Educazione
Adolescenti problematici, la tentazione dell’isolare
In occasione della Giornata Mondiale dei Diritti dell'Infanzia del 20 novembre è in corso a Roma una tre giorni di eventi promossa dall'impresa sociale Con i Bambini, il più grande cantiere d'Italia per sperimentare efficaci azioni di contrasto della povertà educativa minorile. Appunti dalla prima giornata
C’è una parola che rimbalza nella prima giornata del ricco evento “Con i bambini cresce l’Italia”, promosso da Con i Bambini e in corso a Roma. È responsabilità. La responsabilità di chi prova a fare, in questo enorme cantiere educativo che sono gli oltre 700 progetti ormai finanziati dal Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile; è quella di un altro storytelling che sappia vedere la complessità delle situazioni al di là del presentare adolescenti e giovani sempre solo come “emergenza” a cui Marco Rossi-Doria, il presidente di Con i Bambini, ha richiamato i giornalisti, parte integrante della comunità educante; è quella a cui Emily Mignanelli ha provocato i genitori, così pronti a medicalizzare e problematizzare precocemente i figli, di fatto deresponsabilizzandosi. «Quando hanno una diagnosi, i genitori tirano un sospiro di sollievo: se mio figlio ha una diagnosi, io non ho colpe come educatore. Anzi, come genitori di bambini malati raccogliamo l’empatia degli altri, ci sentiamo amati», ha detto. È pure vero che – come ha ricordato Stefano Benzoni, neuropsichiatra Infantile e psicoterapeuta – esiste anche il problema opposto, di troppi bambini e adolescenti «tenuti a bagnomaria per lungo tempo in situazioni di conclamata sofferenza».
La crescente richiesta di custodia
È anche la responsabilità della denuncia che nasce dalla preoccupazione. Carlo Borgomeo, presidente di Fondazione Con il Sud, aprendo il suo intervento ha detto che oggi ci sono politiche sociali che sembrano pensate per «segregare i fragili». Cira Stefanelli, dirigente del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero di Giustizia, che ammette che «nonostante siano state messe in campo tante risorse, abbiamo avuto difficoltà a utilizzare le enormi risorse messe a disposizione» e racconta di come la «comunità educante» sia ormai sì un fil rouge intenzionale, «ma non possiamo non interrogarci su come dalla comunità molto parcellizzata e individualizzata che siamo emerga sempre di più una domanda di protezione e sicurezza. Sembriamo tornati a prima degli anni Settanta: questo ragazzo ha un problema, isoliamolo. Costruiamo comunità e strutture che lo isolino». Cerchiamo insomma riposte che isolino i sintomi, invece di cercare come risolvere strutturalmente i problemi, coinvolgendo la comunità. Alessandro Albizzati, neuropsichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza, in un altro incontro ha parlato della «dissennata e vergognosa richiesta di custodialità per i minori da parte dei servizi».
Più educatori nei servizi
Renato Sampogna, dirigente della Divisione IV della Direzione Generale per la Lotta alla povertà e per la programmazione sociale, anticipa che nel nuovo Piano Nazionale deli Interventi e dei Servizi Sociali, che sarà approvato a breve, è stato inserito un paragrafo esplicito sulle responsabilità condivise tra pubblico e privato e ha annunciato una prossima coprogettazione sui primi “mille giorni”. Ha poi svelato che la prima professionalità richiesta dagli Ambiti territoriali sociali – in risposta all’invito fatto dal Ministero a fine agosto per quantificare i bisogni di figure professionali da impiegare nel prossimo triennio, con la possibilità di assumere per la prima volta educatori e psicologi nelle équipe del pubblico, che diventano così multidimensionali – è stata quella dell’educatore sociopedagogico, seguita dallo psicologo. Sono arrivate 7mila richieste, per una possibilità di assunzione di circa 3.500 persone che avverrà entro metà 2025.
Pubblico-privato sociale, quale alleanza
E poi Andrea Morniroli, che ha richiamato alla responsabilità del Terzo settore dentro questa nuova e faticosa alleanza tra pubblico e privato che si sta costruendo. «Intanto mi piace alleanza e non reti, perché nelle reti si sta insieme ma non ci si vuole bene. Alleanza dice condividere un senso. Mette in discussione pezzi di identità. Le alleanze non sono mai fiori di campo ma sono sempre fiori di serra: hanno bisogno di cura e manutenzione. Ognuno di noi fa cose straordinarie, ma senza alleanze queste cose non diventano mai politiche».
Dai progetti alle policy
Ecco, il salto alle politiche. Quello ancora manca. «Il Fondo è nato con una scommessa: doveva durare tre anni – ovviamente speriamo che duri finché ce n’è bisogno – ma in teoria l’esperienza del fondo doveva terminare perché quelle contro la povertà educativa minorile dovevano diventare policy», ha ricordato Maurizio Mumolo, direttore del Forum nazionale del Terzo Settore: «Questa scommessa non si è realizzata».
Foto di Annie Spratt su Unsplash
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