Famiglia
Adozione, cosa mettere in valigia per il primo incontro?
Quando arriva il momento dell'incontro con il figlio tanto atteso, la prima domanda che le coppie si fanno diventa: “E se poi non gli piaccio?”. Ma poi arriva sempre anche “Cosa metto in valigia?”. In un convegno, Asa ha fatto il punto su come prepararsi al primo incontro. Dove la valigia ovviamente è una metafora (ma non solo)
Noi abbiamo portato bolle di sapone e una macchinina. Noi una bambola. Noi un peluches. Noi palloncini e tanti disegni con pennarelli: io parlavo in inglese e lei in hindi, non ci capivamo, ovviamente, ma si lasciava incantare da ciò che disegnavo e dal suono della voce, calmo e dolce. Ho disegnato e parlato per ore accanto a lei. Sui gruppi Facebook dove i genitori in attesa di adozione si scambiano le loro esperienze, questa è una domanda ricorrente: «Come è stato il primo incontro con vostro figlio? Che attività avete fatto? Cosa avete messo in valigia?».
Patrizia Salentino è assistente sociale, oltre che una mamma che ha adottato molti anni fa, e lavora per la sede tarantina di Associazione Solidarietà Adozioni-Asa. Sorride quando dice che «facciamo tantissima preparazione alle coppie, anche dedicata al primo incontro, ma dopo l’abbinamento, quando dal “bambino immaginato” si passa al “bambino reale”, con un’età, un nome, dei gusti… è come se si resettasse tutto».
La prima domanda che le coppie si fanno «a quel punto diventa “E se poi non gli piaccio?”. Ma tra le domande che fanno arriva sempre anche quella sul “cosa metto in valigia?” intendendo non una valigia metaforica ma proprio la valigia reale», racconta. «E l’emozione è talmente grande che non è scontato nemmeno il ricordare alle coppie di mettere in valigia abiti comodi che permettano di giocare liberamente con il bambino nel primo incontro, anche sdraiandosi a terra».
Facciamo tantissima preparazione alle coppie, ma dopo l’abbinamento, quando dal “bambino immaginato” si passa al “bambino reale”, è come se si resettasse tutto. La prima domanda che le coppie si fanno a quel punto diventa “E se non gli piaccio?”. La seconda “Cosa metto in valigia?”
Patrizia Salentino, assistente sociale Asa
Il tema della preparazione dei bambini all’adozione internazionale è stato al centro del convegno che Asa ha organizzato a Siracusa lo scorso 21 giugno in occasione dei suoi 25 anni, ospitato da The Siracusa International Institute for Criminal Justice and Human Rights. «Abbiamo scelto di riflettere insieme su questo tema perché riteniamo che sia un aspetto importante e anche perché volevamo davvero mettere i bambini al centro: sulla carta i bambini sono sempre i protagonisti, ma di fatto quando si parla di adozioni a volte si finisce per concentrarsi più sulle coppie e le loro esigenze, oppure sui problemi del sistema. Abbiamo cercato un approccio diverso. Alla fine se pensiamo che in due o tre incontri i bambini devono essere pronti per cominciare una nuova vita con due estranei… dobbiamo ammettere che a loro chiediamo davvero tanto in quel momento. E il fatto che i bambini siamo sempre più grandi è un elemento aggiuntivo da tenere in considerazione, perché i bambini hanno un loro vissuto, i loro ricordi», spiega Maria Virgillito, la presidente.
La preparazione dei bambini
La preparazione dei bambini all’adozione e al primo incontro con i loro genitori è ovviamente affidata ai Paesi di origine. «I minori che si avvicinano all’adozione internazionale hanno il diritto di essere ascoltati, di essere resi edotti sulle conseguenze dell’adozione, di esprimere non solo le loro opinioni ma anche i loro desideri. Il consenso del minore all’adozione deve essere raccolto, in modalità che variano a seconda dell’età. Questo dicono le convenzioni internazionali. Eppure non possiamo tacere il fatto che in alcuni Paesi si verificano lesioni dei diritti dei minori che non accetteremmo mai nel nostro Paese, a cominciare dal diritto all’ascolto. Ci sono per esempio ancora Paesi in cui l’incontro tra bambino e coppia avviene prima dell’abbinamento», ha sottolineato Vincenzo Starita, vice-presidente della Commissione Adozioni Internazionali. In quest’ottica – ha aggiunto – «è fondamentale il lavoro di formazione delle coppie, perché una coppia ben formata e preparata è il contributo più grande che noi possiamo portare».
I minori che si avvicinano all’adozione internazionale hanno il diritto di essere ascoltati, di essere resi edotti sulle conseguenze dell’adozione, di esprimere non solo le loro opinioni ma anche i loro desideri. Questo dicono le convenzioni internazionali. Eppure non possiamo tacere il fatto che in alcuni Paesi si verificano lesioni dei diritti dei minori che non accetteremmo mai in Italia
Vincenzo Starita, vice-presidente Cai
Fra i Paesi in cui Asa è operativa, al tavolo di Siracusa c’erano Alexandra Staruchova, referente per l’Autorità Centrale della Slovacchia e Alice Trávníková, referente per l’Autorità Centrale della Repubblica Ceca: entrambe hanno illustrato le modalità con cui preparano i bambini all’adozione e al primo incontro con i genitori.
In Slovacchia, ha spiegato Staruchova, c’è una preparazione generale dei bambini all’adozione fatta con storie, disegni, counselling. È garantita la possibilità che il bambino possa esprimere la sua opinione sull’adozione, senza accontentarsi di un primo parere, fino ad avere un consenso scritto all’adozione. Quando poi arriva la notizia formale dell’adozione, con una data di incontro con i genitori, ecco che parte la preparazione specifica del bambino. «La psicologa del Centro prepara un profilo della coppia da presentare al bambino, ci facciamo mandare le foto e un piccolo video da mostrare al bambino. La preparazione viene condivisa tra la coppia di genitori affidatari professionali che accoglie il bambino e i professionisti del Centro per i bambini e la famiglia ed è volta a raccogliere le domande e le preoccupazioni del bambino, per rassicurarlo. Insegniamo al bambino alcune semplici parole nella lingua della coppia adottiva. Il giorno dell’incontro, noi incontriamo i genitori prima del bambino per trasmettere loro alcune informazioni essenziali, in particolare sulla routine e i comportamenti del bambino», racconta Staruchova.
Il primo incontro avviene alla presenza di uno psicologo, di uno dei genitori affidatari professionali e di un interprete. Grazie alle foto e ai video, la coppia non è del tutto estranea al bambino. Tra il primo incontro e l’udienza passano due o tre settimane, a seconda dell’età del minore e in questo arco di tempo il bambino viene gradualmente affidato ai genitori.
Prima dell’incontro non usiamo mai la parola genitori ma parliamo di persone che verranno in visita, chiamandole per nome. Al primo incontro poi è importante ricordare che ogni reazione va bene, perché in una condizione anormale ogni reazione è normale
Alice Trávníková, referente per l’Autorità Centrale della Repubblica Ceca
Alice Trávníková, referente per l’Autorità Centrale della Repubblica Ceca, ha spiegato che le coppie, prima dell’incontro “zero”, scelgono delle favole o delle canzoncine che i bambini possano iniziare ad ascoltare, mandano foto e video in cui raccontano di sé, della casa, dei gatti, dei nonni che li aspettano. Con i video è possibile anche coinvolgere i bambini in una piccola attività come colorare uno stesso disegno (non ci sono però incontri online tra genitori e bambini, tutto è mediato dagli operatori). «Nella preparazione rispettiamo la situazione specifica del minore, in base all’età o alla sua maturità. La preparazione viene fatta sempre dalla stessa persona e comincia una o due settimane prima dell’incontro. In questo arco di tempo non usiamo mai la parola genitori ma parliamo di persone che verranno in visita, chiamandole per nome. Nel momento del primo incontro, è importante ricordarsi che ogni reazione va bene, perché in una condizione anormale ogni reazione è normale».
La preparazione delle coppie
La preparazione dei bambini e la preparazione delle coppie non possono essere due mondi disgiunti. «Uno dei compiti dell’ente autorizzato è quello di accompagnare le coppie in un percorso di formazione, o più precisamente di preparazione all’adozione, che si svolge durante la fase dell’attesa post mandato», raccontano Loredana Chielli e Patrizia Salentino, rispettivamente psicologa e assistente sociale della sede di Taranto di Asa, entrambe mamme adottive proprio con Asa. «In particolare nel quarto incontro di gruppo, dal titolo “Diventare famiglia”, si affrontano tematiche quali l’abbinamento, il primo incontro, la permanenza all’estero, l’identità e le origini del bambino con riflessioni sul nome, la storia, il rispetto delle origini e la continuità affettiva. Si descrive in particolare il primo incontro con il proprio bambino, tratteggiando non solo le sue possibili reazioni ma anche ciò che può accadere alla coppia, invitando ciascuno ad immaginare le proprie possibili emozioni. Particolare attenzione viene posta al tema del nome del bambino da rispettare e conservare in continuità con il passato, evidenziando quanto, invece, possa essere rischioso sul piano psicologico operare delle fratture», spiegano.
Un altro tema su cui insistono è l’importanza che i genitori si presentino al primo incontro avendo imparato qualche semplice parola nella lingua del bambino: non è solo una necessità pratica, ma il segno di un abbraccio che ricomprende il bambino, il suo mondo, la sua storia.
Il profumo che arriva prima
Ma alla fine, che cosa metto in valigia? O nel famoso pacco che in alcuni Paesi, per esempio l’Ungheria, è possibile mandare ai bambini prima di incontrarli? Chielli e Salentino per rispondere hanno lasciato la parola ai bambini che ci sono già passati. «Quando ho aperto il pacco ero felice perché avevo dei giochi nuovi mi hanno colpito gli animali perché io adoro gli animali». Oppure: «Mi sono emozionato e per prima cosa ho chiesto cosa c’era scritto sul biglietto, poi ho visto tanti regali e mi ha divertito che erano tutti colorati. La cosa che più mi è piaciuta è stato il pallone da calcio con la maglietta col mio colore preferito e il mio nome. L’avevo sempre desiderato». Ma anche: «Ero felice perché c’erano cose buone da mangiare».
I più grandi consigliano di mettere nel pacco più cose italiane, cibi italiani così sappiamo cosa troviamo all’arrivo, niente vestiti per le taglie e per i gusti, molti giocattoli. E molte molte più foto dei genitori, dei parenti e dei luoghi: più informazioni si hanno sull’Italia, più i bambini sanno dove e con chi andranno
Loredana Chielli, psicologa Asa
I più grandi consigliano «di mettere nel pacco più cose italiane, cibi italiani così sappiamo cosa troviamo all’arrivo in Italia, niente vestiti per le taglie e per i gusti, molti giocattoli a seconda dell’età. E molte molte più foto dei genitori, dei parenti e dei luoghi: più informazioni si hanno sull’Italia, più i bambini sanno dove e con chi andranno». In quel pacco, racconta Loredana, «una mamma, con un’intuizione meravigliosa, ha mandato un peluche spruzzato con il suo profumo, così il bambino quando l’ha incontrata ha ritrovato anche quella dimensione».
L’adozione te la racconto io
L’idea di coinvolgere ragazzi più grandi con background adottivo è molto interessante: una sorta di peer education che restituisca a loro protagonismo diretto. Il Servizio regionale adozioni internazionali della Regione Piemonte a questo proposito ha realizzato già da qualche anno dei video che raccontano l’adozione dal punto di vista dei bambini. La trama, basta sulle storie di altri bambini che hanno già vissuto l’adozione, offre un racconto a misura di bambino centrato sulla storia di Moïse, un bimbo africano che sta per essere adottato da una famiglia italiana. Oltre a essere descritti i vari passaggi dell’adozione, nei video (in italiano e in francese) trovano spazio le emozioni e gli interrogativi del piccolo protagonista. In maniera simbolica quindi Moïse può interagire con i bambini adottati prima di lui. Il progetto “Da bambino a bambino” prevede la realizzazione di altri video, declinati su altri Paesi di origine.
Le valigie da disfare
A quel punto, per i bambini e per i genitori inizia un nuovo viaggio, insieme. E lì – ha ricordato il vicepresidente Starita – è importante tenere a mente che «quando si torna da un viaggio e si riparte per un viaggio nuovo, occorre anche darsi il tempo per disfare le valigie». Una ragazza con background adottivo per esempio ha sottolineato quanto sia motivo di pressione l’aspettativa dei genitori che i bambini da poco adottati dall’estero vadano subito a scuola.
Come può il bambino avere consapevolezza che quei due adulti che ha appena incontrato non lo abbandoneranno a loro volta? Visto che bisogna ricostruire il legame fiduciario, nei primi incontri tra i due futuri genitori ed il bambino, è bene che ci siano meno parole e più sguardi, meno discorsi e più calore, allegria e gioco
Fulvio Giardina, psicologo
«Molto spesso noi adulti comunichiamo con i bambini più per soddisfare le nostre esigenze che per fornire loro un reale contributo informativo. Il bambino in stato di abbandono è privo di quella esperienza sociale, affettiva, emotiva, che hanno i suoi coetanei nati e cresciuti all’interno delle loro famiglie. Come fa il bambino – nell’immediatezza dell’adozione – ad elaborare il suo abbandono? Come può avere consapevolezza che quei due adulti che ha appena incontrato, e con cui andrà via, non lo abbandoneranno a loro volta? La ferita dell’abbandono lascia una cicatrice affettiva, che si rimarginerà, ma lascerà traccia per tutta la vita, perché quello che è stato intaccato è la relazione fiduciaria che lega ogni bambino col mondo intero», riflette Fulvio Giardina, psicologo psicoterapeuta, past president del Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi, supervisore del servizio di psicologia di Asa e a sua volta genitore adottivo.
«John Bowlby ci ricorda che “la caratteristica più importante dell’essere genitori è fornire una base sicura da cui un bambino possa partire per affacciarsi al mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo”. E allora cosa dire sui primi incontri? Visto che bisogna ricostruire il legame fiduciario, nei primi incontri tra i due futuri genitori ed il bambino, è bene che ci siano meno parole e più sguardi, meno discorsi e più calore, allegria e gioco. Ci saranno tempi e modi per conoscersi, per accettarci pienamente, per condividere il comune percorso delle nostre vite, per scoprire l’unicità delle relazioni familiari, partendo sempre dal presupposto che la diversità è una ricchezza che ci unisce e non ci divide mai».
Foto di Vlada Karpovich su Pexels
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.