Non profit

Addio favelas, largo ai duplex Rio de Janeiro si rifà il look

Il programma "Morar Carioca" in vista delle Olimpiadi

di Paolo Manzo

Sônia Silva, 54 anni portati male, non dovrà più preoccuparsi dei topi che, ogni notte, entravano nella sua catapecchia del Morro da Providência, una delle 850 favelas di Rio de Janeiro. Sônia, come altre migliaia di carioca poveri ha lasciato la sua stamberga un mese fa per andare ad abitare in una casa nuova su due piani, quello che gli architetti brasiliani chiamano “duplex”. Un lusso davvero, anche perché – secondo la stime di Ricardo Longo, manager dell’agenzia immobiliare Coelho da Fonseca – «la nuova casa di Sônia di qui a cinque anni, quando Rio ospiterà le Olimpiadi, varrà molto, anche per la bellissima vista di cui gode».
«Siamo solo agli inizi», spiega a Vita Ricardo Magalhaes, un funzionario che segue da vicino il programma “Morar Carioca”, letteralmente “Vivere Carioca”, che con un investimento di oltre 4 miliardi di euro ha l’obiettivo dichiarato di rivoluzionare Rio de Janeiro dal punto di vista urbanistico ed architettonico. «L’ambiente in cui si vive», ci racconta l’architetto Otavio Leonídio, uno dei coordinatori di “Morar Carioca”, «è fondamentale per il riscatto sociale delle persone. Per questo abbiamo selezionato tramite concorso pubblico i 40 migliori progetti degli studi di architettura più all’avanguardia in Brasile e, adesso, li stiamo implementando sul territorio. Già entro fine anno molti altri saranno pronti». Un successo che sta letteralmente cambiando il volto delle favelas di Rio de Janeiro.
Territorio, urbanistica, mancanza di architettura, almeno fino ad ora. Forse il “segreto oscuro” delle favelas, almeno per come le conosciamo noi in Occidente è tutto qui, ed è qui che nasce il degrado, l’ingiustizia e la violenza che da secoli hanno escluso gran parte della popolazione brasiliana dalla cittadinanza reale. Il territorio su cui le baraccopoli di Rio de Janeiro sono cresciute a dismisura negli ultimi decenni è infatti quello dei “morros”, le colline che circondano come una corona la meravigliosa baia carioca. Sotto, a Copacabana, Ipanema e barra da Tijuca, i quartieri nobili, con appartamenti che superano a volte anche il chilometro quadrato; sopra, sui “morros”, i disperati che vivono in catapecchie abbarbicate l’una sopra l’altra, dieci in famiglia in appena 20 metri quadrati di spazio. Senza fognature, senza trasporti pubblici né servizi di prima necessità. Ma con una vista mozzafiato. Sotto i ricchi miliardari, sopra gli uomini e le donne di fatica, che quotidianamente scendono “a valle” per offrire i loro servizi a prezzi stracciati.
«Un sistema non sostenibile, per forza di cose generatore di scontri sociali e di violenza», spiega Leonídio. Un sistema che però “Morar Carioca” si propone di cambiare in vista dei Mondiali di calcio del 2014 e delle Olimpiadi del 2016, i due grandi eventi che, nonostante i problemi legati alla corruzione, stanno letteralmente cambiando il volto sociale della “Cidade maravilhosa”.
João Pedro Backheuser è uno dei più importanti architetti carioca. Laureatosi nel 1994 insieme a Leonídio, con quest’ultimo gestisce lo Studio Blac, un caposaldo dell’architettura e dell’urbanistica sociale che sta prendendo piede a Rio de Janeiro. Ed è lui il coordinatore del programma di recupero urbanistico e architettonico “Morar Carioca”. «Il progetto può davvero cambiare la fisionomia della città», spiega. Per lui l’aspetto più difficile delle favelas dal punto di vista urbanistico «è la sensazione di provvisorio che comunicano. Case senza bagni, a volte prive di ventilazioni e illuminazione adeguate». Questo se ci si limita ad un’analisi delle singole componenti. Nell’insieme, invece, per Backheuser «la sensazione è quella di un magma informe, che muta ogni giorno senza rispettare regole o ancor peggio senza che dietro ci sia un pensiero. Chiunque voglia costruire in una favela e trovi il suo spazio può farlo». L’altro problema poi sono i tempi. A volte si cominciano progetti ma poi li si perde per strada. Ma questo «non dovrebbe accadere con “Morar Carioca”». spiega il coordinatore del progetto, «perché Rio vuole arrivare alle Olimpiadi più bella che mai. Non solo le istituzioni ma anche il più povero dei suoi abitanti». È questa la benzina vera della rivoluzione architettonico-urbanistica a Rio, la voglia dei poveri di ritagliarsi un posto al sole, recuperando una cittadinanza che in realtà non hanno mai avuto.
Poveri come Sônia Silva, una delle prime beneficiarie di “Morar Carioca” che, solo nella favela del Morro da Providenzia, prevede riforme urbanistiche ed architettoniche per 70 milioni di euro. «Una rivoluzione senza precedenti», assicura lei con le lacrime agli occhi. «Non so se Rio sia la città meravigliosa come tutti la definiscono», le fa eco orgoglioso Backheuser, «ma di certo è un luogo meraviglioso per una città».


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