Sostenibilità

Addio traffico e addio stress, la vita sana di un tele-lavoratore

io, per esempio

di Redazione

di Franco Bomprezzi
Lo chiamano “downshifting”, ossia scalare la marcia, rallentare, insomma, mettersi calmi. Io non so se ho ragionato in modo così sistematico quando, per una serie di coincidenze o di scelte quasi obbligate, ho chiuso con il lavoro a orario fisso, in redazione, e ho iniziato la mia nuova esistenza a fibra ottica. Non ricordo più neanche bene come potessi davvero la mattina, d’inverno, alzarmi, rotellare veloce per casa, balzare in auto e tuffarmi in un traffico da esodo biblico, un’ora e spesso anche di più per percorrere 13 chilometri urbani, dalla Bicocca a Santa Rita, a Milano, per arrivare in redazione in tempo per la riunione, alle 9.30 del mattino. Non ricordo, il cervello ha rimosso, sedimentato, espulso i file infetti dal virus dello stress. Sembra un secolo fa e invece è trascorso un anno e mezzo.
Ora la sveglia suona un po’ prima delle 8, ma io posso decidere di poltrire almeno un quarto d’ora, consentendo al gatto le prime capriole sul letto, per convincermi ad alzarmi e a dargli la prima pappa della giornata. Poi accendo il computer, apro la porta di casa e prendo la copia del Corriere ancora fresca. Faccio colazione con calma, sfogliando il giornale, ascoltando i primi telegiornali. Ho tempo, non posso arrivare in ritardo. Devo percorrere infatti solo cinque metri, dalla cucina al soggiorno, per raggiungere il laptop e aprire il programma di posta elettronica e il browser di internet. Lo ammetto, non ho bisogno neppure di vestirmi subito, posso fare pigrizia, tanto la webcam la uso solo più tardi, se serve, per qualche riunione a distanza.
Le ore del mattino corrono veloci, lavoro alla tastiera in contatto virtuale con la redazione di Vita, spesso mi consulto al telefono col direttore e lo sento affannato in auto a poche centinaia di metri dalla meta agognata. Io sento il rumore del traffico che scorre, i clacson, i passi concitati sul marciapiede. Sono tutti irrimediabilmente in ritardo. Io no. Poi quando tutto tace, organizzo il mio tempo successivo, esco regolarmente tutti i giorni, ci mancherebbe altro. Guai a vivere il telelavoro come un carcere dorato.È fondamentale una sana vita di relazione. Ma io esco quando il traffico ormai si è rarefatto, la temperatura si è alzata, la gente per strada cammina a passo regolare, senza ansia. A conti fatti mi rendo conto di essere impegnato, in modo diverso, in un arco orario forse più lungo di prima, diciamo dalle 9 del mattino alle 19 di sera. Ma in mezzo ci sono i momenti per me, una buona lettura, le piccole commissioni, le telefonate giuste e piacevoli, perfino la palestra per tenermi in forma. Consumo meno benzina, mangio cibi sani e sostenibili, ho tempo perfino per pensare.

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