Mondo
Addis Abeba, la metropoli che va dove le pare
Il diario di un viaggio di uno scrittore arrivato qui per raccontare i progetti di solidarietà di Coopi
Ci sono due modi per arrivare ad Addis Abeba; il primo è quello che mettiamo in atto usualmente tutti noi: dall’Europa, dalle nostre città millenarie, dalla nostra cultura saccente. Ed è il modo sbagliato. Sceso a terra, immerso ancora nella bolla extrasensoriale dell’aeroporto internazionale di Bole, moderno e rassicurante, basta fare l’errore di ordinare un cappuccino al bar per renderti subito conto che devi rivedere tutti i tuoi parametri e scrollarti di dosso le abitudini con le quali giudichi il mondo. La bevanda fa schifo e, in fondo, è solo colpa tua: che senso ha pretendere un cappuccino nel cuore dell’Africa?
Fuori dall’aeroporto scorre la Ring road, una sorta di grande raccordo anulare, appena finito di costruire dai cinesi, che chiude il quadrante sud est della città. Sarà solo la prima superstrada interna alla metropoli che incontrerò nei giorni a venire. L’intera città, la terza dell’Africa, sembra fatta di asfalto, macchine, traffico. Più ancora degli infiniti cantieri che costellano l’orizzonte, è il dedalo di strade a sei, otto corsie che impressiona.
Addis Abeba non sembra una città dove si possa girare a piedi; tutto si svolge su queste strade ad alto scorrimento, dove puoi tranquillamente incontrare camion, taxi, bestiame, biciclette. È un caos calmo, però. Nulla a che vedere col traffico del Cairo. Qui ognuno guida un po’ come gli pare, ma senza nervosismo. C’è una storiella che gira da queste parti: «prima ci sono stati gli italiani che hanno voluto la guida a destra, poi gli inglesi, con la guida a sinistra. Ma noi siamo etiopi e guidiamo un po’ come ci pare».
Niente di più vero: si supera da ogni dove, senza troppo rispettare alcun codice stradale. Ma non si creda che questo porti all’anarchia. Gli etiopi sono strani, rispetto agli altri popoli africani. La loro millenaria indipendenza – era l’unico stato del continente nero rappresentato con un seggio nella Società delle Nazioni alla sua fondazione – è motivo d’orgoglio. Guidano così per sprezzo nei confronti di chi ha cercato di colonizzarli. Però aspettano l’autobus alla fermata in lunghe ed ordinate file. Sono, a modo loro, gli svizzeri del continente. Perché, ovviamente, a piedi ci si va. Soprattutto se sei a Piazza – che non è una…
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