Famiglia

Adozione internazionale: servono fatti, non parole

di Paola Crestani

La situazione delle adozioni internazionali in Italia è gravissima, non è più possibile perdersi in parole ma è urgente passare ai fatti concreti.

Di quanto sia grave il momento ce lo hanno ulteriormente ricordato, da punti di vista molto diversi, due eventi che si sono svolti la scorsa settimana.

Da una parte la vicepresidente della CAI Silvia Della Monica, durante un convegno, ha tracciato un quadro buio delle adozioni in Italia, confermando le accuse di adozioni illecite nei confronti dell’ente AIBI riportate dal giornalista Fabrizio Gatti in una serie di articoli su L’Espresso e aggiungendo anche dei sospetti sulle adozioni dall’ Etiopia.

Ha anche detto di voler fare pulizia nelle adozioni, di voler andare fino in fondo.

I fatti sono però che, a fronte di accuse tanto gravi ad enti autorizzati (si parla esplicitamente solo di AIBI ma si dice anche di altri enti “non seri” che si occupano di adozione) la Commissione Adozioni – l’organo collegiale che ha il compito di verificare l’operato degli enti autorizzati e di prendere i provvedimenti necessari in caso di comportamenti inadeguati, fino anche alla revoca dell’autorizzazione – non viene convocata dal giugno 2014.

Ma perché non si convoca la Commissione Adozioni? Per un conflitto di interessi, ha specificato la vicepresidente, una incompatibilità che riguarda il rappresentante familiare del Forum Famiglie, che il DPR 108 /2007 che regola la CAI vuole a far parte della Commissione stessa. Del consiglio direttivo del Forum Famiglie fa parte il presidente di un ente, proprio AIBI, e questo fa si che un membro della Commissione Adozioni, che dovrebbe controllare gli enti, abbia al suo interno un ente, creando quindi un possibile conflitto di interessi.

La vicepresidente Della Monica aveva ravvisato questa incompatibilità ancora nel 2014, quando aveva anche la delega di Presidente, tanto che aveva chiesto l’emanazione di un DPCM, firmato dal ministro Graziano Delrio il 13 marzo 2015, che ha decretato che non possono essere nominati come membri della Commissione Adozioni rappresentanti di associazioni familiari che abbiano al loro interno enti autorizzati.

Secondo quanto ha detto la vicepresidente al convegno, AIBI dovrebbe dimettersi dal Forum Famiglie: indubbiamente potrebbe aiutare ma non succede. E’ possibile quindi che un sistema di controllo per funzionare si debba basare sulla “buona volontà” dei controllati?

Quello che è certo è che sono quasi tre anni che la Commissione Adozioni non si riunisce. E quindi?

Quindi in questo momento il sistema delle adozioni internazionali in Italia è privo dell’organo che può garantire la correttezza delle adozioni, controllando gli enti e sanzionando chi non si comporta in modo adeguato. Significa che, nonostante la volontà di garantire adozioni pulite, di fatto tutti gli enti possono continuare ad essere autorizzati e a fare adozioni, qualunque cosa facciano e a dispetto delle più gravi accuse nei loro confronti.

Il fatto vero quindi è che si sono puntati i riflettori su alcuni enti lasciando però tutti in grado di operare senza controllo.

La mancanza di controllo è ancora più grave a fronte del periodo di grande sofferenza, a livello mondiale, delle adozioni internazionali.

Ormai tutti sanno che le adozioni sono in forte diminuzione da diversi anni in tutto il mondo e che i bambini che vengono segnalati per l’adozione sono bambini con una serie di problematiche per cui sempre meno frequentemente si trovano famiglie disponibili ad accoglierli.

In Italia però il numero di enti autorizzati è sempre lo stesso del 2011, anno in cui di adozioni se ne facevano più del doppio di oggi, e ciò crea un problema non indifferente per la gestione di queste organizzazioni che per sopravvivere, per restare a galla, possono essere tentate di fare “adozioni ad ogni costo” o di mettere in campo delle pratiche molto più adatte al settore commerciale che non ad un’organizzazione non profit.

E’ proprio quanto è stato denunciato dalle famiglie in un convegno che si è svolto al Senato sempre nella scorsa settimana. Famiglie, un centinaio circa, che desideravano adottare e che si sono affidate ad enti autorizzati, quindi con “il bollino della CAI”, che dovrebbe garantire che si tratta di organizzazioni che non hanno scopo di lucro e che sono dirette da personale con “adeguate qualità morali”. Queste famiglie hanno anticipato agli enti (su Repubblica di qualche settimana fa si parlava esplicitamente di un solo ente – Enzob – ma si diceva che ne sono coinvolti anche altri) quantità enormi di denaro, anche più di 10.000 euro, per adozioni mai avvenute e che presumibilmente non avverranno mai.

Sono infatti troppe le famiglie in carico ad alcuni enti rispetto al numero di adozioni che sono ormai in grado di portare a termine, visto il calo generale.

Una situazione difficilissima, anche perché, al di là della gestione poco rispettosa delle famiglie, nasconde un pericolo ancora più grande: che per riuscire a soddisfare la richiesta delle famiglie, che premono anche perché hanno versato tanti soldi, alcuni enti siano tentati di fare pressioni sui Paesi di provenienza dei bambini per avere più segnalazioni e sappiamo bene che questo può aumentare molto il rischio di adozioni illecite.

Insomma, nonostante la volontà di puntare alla qualità invece che alla quantità delle adozioni (principio che sostengo da sempre) si sta lasciando senza controllo un sistema, quello delle adozioni internazionali in Italia, ormai al collasso, con tutti i pericoli che questo comporta.

Per garantire davvero adozioni corrette ed il rispetto dei diritti dei bambini, sia quelli abbandonati che quelli già adottati, non bastano più le parole sui giornali, le dichiarazioni d’intenti, i proclami nei convegni: servono fatti.

Bisogna fare in modo che la Commissione Adozioni possa riunirsi e verificare l’operato di ogni ente, anche attraverso modifiche urgenti alla normativa vigente;

bisogna pubblicare le statistiche sulle adozioni, primo e più semplice strumento di pulizia e trasparenza;

bisogna riprendere adeguate relazioni con i Paesi di provenienza dei bambini (non esistono solo Congo e Bielorussia) e rispettare i protocolli bilaterali sottoscritti;

bisogna verificare l’operato degli enti, di tutti gli enti autorizzati ed i requisiti per l’autorizzazione, arrivando anche alla revoca, se il caso. La normativa non prevede divisioni tra enti seri e non seri ma solo tra autorizzati e non;

bisogna avviare un piano di sostegno concreto ai sistemi di protezione dell’infanzia dei Paesi da cui provengono i bambini per dare realizzazione al tanto declamato principio di sussidiarietà e prevenire l’abbandono dei bambini.

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