Famiglia

Adozione: quando un bambino abusato si riscopre figlio

Accogliere un figlio in affido o in adozione è sempre aprirsi a qualcosa di più grande, a maggior ragione quando il bambino ha alle spalle esperienze di abuso. Ma nemmeno queste sono "adozioni impossibili": «Un figlio non lo si sceglie: lo si accoglie, indipendentemente da com’è. E a questa accoglienza ci si può preparare, con il cuore e con la testa», dicono le Mamme Matte. La testimonianza di Marika: «Le adozioni fallite non sono l’esito dell’incapacità di un genitore ma la testimonianza che questo genitore non è stato adeguatamente aiutato»

di Sara Bellingeri

«È il bambino ad avere diritto a una famiglia, non il contrario. E crediamo fermamente che esista una famiglia per ogni bambino, per quanto la situazione possa essere complessa. Perché un figlio non lo si sceglie: lo si accoglie, indipendentemente da com’è. E a questa accoglienza ci si può preparare, con il cuore e con la testa». Si condensano in questa frase gli intenti e i capisaldi valoriali che accompagnano l’attività di M'aMa – Dalla Parte dei Bambini, un’associazione di promozione sociale nata nel 2017, meglio conosciuta come “Mamme Matte”.

«Ci occupiamo di progetti relativi ad affidamenti o adozioni di minori che hanno subito gravi traumi o che presentano problemi di comportamento provocati da maltrattamenti o abusi, anche di tipo sessuale, che hanno disabilità di tipo fisico o cognitivo e che hanno un’età superiore ai nove anni», spiega la presidente Emilia Russo, avvocatessa e consulente in adozione e affido. Da questa missione “impossibile” nasce il nome “Mamme Matte”: «Ormai ci conoscono tutti con questo soprannome», prosegue sorridendo Russo. «Fin dall’inizio tutti, compresi giudici e famiglie, ci dicevano: ma siete matte? In realtà siamo la dimostrazione che cercando, formando e accompagnando le famiglie questo incontro si può realizzare per davvero». A fianco di Emilia Russo nell’associazione operano altri genitori con esperienza di affido, che mettono a disposizione le loro professionalità in ambito pedagogico, educativo e non solo. «Siamo per lo più mamme, ma c’è anche un papà: essere una “mamma matta” è una questione mentale».

Accogliere, con il cuore e con la testa

Nel mondo delle adozioni, si sa, c’è da anni un gap fra desideri e realtà: «La maggior parte dei bambini adottabili sono già grandi o presentano alcune problematiche. Le coppie al contrario spesso puntano a bambini piccoli, se non neonati», spiega Russo. «Spesso sono coppie con storie dolorose di procreazione assistita senza successo. Incontriamo persone consapevoli e preparate ad accogliere bambini con problematiche anche molto pesanti e altre invece che disponibili ad accogliere solo bambini piccoli senza problemi o che fraintendono determinate definizioni. Ricordo un papà che esordì dicendo che lui e la moglie non erano aperti alla disabilità, mentre parlando è emerso che per lui la sindrome di Down non era una disabilità! Se ci fossimo fermate ai termini del decreto, non avremmo mai concretizzato un’adozione che poi è andata bene».

M'aMa – Dalla Parte dei Bambini realizza così percorsi di secondo livello sui temi della disabilità e dell’abuso. Tra i suoi principali progetti c’è “Contatto”: «I servizi sociali e i tribunali ci chiamano mandandoci le relazioni sui bambini e noi cerchiamo le famiglie attivando un percorso di conoscenza e confronto», racconta Russo. «Spesso le famiglie sono prese dal cuore, che resta la base, ma noi ricordiamo sempre che bisogna anche metterci la testa: quando si accoglie o si adotta occorre essere ben consapevoli di ciò che si fa, perché soprattutto con l’adozione un figlio è per sempre».

L’amore resta fondamentale ma lo sono anche i supporti e nel caso di una vicenda pregressa di abuso questi possono essere necessari in maniera continua. È fondamentale ricordare alle famiglie che quando sono in difficoltà va subito chiesto aiuto, prima di arrivare allo stremo. Il continuare a ripetersi “Noi ce la facciamo” porta a rischiare il burnout e nei casi limite si può anche arrivare alla richiesta di restituzione del bambino

Emilia Russo, presidente di Mamme Matte

Emilia Russo scardina alcuni stereotipi relativi a queste “adozioni impossibili”. «Ci sono famiglie che paradossalmente sottovalutano la situazione dei bambini che hanno subìto abusi. Un bambino che è stato abusato sessualmente ha una frattura interiore che darà sicuramente una manifestazione di sintomi e che richiede quindi una forte dose di empatia e impegno. La nostra associazione prepara ad affrontare queste complessità e possiamo dare testimonianza che queste famiglie possono stare bene insieme, andare in vacanza, uscire a prendere una pizza… come tutte».

Che cosa fa l’associazione per accompagnare un’adozione o un affido di bambini con special needs? «Le famiglie che incontriamo hanno già compiuto una formazione di base a cura dei servizi sociali pubblici. Noi successivamente attiviamo un percorso chiamato “Bisogni speciali, sì grazie!” che coinvolge anche l’ambito relativo agli abusi», spiega Russo. «È un percorso basato molto sull’esperienza: ci confrontiamo su casi concreti e facciamo delle simulazioni cercando di far entrare le famiglie dentro alcune situazioni-tipo, per quanto possibile. Il percorso è gestito da una nostra collega counselor». Non mancano inoltre attività come i gruppi di auto mutuo aiuto per la condivisione e il confronto: «L’amore resta fondamentale ma lo sono anche i supporti e nel caso di una vicenda pregressa di abuso questi possono essere necessari in maniera continua», specifica. «Capita anche di accogliere bambini di cui non si sa che sono stati abusati: la confessione arriva dopo, nel momento in cui si sentono al sicuro, protetti e amati». Altro tema cardine è quello della richiesta di aiuto: «È fondamentale ricordare alle famiglie che quando sono in difficoltà va subito chiesto aiuto, prima di arrivare allo stremo. Il continuare a ripetersi “Noi ce la facciamo” porta a rischiare il burnout e nei casi limite si può anche arrivare alla richiesta di restituzione del bambino».

Consapevolezza senza edulcorazioni riguardo alla complessità delle situazioni, ma allo stesso tempo nessuna concessione al pietismo: «Per noi “Mamme Matte” un concetto cardine resta quello che i figli sono figli e non un caso pietoso, così come il fatto che noi non siamo sante. I “nostri” genitori adottivi riprendono o sgridano i loro figli se combinano birbanterie, li educano, vivono una quotidianità fatta di varie sfumature come accade in tante famiglie». E aggiunge: «Essendo noi stessi famiglie affidatarie ponte, capiamo bene la situazione altrui perché conosciamo le dinamiche: ogni storia è diversa, ma ci sono diversi punti in comune». Quali? «Ci sono adolescenti che svalutano qualunque cosa venga fatto per loro, per il grande timore di affezionarsi perché sono convinti che prima o poi se ne dovranno andare via da quella famiglia. Abbiamo inoltre a che fare con bambini che desiderano fortemente piacere al mondo, è un loro bisogno, e farebbero qualsiasi cosa per questo, anche le più pericolose. Inoltre ti mettono alla prova provocandoti con una dinamica del tipo: “Vediamo, caro genitore, se mi tieni anche quando combino cose che ti fanno esasperare!”. È una sfida che nasce dal testare il tuo bene nei loro confronti, per scoprire se verranno mandati via. Ma la risposta è sempre: “Qualunque cosa tu faccia, tu resterai qui perché ti vogliamo bene”».

La storia di Marika

L’affido o l’adozione di un bambino con alle spalle esperienze così complesse ha tante sfaccettature, come in un prisma: solo le storie in carne ed ossa riescono a restituircele tutte. Marika (nome di fantasia, a tutela della privacy) è la nostra storia in carne ed ossa, una donna intrisa di forza e determinazione, che si è resa disponibile per raccontarci la sua esperienza di affidamento e poi di adozione della piccola Emma (altro nome di fantasia). Marika e suo marito sono già genitori di tre figli biologici e di una bambina adottata quando era molto piccola. Arriva poi la decisione di donare il calore di una famiglia anche ad Emma che a soli cinque anni, con una malformazione genetica che richiede terapie, si scontra con una situazione di incuria e abbandono da parte della sua famiglia d’origine. A ciò si aggiunge una vicenda disarmante di abuso sessuale da parte di un soggetto esterno alla famiglia. Gli ostacoli da superare sembrano enormi, eppure Marika e suo marito non demordono e sfidano burocrazia, pregiudizi e fatica. «Eravamo già formati all’accoglienza come famiglia affidataria, incluso il fatto l’affido di Emma potesse essere temporaneo, senza trasformarsi in un’adozione. Questa consapevolezza è fondamentale per realizzare una vera accoglienza: perché un figlio non lo possiedi ma lo accompagni lungo il percorso della vita». Marika e il resto della famiglia imparano giorno dopo giorno a fronteggiare un trauma sferzante come quello dell’abuso: «Emma in un paio di occasioni mi ha raccontato alcuni episodi di quello che le era capitato, manifestando tutti i chiari segni dell’abuso. Il trauma dell’abbandono e dell’abuso danneggiano il sistema della memoria che in questi bambini va come in deficit pur di evitare il ricordo doloroso. Inoltre c’è un’empatizzazione positiva nei confronti della famiglia che li ha abbandonati perché ammettere che i genitori non si sono comportati bene farebbe crollare il mondo di questi bambini. Sono tutti meccanismi di salvaguardia di cui noi genitori affidatari e adottivi dobbiamo essere ben consapevoli».


Credo che i tribunali debbano presentare chiaramente la situazione del bambino che va in affidamento e invece tendono a non dire tutto. Ma questo non è un bene per nessuno. Una preparazione e una formazione sono indispensabili per evitare un contraccolpo. L’amore è fondamentale ma da solo non basta e soprattutto non è immediato, come tutti credono: ci vuole tanta consapevolezza da parte del genitore su questo aspetto. I bambini che provengono da situazioni difficili possono manifestare atteggiamenti di tipo oppositivo-provocatorio, devi mettere in conto qualche batosta e non pretendere immediate gratificazioni… che comunque poi arriveranno

Marika, mamma di Emma

Consapevolezza è la parola chiave. «A queste situazioni non si può mai essere preparati al cento per cento. È quindi importante, strada facendo, avere una figura di riferimento con cui confrontarsi per dare voci a dubbi, fatiche e anche sentimenti che emergono. Per noi è stata fondamentale una psicologa che ci ha seguito passo dopo passo, facendo incontri anche con Emma. Molto prezioso è stato anche il supporto delle “Mamme Matte”, che ci hanno risposto quando altri non lo facevano», dice Marika. A creare disagio ci sono anche lacune e contraddizioni del sistema, che Marika denuncia schiettamente. «Credo che i tribunali debbano presentare chiaramente la situazione del bambino che va in affidamento e invece tendono a non dire tutto. Ma questo non è un bene per nessuno». Un altro tasto dolente è la mancanza di una formazione che coinvolga anche gli altri figli, così come si fa per i fratelli e le sorelle di ragazzi e ragazze disabili, i siblings. Non da ultimo lo scoglio viene dai grovigli burocratici: «Abbiamo affrontato un sacco di peripezie burocratiche, ed è assurdo che tanto tempo e tante energie debbano essere impiegate in questo! Si genera stress quando invece è importante che le energie vengano investite tutte sul bambino accolto. In tribunale ci hanno persino detto: “Avete fatto tutto questo e non è neanche vostra figlia…”. Noi abbiamo risposto che per noi Emma è nostra figlia!».

La preoccupazione di Marika è rivolta alle coppie alla prima esperienza come genitori e che si apprestano ad accogliere bambini con problematiche o vissuti forti come l’abuso: «In questo caso una preparazione e una formazione sono indispensabili per evitare un contraccolpo ancora più forte, mancando un’esperienza genitoriale precedente. L’amore è fondamentale ma da solo non basta e soprattutto non è immediato, come tutti credono: ci vuole tanta consapevolezza da parte del genitore su questo aspetto. I bambini che provengono da situazioni difficili possono manifestare atteggiamenti di tipo oppositivo-provocatorio, devi mettere in conto qualche batosta e non pretendere immediate gratificazioni… che comunque poi arriveranno».

Il messaggio che vorrei dare agli altri genitori è che se sono in difficoltà o hanno bisogno di aiuto devono chiederlo prima di arrivare allo stremo: il rischio altrimenti è quello di arrivare a rendere il bambino e innescare in lui il trauma di un nuovo abbandono. Le adozioni fallite non sono l’esito dell’incapacità di un genitore ma la testimonianza che questo genitore non è stato adeguatamente aiutato. Abbiamo bisogno di aiuto semplicemente perché non siamo supereroi, ricordando che non è il bambino impossibile da gestire ma siamo noi adulti che dobbiamo essere consapevoli di quello che ha vissuto il bambino e lavorare per lui.

Marika, mamma di Emma

Accogliere un bambino con un vissuto così impegnativo è un percorso che mette molto in discussione, come conferma Marika: «Occorre accettare sentimenti umani che tutti noi proviamo quando siamo messi alla prova o siamo stanchi. Io ad esempio avevo paura dell’assenza di spirito materno che ho provato nei confronti di Emma durante le fasi più difficili. La psicologa mi ha aiutato a confrontarmi con questi sentimenti e ne siamo usciti più forti. Ma se non avessimo avuto accanto persone competenti, non saremmo riusciti a gestire la situazione. Il messaggio che vorrei dare agli altri genitori è che se sono in difficoltà o hanno bisogno di aiuto devono chiederlo prima di arrivare allo stremo: il rischio altrimenti è quello di arrivare a rendere il bambino e innescare in lui il trauma di un nuovo abbandono. Le adozioni fallite non sono l’esito dell’incapacità di un genitore ma la testimonianza che questo genitore non è stato adeguatamente aiutato».

È vero, si fa sempre fatica ad ammettere di avere bisogno di aiuto: «In realtà abbiamo bisogno di aiuto semplicemente perché non siamo supereroi. Ricordando che non è il bambino impossibile da gestire ma siamo noi adulti che dobbiamo essere consapevoli di quello che ha vissuto il bambino e lavorare per lui. Ed è importante capire se ce la sentiamo veramente di affrontare questa situazione: ci dev’essere sincerità con noi stessi».

L’ombra e la luce

L’ombra è il cuore più profondo della luce, diceva Jung: una frase che sembra creata apposta per certi vissuti, come confermano le parole di Marika. «Emma ci ha fatto scoprire e acquisire nuove competenze di vita, facendoci mettere in gioco e diventare più funzionali anche a livello familiare. Il miracolo dell’accoglienza è proprio questo: ci si accoglie reciprocamente, indipendentemente dalle storie che abbiamo vissuto, scoprendo allo stesso tempo nuove parti di noi stessi». I momenti difficili, che a volte assumono le sembianze di vicoli ciechi, dopo tanto impegno si affacciano su squarci improvvisi e traguardi che hanno una doppia soddisfazione. Marika ci rivela con emozione quali sono stati i suoi: «Dopo un anno e mezzo di affido, Emma ha abbracciato mio marito chiamandolo “mio babbo”, mentre prima non voleva nemmeno farsi avvicinare dalla figura maschile per ciò che aveva subito. Questa è stata la testimonianza che si fidava di lui ed è stato commovente. L’altro traguardo è stato quando abbiamo comunicato ad Emma che sarebbe rimasta per sempre con noi: lei allora mi ha abbracciata forte e ha pianto di gioia dicendo “Questa è la cosa più bella”».

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