Volontariato

Adesso Bersani consulti i movimenti (se vuole una chance)

di Pasquale Pugliese

Pierluigi Bersani ha ottenuto dal Presidente Napolitano l’incarico – seppur “esplorativo” – di formare il nuovo governo. E pare che ci stia provando davvero. Il primo giorno di “consultazioni” ha incontrato il Graziano Delrio presidente dei Comuni italiani e Pietro Barbieri portavoce del Forum del Terzo Settore.  L’idea sembra essere quella di sfidare il Movimento 5 Stelle sul suo terreno, proponendo un governo ed un programma di cambiamento reale. Mentre auguriamo all’onorevole Bersani buona fortuna, ci permettiamo di dargli un suggerimento: consulti anche i movimenti, quelli veri.

A dispetto dell’incapacità della politica istituzionale di mettersi in movimento ed in ascolto, in Italia esistono molti movimenti che fanno  politica dal basso, promuovendo ed orientando  cambiamenti anche nella politica istituzionale, attraverso l’esercizio di quello che Aldo Capitini chiamava il “potere senza governo”. E’ la prassi della autentica “democrazia diretta”, quella che non discende dal blog di uno che vale tutti (mentre dice agli altri che “uno vale uno”), ma sale dall’impegno quotidiano di cittadini, gruppi e comunità attivi nell’allargamento progressivo degli spazi della partecipazione consapevole e responsabile. Si potrebbero citare molti movimenti  che gandhianamente sperimentano il cambiamento che vorrebbero vedere realizzato, ma suggeriamo all’onorevole Bersani di consultare almeno i tre che, in questa fase, stanno producendo nel nostro Paese i maggiori cambiamenti culturali e politici, interloquendo anche con pezzi importanti della sua maggioranza parlamentare: il Movimento No-Tav, il  Movimento per l’acqua pubblica, il Movimento per il disarmo.

Il Movimento No-Tav della Valsusa è la più significativa campagna italiana di disobbedienza civile. E’  sorto in Val Susa, fin dai primi anni ‘90, contro la costruzione della ferrovia per il Treno ad Alta Velocità, dimostrando competenza approfondita e diffusa rispetto al tema, capacità di aggregazione popolare, creatività, comunicazione e tenuta nel tempo. Anche di fronte ad una risposta di tipo militare da parte dello Stato che – incapace di interloquire in maniera autentica con un’intera comunità in lotta, ha definito il cantiere “sito strategico nazionale” – la campagna sta raffinando sempre di più le proprie ragioni, curando la caratteristica di lotta nonviolenta e dimostrando una grande capacità di interlocuzione con la politica, anche nazionale, al punto da portare alla manifestazione di sabato 23 marzo, decine di parlamentari del M5S, ma anche di Sinistra Ecologia e Liberà cioè un di pezzo importante della maggioranza bersaniana.

Il Movimento per l’acqua pubblica, diffuso capillarmente in tutto il territorio nazionale, ha dapprima imposto e vinto un referendum che, ormai due anni fa, e per la prima volta da molti anni, ha avuto largamente il quorum necessario per essere ritenuto  valido. Trascinando, suo malgrado, lo stesso scettico centro-sinistra a sostenerlo.  Da allora incalza la politica nazionale e locale per rendere effettivi i risultati del referendum,  sia attraverso la campagna di “obbedienza civile” per il rispetto dell’esito referendario, sia attraverso la presentazione di una legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua, sia attraverso le mobilitazioni locali per introdurre negli statuti degli Enti Locali la definizione dell’acqua pubblica come bene comune e come diritto umano universale.  Da Palermo a Reggio Emilia, questo è già avvenuto in molti Comuni governati dal Partito Democratico e dai suoi alleati.

Il Movimento per il disarmo, nel quale confluiscono i movimenti per la pace e la nonviolenza attivi da decenni in Italia, da tempo preme per la riduzione sostanziale delle abnormi spese per gli armamenti  del nostro Paese,  a partire dalla cancellazione della sciagurata adesione al programma Joint Strike Fighter per l’acquisto dei cacciabombardieri d’attacco, anche nucleare, F-35. Adesione maturata nel 1996 con il governo Prodi e confermata da tutti i governi successivi di centro-destra e centro-sinistra. In questi anni i costi dei caccia – nella loro stessa ideazione e funzione contrari alla Costituzione italiana – si sono moltiplicati e le risorse loro destinate sono sottratte alla spese per la protezione dei cittadini dalle reali minacce causate dalla crisi economica in cui si dibatte il nostro Paese, con inconsistenti  ritorni occupazionali e industriali. Quasi 100 Enti Locali (comuni, province e regioni), governati in massima parte dalla maggioranza che sostiene Bersani hanno approvato in questi anni mozioni e ordini del giorno contro il loro acquisto e per il trasferimento delle risorse risparmiate nelle casse dissestate dei servizi pubblici locali. Il governo Monti, sulla spinta della campagna Taglia le ali alle armi, da un lato ha ridotto i caccia da 131 a 90, ma dall’altro ha messo al sicuro, al riparo da tagli, le spese per gli armamenti per i prossimi 12 anni, con un blitz parlamentare a conclusione di legislatura, al quale hanno partecipato anche i parlamentari del Partito Democratico.

Insomma, ce n’è abbastanza per capire che le chance per la costituzione di un governo per il cambiamento non possono prescindere dall’affrontare e sciogliere questi nodi aperti nel cuore della società e della politica italiana. Dunque, l’onorevole Bersani, per essere credibile, non dovrebbe sottrarsi dal consultare preliminarmente questi movimenti vivi e attivi. E regolarsi di conseguenza.

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