Famiglia

Adozione aperta, ecco com’è andata l’udienza

La Corte Costituzionale il 5 luglio ha esaminato la questione di incostituzionalità della legge sulle adozioni, nel passaggio in cui è prevista automaticamente l'interruzione di ogni rapporto con la famiglia di origine. Non c'è stato ancora un comunicato che anticipi la decisione della Corte, bisognerà attendere la pubblicazione della sentenza. Qui una sintesi dell'udienza, con le tesi sostenute dagli avvocati

di Sara De Carli

La Corte Costituzionale non ha anticipato con un comunicato stampa la sua decisione in merito alla legittimità o illegittimità costituzionale dell’articolo 27 comma 3° della legge 184 del 1983 sulle adozioni. Il Collegio riunitosi il 5 luglio in Camera di Consiglio potrebbe non avere deciso la questione oppure semplicemente aver deciso di non fare un comunicato stampa. Per conoscere la decisione della Corte bisognerà attendere quindi la pubblicazione della sentenza.

La valutazione – sollevata dall’ordinanza del 5 gennaio 2023 della Corte di Cassazione – riguarda il fatto che oggi l’adozione legittimante secondo la legge preveda in maniera assoluta la recisione dei legami con il nucleo familiare di origine, prescindendo da una valutazione caso per caso, in concreto, del preminente interesse del minore. Questa interruzione a prioristica dei rapporti affettivi con la famiglia di origine (o meglio, con alcuni membri di essa) sarebbe – si ipotizza – in contrasto con il principio, internazionale ed europeo, secondo cui ogni atto riguardante un minore deve conformarsi al preminente interesse del minore stesso, in contrasto con gli artt. 2, 3, 30 e 117 comma 1° della Costituzione, con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, con la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

L'incostituzionalità della legge per l'avvocato difensore dei minori

Dell’attesa udienza del 5 luglio è stato però pubblicato il video. Di seguito riportiamo alcuni passaggi dell’intervento di Elisabetta Lamarque, avvocato difensore dei due minori che sono parte del giudizio costituzionale di cui si discute. I due fratelli – la vicenda era tratteggiata anche dalla ordinanza 230 della Corte di Cassazione, qui allegata – hanno perso la madre nel 2017, per mano del padre, condannato in primo grado a 16 anni di reclusione e conseguentemente decaduto dalla responsabilità genitoriale. Dall’estate 2021 sono collocati presso una coppia che è stata giudicata idonea ad adottarli e i servizi sociali hanno già dato parere positivo all’adozione. Per tutto il tempo dell’affidamento preadottivo i due fratelli hanno continuato a vedere, in incontri periodici protetti svoltisi in uno spazio neutro, organizzati dai servizi sociali, la nonna materna e il prozio e gli zii paterni, persone indicate dalla sentenza della Corte d’Appello di Milano che aveva disposto un affidamento preadottivo “aperto”.

L’avvocato Lamarque innanzitutto ha ricordato che la Corte di Cassazione ha già stabilito – e lo ha fatto in funzione nomofilattica, quindi nelle vesti di garante dell'esatta osservanza e uniforme interpretazione della legge – che il testo della legge 184/1983 non consente ai giudici la pronuncia di un’adozione aperta: adozione aperta che invece negli ultimi vent’anni, alcuni giudici di merito avevano praticato. La Cassazione quindi «interpreta restrittivamente la legge e poi tuttavia ritiene che proprio l’automatica rescissione delle relazioni personali tra l’adottato e tutti i membri della famiglia contrasti frontalmente con il principio, che è anche un principio di sicuro rango costituzionale, del migliore interesse del minore». Da qui, quindi, nasce la questione di costituzionalità.

«A me sembra che non ci sia alcun dubbio che l’automatismo legislativo di cui ora ci occupiamo violi il principio del migliore interesse del minore, se è vero che questo principio impone all’organo pubblico che si trova a decidere sulla situazione di una persona di minore età di cercare la soluzione ottimale “in concreto” per l’interesse del minore, quella cioè che più garantisca la miglior “cura della persona”», ha detto l’avvocato Lamarque. «Così declinato, è evidente che il principio costituzionale del miglior interesse del minore non ama gli automatismi legislativi, e anzi è ontologicamente incompatibile con soluzioni legislative rigide che non consentano all’organo pubblico che deve in un determinato momento assumere una decisione che riguarda la vita di un bambino o di un adolescente di modularla su tutte le circostanze di fatto a sua conoscenza – che siano circostanze positive o negative, risorse o difficoltà –, comprese quelle relative al passare del tempo e all’avvenuto consolidamento di alcune situazioni di fatto».

«Nell’imporre al minore in stato di abbandono destinato a essere adottato da una famiglia (non già sostitutiva ma, come dicono bene gli psicologi) consecutiva rispetto a quella di origine, di tagliare di netto i legami affettivi vitali esistenti con qualsiasi membro di quella famiglia, a me pare che la legge contrasti soprattutto, e radicalmente, con il principio personalista, che sta alla base, e sostiene, tutta la Costituzione repubblicana».

Le conseguenze della decisione della Corte

Il secondo argomento portato dall’avvocato Lamarque è relativo alle conseguenze concrete della decisione della Corte.

Per i due fratelli quale sarebbe l’impatto della decisione della Corte? Se non venisse accolto il dubbio di costituzionalità, «il Tribunale per i minorenni di Milano procederà senz’altro a dichiarare l’adozione e la pronuncia di adozione interromperà per sempre, e in modo irreversibile, i contatti dei due fratellini con la nonna e gli zii. Contatti che finora – e dunque per cinque anni e mezzo, un tempo enorme per due bambini che hanno rispettivamente 6 e 7 anni – sono stati sempre coltivati con cura e regolarità dai servizi sociali competenti», ha spiegato l’avvocato. Questo perché «pronunciare una adozione aperta oggi, in Italia, dopo l’intervento nomofilattico della Corte di Cassazione, non sarà più possibile».

A livello generale, inoltre, ha sottolineato l’avvocato, una pronuncia costituzionale che rigettasse il dubbio di costituzionalità avrebbe comunque conseguenze «abbastanza preoccupanti». L’avvocato riferisce come gli operatori del settore «non sono giustamente disposti, in casi eccezionali come quello che ora ci occupa, a consentire che minori di età in stato di abbandono morale e materiale, che già hanno perduto quasi tutto, perdano anche le relazioni affettive positive che hanno con qualcuno dei componenti della famiglia di origine. Succederà quindi – è la mia impressione, ma non credo di sbagliarmi – che molti giudici, in casi come questi, eviteranno di dichiarare uno stato di abbandono morale e materiale che pure sussiste, al solo scopo di provvedere, invece che con un’adozione piena, con un affido extrafamiliare (con tutte le incertezze e la precarietà che questo comporta a carico della vita dei minori) oppure eventualmente con un’adozione mite, se da quel giudice ritenuta praticabile e che tuttavia è sottoposta al consenso dei genitori anche non esercenti la responsabilità genitoriale e mantiene i legami giuridici, non sempre positivi, con tutti i membri della famiglia di origine».

Rispondendo alla questione posta dalla relatrice, professoressa Emanuela Navarretta, l’avvocato Lamarque ha evidenziato che «per la famiglia che adotta l'adozione aperta è certamente più difficile, implica non solo la disponibilità a crescere i propri figli ma anche a mantenere i rapporti con alcuni membri della loro famiglia di origine, ma nel momento in cui queste coppie sono scelte questo avviene in base a caratteristiche che le rendono idonee anche a questo compito e in ogni caso a loro è resa nota la situazione». L’unica vera criticità applicativa – ha ammesso l’avvocato – è legata al fatto che poiché spetta ai servizi sociali organizzare gli incontri e i contatti, «questo implica che le forze dei servizi sociali devono essere davvero robuste, in grado di mantenere un'attività di questo tipo nel tempo. D’altronde però i servizi sociali servono a questo».

Per l'avvocatura dello Stato la legge 184 è ancora valida

L’avvocatura dello Stato, con gli avvocati Laura Paolucci e Wally Ferrante hanno sostenuto invece l’inammissibilità della questione e l’infondatezza del quesito sulla costituzionalità dell’articolo 27 della legge 184/1983. «La norma che si chiede di dichiarare incostituzionale è una norma cardine del sistema adottivo, è la chiave di volta delle adozioni: un sistema sì costruito 40 anni fa, ma che ha retto alla prova del tempo e al cambiamento nel senso della famiglia», ha detto l’avvocato Paolucci. «Eliminarla farebbe deflagrare il sistema, dal momento che tutte le altre norme resterebbero in vigore». In particolare, «la ratio dell'adozione legittimante e della norma censurata, che vieta la prosecuzione delle relazioni con la famiglia di origine, vale tuttora e sta nell’evitare situazioni di interferenza, di abuso, non corretta gestione e strumentalizzazione da parte della famiglia di origine della famiglia adottante e del minore stesso. Sulla base di qs ratio si appoggia la decisione del legislatore, ancora valida».

L’avvocato Ferrante inoltre respinge la tesi dell’impossibilità in futuro di avere adozioni aperte, che potranno continuare ad avvenire: nel comma 3° dell’articolo 27 – dice – «è evidente che ci si riferisce a un divieto giuridico, non vi è nessuna preclusione da questa norma alla prosecuzione dei rapporti personali, di fatto e affettivi».

Il giudice Francesco Viganò, infine, ha posto all’avvocato Lamarque una domanda sul come dobbiamo immaginare il provvedimento di adozione definitiva in caso di adozione aperta e se questo dovrà imporre delle prescrizioni alla famiglia adottante, che debbano essere sottoposte al controllo e alla vigilanza dei servizi sociali. L’avvocato Lamarque ha evidenziato che nelle sentenze di adozione aperta fatte negli ultimi 20 anni «e che la Cassazione dice che non si potranno pià fare», come negli affidamenti preadottivi aperti «è contenuta l'indicazione dei membri della famiglia di origine con cui i minori hanno relazioni affettive vitali, che sono gli unici con cui i contatti personali devono essere mantenuti» e quando giudice lo ritiene opportuno «anche le modalità con cui devono essere svolti gli incontri». Se la pronuncia non contiene indicazioni sulle modalità, «va da sé che il servizio sociale farà in modo di organizzare questi incontri in base all’età dei minori e alle disponibilità dei soggetti coinvolti»

Foto di Elina Fairytale su Pexels

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