di Fulco Pratesi*
«Adelante Pedro, con juicio!» Potrebbe essere questo il motto della delegazione italiana al prossimo appuntamento di Copenhagen. «Certo, certo, rassicurano i ministri, incentiveremo le rinnovabili. Certo imboccheremo la strada del nucleare che non produce CO2. Certo l’Italia darà il suo contributo. Ma con equilibrio, prudenza e accortezza»
Tanto non si tratta della più grande sfida che l’intero Pianeta è chiamato ad affrontare. E poi non si può deprimere, in un momento così grave per l’economia (l’Economia!) il nostro già flebile sviluppo! Che diamine! Da bravi pompieri, aiutati da intrepidi negazionisti legati al carro governativo, attendiamo a piè fermo cosa faranno gli altri. E Obama che fa? E la Cina? E l’India, il Brasile, il Messico. Ma la Merkel? Noi italiani (la quinta o sesta potenza industriale, responsabile di buona parte delle emissioni carboniose globali), ce ne staremo buoni buoni a Copenhagen senza impensierire le grandi industrie che continuano a macinare utili (magari sulle spalle di coloro che abitano a Manfredonia o a Marghera, a Taranto o a Civitavecchia) e cercando, in ogni modo (è stato già fatto nel passato), di annacquare norme e regole troppo penalizzanti per il nostro Paese, così fragile, così povero, così indifeso. Con juicio!
Intanto, il governo della Repubblica delle Maldive si riunisce in seduta subacquea per rimarcare la sua preoccupazione per l’innalzamento del livello del mare che ne minaccia l’esistenza; intanto l’Australia è flagellata da una siccità biblica che scatena cammelli e canguri affamati fin dentro le città; intanto il numero dei morti per fame nel pianeta ha superato, nonostante le buone intenzioni dei G8, il miliardo; intanto l’apertura di nuove rotte commerciali attorno alla banchisa polare in dissolvimento preannuncia nuove trivellazioni alla ricerca degli ultimi idrocarburi, proprio quelli incriminati per l’effetto serra? Ma cosa importa? In fondo ci penserà chi verrà dopo di noi a pagare i debiti verso Madre Terra depauperata, strizzata, rapinata da torme di imprevidenti saccheggiatori tra i quali, ahimè, tutti noi ci troviamo.
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