Famiglia
Adozione aperta, sì o no?
L'adozione deve sempre interrompere i legami con la famiglia biologica? Oppure per il minore è positivo mantenere un rapporto? La Corte Costituzionale deciderà a breve se la legge 184 deve essere cambiata, introducendo l'adozione aperta. Quali sono i rischi e i benefici? Siamo davvero pronti? Il dibattito
«Mi chiamo Antonio, ho 29 anni e sono stato adottato da una famiglia di Benevento insieme ai miei tre fratelli. Io sono il secondo. Nel 2006 arrivammo in questa nuova famiglia dopo aver vissuto per quattro anni in una casa famiglia, dove anche la nostra mamma era stata messa al riparo con noi. Da un giorno all’altro però lei è andata via e noi non abbiamo avuto più notizie da lei, se non per qualche telefonata o per qualche visita ogni tanto. Immaginate gli sbalzi di umore che ci ha causato: abbiamo passato ore ed ore sul balcone della casa famiglia a capire se sarebbe tornata oppure no. Venimmo poi a sapere che si era formata un’altra famiglia.
Da quando sono entrato nella mia nuova famiglia adottiva non ho mai voluto più avere rapporti con la famiglia di origine. Sono consapevole che i casi possono essere molto diversi, ma personalmente ho sempre creduto che non era giusto per me stesso e per la mia salute rimettermi in contatto con chi mi ha fatto del male. Oggi ho 29 anni e sento che la mia famiglia sono stati sempre Angelo e sua moglie Cettina, loro ci hanno dato tutto l’affetto da subito, ci hanno insegnato il rispetto, l’amore, la voglia di prendersi il mondo. Soprattutto ci hanno insegnato ad aiutare le persone meno fortunate di noi. Ora ho una vita indipendente con la mia compagna e lavoro in una struttura sociale come Oss, con ragazzi che hanno problemi psichiatrici. La mia storia e la mia sofferenza del passato mi aiuta nel mio lavoro, posso capire il loro dolore e la loro voglia di riscattarsi. Ogni giorno cerco di dare loro una speranza, quella speranza che io non ho mai perso. Ora che sono adulto anche io, conservo un sogno: ho sempre avuto il desiderio di adottare, quando succederà avvererò il mio desiderio perché solo chi ci è passato può capire.
Io penso che ogni persona è fatta a suo modo, ognuno decide cosa vuole dalla sua vita, io ho deciso di tagliare i ponti con la mia famiglia biologica per non ricordare più la tanta sofferenza che mi ha causato. A proposito della sentenza della Corte costituzionale che dovrebbe decidere sulle adozioni aperte, credo che ognuno di noi figli adottivi abbia il diritto di decidere cosa vuole fare, non devono essere altri a poter decidere su un aspetto così delicato e doloroso della vita altrui».
Non ho mai voluto avere rapporti con la famiglia di origine. Ho sempre creduto che non era giusto per me stesso e per la mia salute rimettermi in contatto con chi mi ha fatto del male
— Antonio Moretti
Queste parole sono di Antonio Moretti, un adottato adulto. Interviene così nel dibattito in corso sull’adozione aperta, ovvero su un’adozione piena a tutti gli effetti, che rende il minore figlio a pieno titolo e che interrompe tutti i legami giuridici con la famiglia di origine ma che – se questo è funzionale al benessere del minore – può mantenere dei legami affettivi con qualche membro della famiglia biologica: incontri di persona o anche solo lettere periodiche per uno scambio di informazioni periodiche.
Che cos’è l’adozione aperta
In Italia ad oggi l’adozione aperta non è prevista dalla legge: il legislatore nel 1983 con la legge 184 volle al contrario prevedere di default l’interruzione di ogni rapporto tra il bambino dichiarato adottabile e la sua famiglia di origine proprio nell’ottica della tutela del minore, per garantirgli la possibilità di ricominciare una nuova vita nella sua famiglia, senza i fantasmi che genitori problematici e incapaci di svolgere la loro funzione genitoriale avrebbero portato con sé.
In queste settimane però si parla molto di adozione aperta perché la Corte Costituzionale è stata chiamata dalla Corte di Cassazione ad esprimersi sulla costituzionalità dell’articolo 27 della legge 184/1983, ossia nel punto in cui prevede che i legami con la famiglia di origine vadano sempre recisi. La tesi degli avvocati è che si debba decidere caso per caso, valutando di volta in volta l’esistenza o meno di rapporti affettivi significativi magari con una nonna o uno zio, la cui interruzione significherebbe per il minore uno strappo molto violento, inutile, dannoso. La Corte Costituzionale si è riunita in udienza lo scorso 5 luglio: la sua decisione non è ancora stato pubblicata.
Il tema è delicatissimo e una sentenza sulla incostituzionalità dell’articolo 27 della legge 184/1983 cambierebbe radicalmente l’adozione così come l’abbiamo conosciuta finora. La questione però necessita di un dibattito pubblico, a livello di società, in cui portino il loro contributo giuristi e psicologi, ma anche famiglie adottive e adottati adulti. In vista decisione della Corte, da qualche settimana VITA sta animando questo dibattito, mettendo in luce i pro e i contro dell’adozione aperta.
Qui le riflessioni e i contributi già pubblicati sull’adozione aperta.
Cosa dice la legge e come potrebbe cambiare
Adozione aperta, 15 cose da sapere. Che cos’è l’adozione aperta, che differenza c’è con l’adozione mite, quanto sono diffuse le adozioni aperte “di fatto”, in cui a seguito di una ricerca delle origini di fatto le famiglie a un certo punto oggi si ritrovano facilmente in contatto con qualche membro della famiglia biologica. Perché per il benessere psicologico di un minore è importante mantenere un legame – che non deve necessariamente essere nella modalità dell’incontro di persona – con le sue origini. «Talvolta per evitare lo strappo con la famiglia di origine, si preferisce non procedere con la dichiarazione di adottabilità, prolungando la situazione di limbo per il minore». Una riflessione ampia con Marta Casonato, psicologa, esperta di adozione.
Adozione aperta, ecco com’è andata l’udienza. «È evidente che il principio costituzionale del miglior interesse del minore non ama gli automatismi legislativi e anzi è ontologicamente incompatibile con soluzioni legislative rigide che non consentano all’organo pubblico che deve in un determinato momento assumere una decisione che riguarda la vita di un bambino o di un adolescente di modularla su tutte le circostanze di fatto a sua conoscenza, comprese quelle relative al passare del tempo e all’avvenuto consolidamento di alcune situazioni di fatto»: così ha detto davanti alla Corte Elisabetta Lamarque, avvocato difensore dei due minori dalla cui vicenda è partita la questione di costituzionalità. La richiesta è quella di poter decidere di volta in volta, caso per caso, se recidere o meno i legami affettivi con la famiglia di origine. Anche perché – ha sottolineato l’avvocato – la Cassazione ha già stabilito che il testo della legge 184/1983 non consente la pronuncia di un’adozione aperta, prassi invece che alcuni giudici avevano praticato.
Talvolta per evitare lo strappo con la famiglia di origine, si preferisce non procedere con la dichiarazione di adottabilità, prolungando la situazione di limbo per il minore
— Marta Casonato
Adozione aperta, perché no
Tagliare i legami con la famiglia d’origine? Per il minore adottato è una tutela. «Il rischio che vediamo è che si riconosca diritto della famiglia di origine ad avere un ruolo nella storia presente e futura dell’adottato, a discapito del diritto del minore di poter avere una propria famiglia, in cui crescere serenamente. È questo il diritto del minore», dice Frida Tonizzo, presidente dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie-Anfaa, che esprime una «forte preoccupazione». «La legge non è restata indietro, quando è stato necessario abbiamo avuto sentenze di adozione piena che prevede il mantenimento dei rapporti. Nella pratica, in alcuni casi eccezionali, si può prevedere il mantenimento dei rapporti con alcuni componenti della famiglia d’origine, ma la decisione deve essere sempre in capo all’adottato e ai suoi genitori, non in capo ai genitori di origine che con i loro avvocati pretendono di riprendere rapporti con i loro nati».
L’adozione aperta? Lascia i bambini nel limbo. «Quello dell’adozione mite è un esempio della disputa tra la “legge del sangue”, che privilegia il punto di vista dei genitori e il “diritto di essere figlio”, che mette al centro di tutto sempre e comunque il minore», dice Marco Griffini, presidente di Amici dei Bambini-AiBi. «Riconoscere al bambino nuovi genitori adottivi che si impegnano ad averne cura, in aggiunta alla famiglia biologica da cui il bambino non viene giuridicamente separato e con la quale mantiene una frequentazione, non fa altro che mantenere questi minori in un perenne limbo familiare, finendo per creare il concetto finora inesistente di “semi-abbandono”».
Una “safety zone” per il minore adottato. «La nostra esperienza concreta di famiglia adottiva ci dice che serve l’et et. La rescissione de iure aiuta certamente il minore a sentirsi protetto senza ambivalenze: in una fase iniziale se nessuno è un riferimento unico, il bimbo è frammentato e diviso nei confini della sua vita concreta e psichica», scrivono Angelo Moretti e sua moglie Cettina Cutispoto. «La scelta di un’adozione che per legge sia aperta potrebbe generare tanti mostri quanti quelli che vorrebbe allontanare», scrivono. Meglio pensare a un periodo iniziale di interruzione dei legami e solo dopo, caso per caso, i servizi (non il tribunale) valutino l’adozione aperta. Ma sempre su richiesta del minore, mai della famiglia di origine.
Adozione aperta, perché sì
Accogliere la famiglia d’origine: la sfida delle adozioni oggi è (anche) questa. «Nel quotidiano lavoro nelle adozioni – penso soprattutto a quelle internazionali – è sempre più evidente che l’adozione aperta è già un dato di fatto e il lavoro che viene chiesto alle famiglie adottive va esattamente nella direzione di accogliere in casa quel fantasma che negli anni ‘80 andava sepolto: oggi occorre accettarlo», afferma Marco Rossin, responsabile adozioni internazionale di Avsi. La proposta è condivisibile, se un legame emotivo è fonte di benessere e ricchezza, va mantenuto, «ma reca un rischio di fragilità interno che potrebbe portare alla situazione esattamente opposta, dove un adulto con sufficiente dedizione e forza giuridica potrebbe subordinare il diritto del bambino al suo personale intento».
Sono favorevole all’adozione aperta, ma sono contrario alla diffusa convinzione che il mantenimento dei rapporti sia sempre, o quasi, un bene. Non è così.
— Marco Chistolini
I rischi e le potenzialità dell’adozione aperta. «Sono favorevole, ma sono contrario alla diffusa convinzione che il mantenimento dei rapporti sia sempre, o quasi, un bene. Non è così. Le ricerche indicano chiaramente che seppure mantenere i contatti ha generalmente effetti positivi, può anche avere conseguenze estremamente negative», afferma Marco Chistolini, psicologo, psicoterapeuta e formatore, è responsabile scientifico del Centro Italiano Aiuti all’Infanzia-Ciai. Ecco allora tutti i rischi e le potenzialità di un’adozione aperta, senza ideologie. E per gestirla? «Spetta ai genitori decidere frequenza e modalità delle relazioni tra il figlio e la famiglia biologica. È più corretto parlare di rapporti tra le due famiglie».
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Adozione aperta? Sì, ma oggi sarebbe un meteorite sulle adozioni. La legge 184/83 riflette un sistema sociale ormai datato, che si è progressivamente trasformato, per cui oggi non si può più parlare di famiglia ma si deve parlare di famiglie: la coesistenza, oggi, di nuove famiglie e più configurazioni familiari lascia aperta la porta delle famiglie prevalenti e dei rapporti affettivi estesi anche nell’adozione, valutando caso per caso nell’interesse del bambino e del ragazzo», scrive Monya Ferritti, presidente del coordinamento Care. E tuttavia, se la Corte decidesse per l’incostituzionalità dell’articolo 27 «vedremmo le conseguenze di tale decisione abbattersi su un sistema in evoluzione con la forza di un meteorite». Una decisione del genere necessita di un dibattito pubblico, che ad oggi non c’è stato.
L’adozione aperta è già realtà: le nuove famiglie non siano lasciate sole. Scrive Devi Vettori, formatrice su tematiche adottive, a sua volta adottata: «Comprendo che sia faticoso immaginarsi aperta ad un’idea di famiglia non statica, in cui possono entrare a fare parte componenti prima ritenuti necessariamente estranei ma che, nei fatti, sempre più spesso si palesano con il proprio bagaglio di fatiche e di inciampi che le famiglie stesse si trovano a sorreggere quasi sempre da sole. Piuttosto che negare un cambiamento che in concreto sta già avvenendo, credo ci sia l’urgenza di pensare e creare percorsi di accompagnamento e sostegno a queste nuove famiglie, con confini meno definiti ma più reali, che non possono essere sole».
Foto di apertura, João Pedro Lisboa, Pexels
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