Cultura

Addio a mons. Nervo: «il mio testamento etico-culturale»

È morto ieri a 94 anni il fondatore della Caritas italiana. In un'intervista del 2007 ci aveva anticipato le sue preoccupazioni sul volontariato, giacimento di gratuità a rischio. Lui stesso ci aveva detto «è il mio testamento etico-culturale»

di Sara De Carli

È morto ieri, a 94 anni, monsignor Giovanni Nervo. Era stato fondatore e primo pesidente di Caritas Italiana. Ma nessuno come lui in Italia conosceva la vita del volontariato: era stato proprio lui a promuovere nel 1975 uno storico convegno a Napoli, in cui per la prima volta il volontariato s’impose all’attenzione di tutti. Nella primavera del 2007 stava lavorando a un libro, "Ha un futuro il volontariato?", che lui stesso, con Vita, definì il proprio «testamento etico-culturale». Ne avevamo parlato in anteprima, in occasione di quella conferenza nazionale del volontariato che 32 anni dopo tornarono proprio a Napoli. Sul volontariato Nervo era tornato ancora nell'ultima intervista che ha rislaciato: leggila sul blog di Giulio Sensi.

Dalla sua lunga esperienza, come giudica lo stato di salute del volontariato in Italia?
Sto pubblicando un libretto con il titolo C’era una volta il volontariato… Ha un futuro il volontariato? È un po’ il mio testamento etico-culturale su un fenomeno che seguo da vicino da oltre 30 anni. È singolare che la Conferenza si tenga a Napoli, dove 32 anni fa, nel 1975, la Caritas  ha organizzato il primo convegno nazionale del volontariato, su proposta di Luciano Tavazza. Il volontariato è cresciuto in fretta, con alcuni problemi di adolescenza, ora ha le complessità di chi, diventato adulto, ha messo su famiglia, ha anche qualche capello bianco, sintomo di incipiente vecchiaia. È ancora in buona salute, ma con qualche problema: è quanto dirò in quel libretto.

Quali problemi?
Principalmente uno: il rischio di perdere il senso della gratuità. Lo dico sempre: attenti che di soldi il volontariato può morire…

Oggi siamo permeati da una cultura economicistica e sganciata da appartenenze culturali. Il volontariato non ha saputo difendere la propria originalità?
Nella evoluzione di questi trent’anni, il volontariato ha sperimentato il passaggio dal lavoro volontario gratuito alla convivenza con la cooperazione sociale, con qualche perdita di identità nella confusione fra volontariato e impresa sociale, enti non profit, onlus, economia sociale. Questo non facilita certo lo sviluppo del volontariato come lavoro gratuito.

Quali sono secondo lei gli stimoli che possono accendere nei giovani l’interesse per il volontariato?
Il contatto diretto con le umiliazioni e le sofferenze delle persone emarginate e con esperienze di volontariato autentico. È una “malattia” che si prende per contagio.

L’esperienza del servizio civile è utile in tal senso?
È stata molto utile l’esperienza del servizio civile degli obiettori di coscienza quando erano obiettori autentici e venivano impiegati in programmi seri di assistenza e di lotta contro l’emarginazione. Tanto è vero che molti obiettori che non avevano avuto una precedente esperienza di volontariato, finito l’anno di servizio obbligatorio hanno continuato il servizio come volontari. Anche l’esperienza del nuovo servizio civile può essere utile ad accendere nei giovani l’interesse per il volontariato se i progetti in cui vengono impegnati sono veri progetti di promozione sociale e di lotta alla esclusione sociale, se viene curata bene la formazione e se il servizio civile non viene sfruttato per riempire vuoti e per risparmiare sui costi dei servizi.

In una sua intervista leggo: «Attenti alle mistificazioni, all’eccesso di “valorizzazione” del volontariato: volontario è aggettivo, da accostare a persona e lavoro. Il volontariato ha valore prima di tutto in quanto è lavoro umano, non perché è gratuito: quello è un valore aggiunto, ciò che vale è il lavoro umano. La prima forma doverosa di solidarietà non è il volontariato ma fare bene il proprio lavoro». Vuol dire che lei denuncia uno “sfruttamento” del volontariato dei giovani da parte di associazioni/cooperative che potrebbero invece dare spazio a professionalità impegnate nel sociale? Molti giovani si accostano al servizio civile con questa aspettativa: è un male o è un’aspettativa legittima?
La Costituzione italiana, all’art. 1, dice che «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» … non sul volontariato. E all’art. 4 dice che «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società». Il volontariato è certamente una realtà di alto e nobile valore, ma bisogna evitare il pericolo che una superesaltazione metta nell’ombra il valore del lavoro normale con cui ognuno provvede a mantenere se stesso e la sua famiglia. Il valore costitutivo del lavoro è che è lavoro umano, sia esso pagato o gratuito: la gratuità è valore aggiunto, non valore costitutivo. Il volontariato è espressione volontaria di solidarietà. Prima vengono le solidarietà dovute – gli inderogabili doveri di solidarietà -, come ad esempio far bene il proprio lavoro, far funzionare bene le istituzioni, pagare le tasse, partecipare alla vita politica almeno con il corretto uso del voto. Se non ci fosse un adempimento coscienzioso della solidarietà dovuta, quella volontaria si ridurrebbe ad  ipocrisia e alienazione. Il rischio non sta nel valorizzare la solidarietà gratuita, ma nel trascurare il valore della solidarietà dovuta.  

È la sua denuncia su un rischio di sfruttamento del volontariato?
Il pericolo c’è, in forme diverse, sia da parte di enti pubblici, sia da parte di associazioni e cooperative. Certe forme di consistenti rimborsi spese a forfait non raramente nascondono lavoro nero. Il discorso del servizio civile è diverso. Il servizio civile volontario non è volontariato; ha in comune con il volontariato la libera scelta e spesso il campo in cui opera.  

C’è il rischio che oggi il volontariato organizzato sia più preoccupato a garantirsi come apparato che a salvaguardare e difendere questo patrimonio di gratuità?
Mi pare che il pericolo sia abbastanza evidente, soprattutto quando si tratta di occupare spazi politici o accaparrarsi risorse economiche. I Centri di servizio possono limitare questo pericolo se sanno incoraggiare e sostenere le piccole associazioni di volontariato di paese, di quartiere, di parrocchia, piuttosto che i grandi organismi che, se vogliono, hanno risorse proprie per i propri servizi senza ricorrere a quelle dei Centri di servizio. Il mio, evidentemente, è un discorso controcorrente.




 


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