state effettuate le nomine. Si presume che ciò possa collegarsi al chiarimento, allora in corso, sulla collocazione istituzionale della Commissione per le adozioni internazionali. Al riguardo si comunica che, dopo un approfondimento effettuato, sia in sede politica sia in sede tecnica, tra il Segretariato generale, il Dipartimento affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio, l’Ufficio legislativo e il Dipartimento per la giustizia minorile del Ministero della giustizia, è stato deciso che la Commissione debba permanere presso la Presidenza del Consiglio. Le ragioni di questa decisione vanno ritrovate nell’esatta individuazione della natura giuridica di tale organo, quale risulta dalla definizione di “Autorità centrale” contenuta nella Convenzione dell’Aja del 1993 e nelle norme nazionali di recepimento, nonché nella inequivoca collocazione operata dalla legge n. 476 del 1998, laddove si prevede che la Commissione è istituita presso la Presidenza del Consiglio, senza ulteriori specificazioni. In tal senso è stata data comunicazione al Ministro del lavoro dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, dottor Gianni Letta, in data 7 dicembre. Nel frattempo, il Segretariato generale della Presidenza del Consiglio sta procedendo, per risolvere le questioni relative all’utilizzazione del personale comandato, al completamento della dotazione organica del personale mancante con personale dei ruoli della Presidenza del Consiglio, come previsto dalla legge n. 476 del 1998, e alla corretta imputazione degli stanziamenti. Questo è un altro problema; come è noto, il finanziamento della Commissione grava sul fondo sociale; pertanto, sarà necessario adottare un provvedimento specifico per il finanziamento della Commissione stessa. Vengo alla seconda parte dell’interrogazione dei senatori Rotondo e Iovene, che riguarda gli specifici rapporti – talvolta delicati – con alcuni Paesi, soprattutto dell’Est d’Europa, con cui l’Italia ha contatti per le adozioni. Più specificamente, per quanto riguarda la Romania, tale Paese ha ratificato la Convenzione dell’Aja del 1993 ed è quindi tenuto all’osservanza degli obblighi derivanti dalla Convenzione medesima, tra i quali quello di adeguare ad essa il diritto interno. Fino al 2000 il Segretariato generale dell’Aja e i vari Paesi europei, fra cui l’Italia, hanno segnalato alle autorità rumene il contrasto di alcune disposizioni vigenti in quel Paese con i princìpi cardine della Convenzione dell’Aja e di quella dei diritti del fanciullo del 1989 relativamente all’effettiva verifica dello stato di abbandono, all’attuazione del principio di sussidiarietà e alla salvaguardia e alla promozione dei diritti dell’infanzia. Particolare rilevanza assumevano, ai fini della non conformità con le convenzioni sopra richiamate, le disposizioni riguardanti le modalità di erogazione delle sovvenzioni alle fondazioni e agli istituti dove sono ospitati i bambini, in quanto esiste un diretto rapporto tra ammontare delle erogazioni e numero di bambini ospitati. Anche il Parlamento europeo e la Commissione della Comunità europea hanno richiamato l’attenzione della Romania sull’obbligo di una maggiore tutela dei diritti dei minori, soprattutto di quelli in adozione in altri Paesi. La Comunità europea ha disposto una serie di finanziamenti di sostegno a favore della Romania per garantire l’attuazione dei diritti del fanciullo. La Romania, da parte sua, si è impegnata in una serie di iniziative, sia giuridiche sia di promozione sociale, che potrà realizzare grazie a tali programmi. La mancata realizzazione di essi non consentirà il suo ingresso nella Comunità europea. Come si rileva, questa questione, oltre al problema specifico delle adozioni, è legata a più ampi rapporti internazionali. La Commissione per le adozioni internazionali – autorità centrale italiana istituita ai sensi della Convenzione dell’Aia – ha effettuato due missioni in Romania, rispettivamente nel luglio 2000, prima della pubblicazione dell’albo degli enti autorizzati, e nel febbraio 2001, per promuovere un’efficace collaborazione con le autorità rumene al fine di garantire adozioni trasparenti e per assicurare il completamento di procedure già in corso che non trovavano definizione. Particolare preoccupazione per l’Italia era costituita da alcuni casi in cui, nonostante il procedimento adottivo fosse concluso, i direttori degli istituti non consegnavano i bambini alle coppie italiane adottanti, anche dopo varie sentenze passate in giudicato. Per questi casi si è chiesto l’intervento, oltre che del Ministero degli affari esteri e del Ministero dell’interno italiani, anche del Segretariato generale della Conferenza dell’Aia e, molto recentemente, dell’autorità centrale rumena in visita in Italia. Nel frattempo, la Romania ha deliberato la sospensione delle adozioni internazionali, non soltanto nei confronti dell’Italia ma rispetto a tutti i Paesi che richiedevano abitualmente l’adozione di minori rumeni, proprio per poter portare a completamento la riforma legislativa richiesta dalla Comunità europea e dall’ONU e perché intende realizzare forme di affidamento familiare, onde limitare al minimo la presenza dei bambini in istituto e l’uscita dei bambini dal Paese. Con l’Italia le autorità rumene hanno rapporti di ampia collaborazione e hanno assicurato che consentiranno il completamento delle procedure adottive in corso. Hanno espresso inoltre la disponibilità, appena emanata la nuova riforma legislativa per i diritti dell’infanzia, a stipulare un accordo bilaterale rispettoso dei contenuti della Convenzione dell’Aia. Rispetto ai casi incresciosi che si sono verificati, credo che il Governo italiano debba rispettosamente attendere le nuove normative rumene volte a garantire libertà e trasparenza. Diverso è il caso della Bielorussia. Il blocco delle adozioni nei confronti dell’Italia è stato deciso dalle autorità bielorusse a seguito del mancato invio, da parte dei competenti servizi sociali territoriali italiani, delle relazioni semestrali riguardanti bambini già adottati da coppie italiane. La Commissione per le adozioni internazionali si è immediatamente prodigata per far sì che l’impegno, assunto dalle coppie al momento dell’adozione di minori bielorussi, relativo all’invio di relazioni semestrali socioambientali per tre anni consecutivi, fosse mantenuto e, a tal fine, ha chiesto la collaborazione dei servizi del territorio, dei sindaci dei paesi dove risiedevano le coppie e delle coppie stesse. Tali relazioni sono state già inviate in Bielorussia e nei giorni tra il 5 e l’8 novembre la Presidente della Commissione per le adozioni internazionali si è recata in Bielorussia per rimuovere altri ostacoli di tipo giuridico, derivanti dalla diversità dei due ordinamenti, che impedivano la realizzazione di adozioni con la collaborazione degli enti autorizzati allo svolgimento di procedure adottive. Al riguardo è stato firmato un accordo sulle procedure, con soddisfazione sia delle autorità bielorusse sia della Commissione per le adozioni internazionali. I contatti con il centro adozioni di Minsk sono costanti e improntati alla massima collaborazione. L’ultimo incontro tecnico con una delegazione proveniente dalla Bielorussia si è svolto presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali martedì mattina. In quella occasione sono state ulteriormente messe a punto tali questioni. Più complesso è il tema che riguarda la Federazione russa, anche perché non sfuggirà all’onorevole interrogante che è pendente un caso giudiziario abbastanza pesante che ha visto coinvolte? loro malgrado ? diverse famiglie italiane, le cui pratiche adottive sono rimaste ferme a causa di un episodio giudiziario rispetto al quale sono completamente estranee. La Federazione russa è un Paese che ha firmato la Convenzione dell’Aia del 1993, ma che non l’ha ancora ratificata. Ciò nonostante, essendo la normativa russa compatibile con quella italiana, non si frappongono impedimenti di ordine giuridico. Il blocco delle adozioni da parte della Federazione russa è avvenuto a seguito dei noti fatti che hanno interessato alcuni enti, che prima operavano in Russia, e che la Commissione per le adozioni internazionali non ha mai autorizzato. Questo, a mio avviso, va anche a testimonianza della serietà con cui in questi anni la Commissione ha operato, soprattutto nella verifica della potestà, della legittimità e della competenza degli enti autorizzati. La Commissione per le adozioni internazionali, infatti, dopo la pubblicazione del primo albo degli enti autorizzati, avvenuto il 31 ottobre del 2000, ha effettuato una missione a Mosca per avviare una migliore collaborazione con le autorità di quel Paese e sostenere l’accredito degli enti autorizzati dall’Italia. È stata registrata in quella occasione una difficoltà per l’accredito di tutti gli enti autorizzati per l’Italia, in quanto alcuni di essi non hanno il requisito dei 5 anni di esperienza nel campo delle adozioni, previsto dalla normativa russa. La Commissione ha rappresentato la rigorosità dei criteri adottati in Italia nel riconoscimento degli enti ma, trattandosi di una specifica previsione normativa, non è stato possibile rimuovere la condizione dei 5 anni di esperienza. Nel frattempo è stata concordata la procedura da osservarsi, alla luce delle normative vigenti, per l’accredito degli enti, per la conclusione dei procedimenti adottivi iniziati prima del 16 novembre del 2000 senza gli enti e per le procedure che invece saranno curate dagli enti autorizzati. Per quanto riguarda le procedure che erano in corso prima del 16 novembre è stata consentita la loro conclusione, tranne che per quelle coppie che erano coinvolte nel procedimento giudiziario di cui parlavo poc’anzi, per le quali sono tuttora in corso degli accertamenti. Alle coppie che erano state assistite dall’ente, che poi non è stato riconosciuto dall’Italia, ma che chiaramente non avevano alcuna responsabilità nelle situazioni oggetto di indagine da parte dell’autorità giudiziaria russa, è stato consentito che completassero la procedura, mediante la presa in carico di uno degli enti autorizzati allo stato; tuttavia, la situazione è ancora bloccata perché dei 6 enti che hanno i requisiti, non è ancora avvenuto l’accredito, nonostante tutti gli interventi diplomatici sollecitati al riguardo. Non nascondo che indubbiamente si tratta di una situazione difficile le cui competenze, purtroppo, sfuggono a quelle proprie della Commissione stessa perché è in corso un’indagine giudiziaria IOVENE. Signor Presidente, ringrazio l’onorevole Sottosegretario per la risposta di cui mi dichiaro soddisfatto. Desidero aggiungere solo alcune brevissime considerazioni, perché l’interrogazione che insieme al collega Rotondo abbiamo presentato nelle settimane scorse partiva da un dato: la preoccupazione di tante famiglie italiane rispetto all’esito delle loro domande di adozione internazionale e la denuncia delle difficoltà di funzionamento della Commissione che la Presidente della Commissione medesima aveva comunicato il 5 novembre scorso. Sappiamo che sono oltre 15.000 le famiglie interessate a questa materia nel nostro Paese e, purtroppo, molte migliaia i bambini che sono senza famiglia e che invece, attraverso l’adozione internazionale, avrebbero la possibilità di una vita più dignitosa e di un futuro più certo. È evidente che l’intenzione della nostra interrogazione era quella di riportare l’attenzione del Governo non solo sul pieno funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali, ma anche sull’applicazione dei princìpi fondamentali che la Convenzione dell’Aia del 1993 ha definito e che sono stati ratificati nel 1998, riguardanti l’interesse superiore del minore e il rispetto dei diritti fondamentali che, come tali, sono riconosciuti nel diritto internazionale. Mi riferisco alla necessità di instaurare un sistema di cooperazione tra gli Stati al fine di assicurare il rispetto di queste garanzie e quindi prevenire la sottrazione, la vendita e la tratta di minori ? un problema che, ahimè, anche in base al recente rapporto dell’UNICEF risulta di proporzioni drammatiche -; infine, quello di assicurare il riconoscimento nei diversi Stati delle adozioni realizzate in conformità alla Convenzione. Si tratta di princìpi che rischiano di rimanere ancora disattesi o inapplicati per alcune di queste situazioni. Infine, vorrei ricordare altri due aspetti che mi sembrano importanti, approfittando della cortesia del Governo. In primo luogo, la necessità per quanto riguarda il nostro Paese di definire presto le linee guida per le adozioni internazionali e, all’interno di tali linee guida, le indicazioni relative ai tetti di spesa degli oneri sostenuti da ciascuna famiglia per le adozioni, essendoci un divario molto grande tra ente ed ente, tra Paese e Paese, e creando questo una situazione di incertezza. In secondo luogo, il fatto che i 57 enti autorizzati nel nostro Paese abbiano un riconoscimento di pari dignità con i servizi assistenziali degli enti locali, i tribunali per i minorenni e la stessa commissione per le adozioni internazionali in un regime di sussidiarietà. Infine, una sollecitazione a che le Regioni, per quanto di loro competenza e per quello che attiene alle loro iniziative, si dotino degli strumenti necessari previsti dalla legge: nessun protocollo operativo è ancora stato firmato, ben dieci regioni non hanno neanche avviato le relative procedure, mentre solo sei regioni hanno proposto attività di formazione degli operatori, così come previsto dalle vigenti disposizioni. Quindi, invito il Governo, per quanto di sua competenza e per quanto è nei suoi poteri, a sollecitare le regioni perché ci sia una piena applicazione della Convenzione dell’Aia e quindi della legge n. 476 che l’ha recepita nel 1998.


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