Oltre lo Sport
Addio Gigi Riva, l’hombre vertical del calcio italiano
Si è spento a Cagliari l'ex attaccante del Cagliari e della Nazionale. Un uomo amato da un'intera isola che lo aveva adottato sin dal suo arrivo, nel 1963. Il suo carisma e l'impegno nel sociale dopo aver chiuso con il calcio giocato
Dalle 19:30 di oggi in Sardegna non si parla d’altro. Non si pensa ad altro. La notizia della morte di Gigi Riva è rimbalzata in un attimo da un capo all’altro dell’Isola. Un profondo senso di lutto ha colpito centinaia di migliaia di sardi, compresi coloro che di sport si occupano poco o niente. Perché lui, il bomber di Leggiuno arrivato a Cagliari nel 1963, era ben presto diventato uno di noi. Sardo d’adozione e più sardo di tanti che qui sono nati. Un carattere schivo che bene si è innestato in una terra che lo ha amato sin dal primo istante e ha continuato ad amarlo nel tempo, quasi venerarlo, anche dopo che ha smesso con il calcio giocato. E non tanto (o non solo) per lo scudetto con il Cagliari nella stagione 1969/70 o per i suoi record calcistici (è sempre in piedi quello dei gol realizzati con la maglia della Nazionale: 35 in 42 presenze), quanto per l’amore che ha mostrato per la Sardegna più autentica, in mille occasioni. Ricambiato in pieno.
I suoi gol mai banali, la potenza che fece coniare al grande Gianni Brera il termine “Rombo di tuono”, la sportività che gli era valsa la stima incondizionata di grandi campioni del passato, da Pelè a Beckenbauer, da Eusebio a Garrincha, per citarne alcuni. E poi tantissimi calciatori italiani che lui ha seguito come una chioccia da team manager della Nazionale, sino a quando la salute ha cominciato a vacillare e lui ha sentito il dovere di fare un passo indietro. Nel 2015 era stato inserito, a pieno titolo, nella Walk of Fame dello sport italiano, a Roma. Per lui il presidente del Coni, Giovanni Malagò, nel febbraio del 2017 fece un’eccezione: per non costringerlo a salire su un aereo e arrivare sino a Roma per ricevere il Collare d’oro al Merito sportivo, venne a Cagliari per premiarlo allo stadio Sant’Elia prima di un Cagliari-Juventus. Tra la sua gente.
Riva si è spento stasera, a 79 anni, all’ospedale Brotzu di Cagliari, dove era stato ricoverato nella giornata di ieri per un arresto cardiaco che richiedeva un intervento chirurgico, immediatamente programmato. Ma l’equipe del reparto di cardiochirurgia non ha fatto in tempo perché la situazione, di per sé grave, è precipitata irreversibilmente. Annichilendo il personale sanitario e poi, con un crescente tam tam, tantissime persone incredule.
Raccontare un campione come Riva in poche righe sarebbe impossibile. E non è neppure il momento di farlo. Gli volevano bene in tanti, in Sardegna, soprattutto per quel no alla Juventus e ad altre big della serie A pronte ad acquistarlo a suon di soldi e giocatori in contropartita. Fu lui a opporsi, per rispetto dei sardi e dell’Isola che lo aveva adottato, come ebbe modo di ripetere tante volte, anche di recente. A Cagliari si sentiva felice. Vi era arrivato poco più che adolescente e qui ha messo su famiglia.
Ho avuto modo di conoscere Gigi quando avevo appena tre anni. Mio zio Carmelo, allora giornalista della Gazzetta dello Sport, mi accompagnava allo stadio Amsicora per assistere da bordo campo agli allenamenti di quella squadra destinata a scrivere la storia. Crescendo, ho visto Riva come un mito che andava al di là del calcio e dello Sport, quello con la esse maiuscola. Perché lui è stato davvero un grande uomo prima ancora che un grande calciatore, e lo dico senza la banale retorica che lo disgusterebbe. Un hombre vertical, come amano dire in Sudamerica, pronto a scendere dal bus della Nazionale quando, durante i festeggiamenti a Roma del Mondiale vinto nel 2006, salirono anche alcuni dirigenti della Federcalcio che avevano criticato duramente gli uomini del ct Lippi prima di partire in Germania. Salvo cambiare idea quando la coppa era stata conquistata ai rigori contro la Francia. Lui non aveva dimenticato e, mentre il bus fendeva la folla oceanica che aveva accolto gli azzurri al rientro in patria, lui aveva chiesto all’autista di fermarsi perché voleva scendere, nauseato da quel circo equestre. Non era uomo da compromessi, per questo lo ammiravano tutti gli azzurri, da Baggio a Zola, da Buffon a Cannavaro, da Maldini a Baresi, da Totti a Pirlo.
Riva a Cagliari ha voluto fare tanto per gli ultimi e per molte persone in difficoltà. Solitamente in silenzio, lontano dai riflettori, come si conviene a un autentico benefattore. Solo una volta ha fatto uno strappo alla regola. Erano gli anni del primo Cagliari di Claudio Ranieri e della famiglia Orrù, che aveva salvato dal fallimento la società rossoblù, portandola dalla serie C alla A. Cavalcando l’euforia della tifoseria isolana, aveva proposto a un gruppo di amici (in primis Pino Serra, Bruno Corda e Ivano Conca) di organizzare un evento che consentisse di festeggiare la promozione del Cagliari e, allo stesso tempo, di aiutare il Centro trapianti diretto dal professor Licinio Contu. Lo sentiva come un dovere morale. A fatica si era prestato a rilasciare decine di interviste: avrebbe preferito evitarle ma sapeva che, mettendoci la faccia, la gente avrebbe risposto con maggiore entusiasmo alla chiamata. Così fu: 43mila spettatori pagarono il biglietto per riempire le gradinate dell’allora stadio Sant’Elia, la cui capienza era stata ridotta in seguito alle nuove misure di sicurezza varate per i Mondiali di Italia ’90. Il “tutto esaurito” fece da cornice a un mini torneo con squadre composte dai calciatori del Cagliari e di altre squadre della serie A, personaggi del mondo dello spettacolo e giornalisti sportivi sardi. Arbitrò l’internazionale Longhi di Roma e fu davvero festa grande. Madrina della serata una giovanissima Simona Ventura. Grazie a quell’incasso fu possibile acquistare alcuni costosissimi macchinari che hanno poi salvato tante vite umane.
In seguito ha partecipato con grande entusiasmo a uno spot che promuoveva gli Special Olympics, un team compost da persone con disabilità, per la regia di Jacopo Cullin. Infine, con i suoi ex compagni di squadra si è preso cura dell’ex mezzala rossoblù Nenè, altro artefice dello scudetto del 1970, che Riva considerava come un fratello di sangue. Quando le condizioni di salute del brasiliano si erano aggravate, era stato necessario ospitarlo in una Rsa di Capoterra: in poche ore la notizia era trapelata e si erano mobilitati anche alcuni tifosi, che non hanno mai fatto mancare premure e visite al funambolico Claudio Olinto de Carvalho, poi deceduto nel 2016.
Riva è stato uno dei primi ad aprire una scuola calcio in Italia. Nel 1976 nacque la Scuola calcio Gigi Riva, che ancora oggi lavora esclusivamente con i giovanissimi di Cagliari e hinterland. Lì è nato un campione come Nicolò Barella, poi passato al Cagliari e quindi all’Inter, spiccando il volo sino alla Nazionale. Da qualche anno Gigi non riusciva più a dedicarsi alla sua società, come faceva un tempo. La seguiva a distanza, affidandosi ai suoi figli Mauro e Nicola. Non lo si vedeva più come un tempo nelle vie del centro cittadino dove, sino a un anno fa, era solito passeggiare e fermarsi di fronte alle garbate richieste di autografi e selfie di grandi e piccini. L’ultima sua apparizione pubblica è datata 7 novembre 2022: nel giorno del suo 78esimo compleanno, al Teatro Massimo di Cagliari, ha assistito con i suoi familiari alla prima del film “Nel nostro cielo un rombo di tuono”, un film di Riccardo Milani che ha ripercorso in 160 minuti la vita e le gesta sportive di questo campione. Si commosse visibilmente, quando il pubblico presente in sala si era levato in piedi per tributargli una lunga ovazione. L’omaggio dovuto a un Grande.
«Quando Gigi per due giorni interi si è messo a vendere braccialetti per Fondazione Domus de Luna, in tanti hanno capito che facevamo sul serio. Perché altrimenti Gigi non l’avrebbe indossata quella maglia», riporta in un post su Facebook Ugo Bressanello, presidente della Fondazione. «Per sempre Gigi Riva», è invece la frase – semplice, semplicissima – che accompagna la foto pubblicata stasera sul sito del Cagliari Calcio. È quello che pensano tantissime persone, oggi. È il pensiero che porto nel mio cuore. Ciao, Gigi.
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