Welfare

Adolescenti e periferie: il tempo dell’indignazione è finito

Dinanzi a ragazzini uccisi a 17 anni non possiamo più limitarci a leccarci le ferite. Francesco Di Giovanni: «È il momento di andare a fondo, scavare nell'indifferenza sociale e nell'assenza di visioni e politiche per l'infanzia e per i giovani, contabilizzare le risorse non spese o spese male e chiederne conto, denunciare l'ignavia, il perbenismo di chi critica e giudica le vite dei ragazzi di periferia senza conoscere la tristezza e i disagi dei loro vissuti, dei loro futuri svuotati»

di Sara De Carli

«Storie che purtroppo puntualmente si ripetono nelle nostre città… Su ogni ragazzo ammazzato piangiamo, critichiamo, rispolveriamo don Milani, ci indigniamo… Ma non possiamo soltanto indignarci! Forse è il momento di andare a fondo, scavare nell’indifferenza sociale e nell’assenza di visioni e politiche per l’infanzia e per i giovani, contabilizzare le risorse non spese o spese male e chiederne conto, denunciare l’ignavia, il perbenismo di chi critica e giudica le vite dei ragazzi di periferia senza conoscere la tristezza e i disagi dei loro vissuti, della loro quotidianità, dei loro futuri svuotati». Parole scritte di getto, a poche ore dall’uccisione di Luigi Caiafa, 17 anni, a Napoli. È un appello accorato quello di Francesco Di Giovanni, coordinatore generale del Centro Tau e dell’Associazione Inventare Insieme. Da 32 anni presidiano un quartiere difficile come la Zisa, a Palermo. Le cose non sono mai state facili, qui, ma oggi lui sente l’urgenza di una denuncia, di pretendere una assunzione di responsabilità collettiva e innanzitutto politica, di un cambiamento. Non di quella litania di parole che, ad ogni funerale di un adolescente, sono buone solo per «leccarci le ferite».

«C’è una responsabilità sociale e politica che va presa in considerazione. Qual è la vita di questi ragazzi nel territorio? Che aiuto diamo a loro per uscire fuori dalla loro condizione? Non è possibile che chi viene da questi quartieri non possa avere nulla di diverso dagli altri per andare avanti. Qual è l’impegno dello Stato per i ragazzi? È tempo di parlare chiaro, non possiamo permetterci di essere buonisti quando ci sono vite che si stanno perdendo», dice. E aggiunge: «Forse è il caso di spiegare che sulla bilancia della storia le montagne di merda pesano uguali… quella di chi questi ragazzi li mette sulla strada e quella di chi li lascia soli, consentendogli la strada come unica risorsa per vivere. Non lasciamoli soli! Partiamo dalle visioni che ci sta dando Papa Francesco, dal pensarci sulla stessa barca, fratelli tutti a fianco dei nostri ragazzi di periferia».

C’è una responsabilità sociale e politica che va presa in considerazione. Qual è la vita di questi ragazzi nel territorio? Che aiuto diamo a loro per uscire fuori dalla loro condizione? Non è possibile che chi viene da questi quartieri non possa avere nulla di diverso dagli altri per andare avanti. Qual è l’impegno dello Stato per i ragazzi? È tempo di parlare chiaro, non possiamo permetterci di essere buonisti quando ci sono vite che si stanno perdendo

La situazione, alla Zisa, può essere pennellata così. «Molti ragazzi oggi, dopo i mesi di lockdown, non ci pensano neanche lontanamente di tornare a scuola. La pandemia ha indebolito ancora di più le speranza di chi vuole investire su se stesso. Dove non c’è possibilità di vivere, perché uno dovrebbe studiare? Le famiglie da sole non ce la fanno. La scuola non può essere solo diritto alla studio, che certo va garantito: i processi educativi oggi più che mai vanno costruiti in una visione di comunità educante che accompagna e sostiene la crescita, non possiamo dire che la nostra attenzione si ferma a obbligo perché sappiamo che fermarsi là significa buttare i ragazzi nella criminalità e nella micro-delinquenzialità. Oggi non possiamo permetterci l’assenza di politiche pubbliche su infanzia e giovani, in particolare nell’ambito territoriale. Servono servizi di comunità dove le famiglie possono trovare interlocuzione diretta per capire come portare avanti i percorsi di crescita, dalla nascita all’ingresso nel mondo del lavoro, perché le famiglie da sole non ce la fanno. Ma queste questioni non possono essere trattate da un cappellano, da un Centro, da persone di buona volontà… Dov’è la politica? Che interesse abbiamo oggi nei confronti di questi ragazzi? Io vado a parlare con tutti e tutti allargano le braccia, le norme, i vincoli, non possiamo… A Palermo otto anni fa c’erano 42 centri di aggregazione giovanile, ora non arriviamo a una decina e tutti vanno avanti grazie a finanziamenti di fondazioni. Palermo ha sei anni di trasferimenti per la 285 e la 328, milioni di euro, fermi. Non possiamo far morire ragazzi di inedia e di norme: ci sono bambini che possono rimanere a casa e avere tutto e altri che se li lasciamo a casa, li ritroveremo sulla strada con una pistola».

Dov’è la politica? Che interesse abbiamo oggi nei confronti di questi ragazzi? Io vado a parlare con tutti e tutti allargano le braccia, le norme, i vincoli, non possiamo… Non possiamo far morire ragazzi di inedia e di norme: ci sono bambini che possono rimanere a casa e avere tutto e altri che se li lasciamo a casa, li ritroveremo sulla strada con una pistola».

Ecco allora l’urgenza urgentissima di riuscire a portare alla riflessione pubblica il fatto che per l’infanzia, i ragazzi, i giovani non ci si può limitare all’emergenza ma occorre avere progetti di lungo termine, in una prospettiva di sviluppo. Come ben sa chi al Centro ha visto ormai passare 3 o quasi 4 generazioni di ragazzi. «Perché l’occasionalità dei servizi, il pensare che i progetti siano a durata limitata significa sprecare risorse», sottolinea Di Giovanni. Mentre ad esempio anche i due principali interventi del Governo sui ragazzi, i bandi per i centri estivi e il bando EduCare, lavorano su tempi cortissimi, con risorse arrivate tardi, con la logica dell’emergenza, con il 55% dei costi da mettere sulle voci risorse strumentali e servizi quando in questo momento l’esigenza principale è invece quella di persone. E soprattutto, se al centro ci fossero stati davvero i ragazzi e non le esigenze di conciliazione, «perché le attività estive erano solo per i ragazzi fino a 14 anni? E gli altri?», annota Di Giovanni.

I servixi per l’infanzia e l’adolescenza sono quasi tutti finanziati da fondazioni. Persone che stanno inventando opportunità ce ne sono, ma sono mosche bianche. Qui non servono altari, serve attivare un processo di comunità che attivi il cambiamento a partire da responsabilità politiche, che attivi e coordini i processi di movimento e sviluppo del territorio

«Questa è la riflessione da fare. Come riuscire a provocare processi di mobilitazione, principalmente della politica, perché oggi è fondamentale che la politica guardi non alle risposte immediate ma a quelle di medio-lungo periodo. Esperienze di cambiamento, di persone che stanno inventando opportunità, ce ne sono e sono importanti, ma rischiamo di limitarci a farne racconti che mettano queste mosche bianche sugli altari. Invece non servono altari, serve attivare un processo di comunità che attivi il cambiamento a partire da responsabilità politiche, che attivi e coordini i processi di movimento e sviluppo del territorio».

Photo by ckturistando on Unsplash

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