Cultura
Addio a Basilico, fotografo dell’abitare
Morto oggi a Milano. Era ritenuto il più importante fotografo di architettura al mondo. «Non mi interessa fare arte, mi interessa fare immagini che servano a me e a chi le guarda»
Se ne è andato uno dei più grandi fotografi italiani. Gabriele Basilico per quasi 50 anni ha raccontato l’Italia non con i suoi volti ma con le sue case. Basilico è ritenuto il più importante fotografo di architettura di questi decenni: non solo in Italia ma nel mondo. Aveva cominciato sulla scia di quel grande maestro che era stato Luigi Ghirri, alla scuola del Viaggio in Italia: un tentativo di raccontare le trasformazioni (e le persistenze) di un paese in formidabile cambiamento. Basilico da quella scuola ha imparato la cosa fondamentale di tutta la sua vicenda artistica: che ogni struttura architettonica deve la sua bellezza al fatto di essere impregnata delle presenze che l’hanno vissuta e abitata.
Per questo Basilico non aveva mai bisogno di inserire figure umane nelle sue immagini per renderle “umane”. E per questo i canoni di bellezza architettonica per lui erano molto più larghi e molto più “comprensivi”: una casa poteva essere bella solo per il carico di vita che dimostrava di portarsi addosso. Per questo Basilico è stato un grande fotografo di architettura. Certo, aveva un occhio formidabile, che sapeva intercettare geometrie segrete in luoghi che a noi sembravano solo grovigli caotici e disordinati. Ma non era solo il suo occhio che sapeva vedere anche in quei contesti un ordine. Era il suo cuore di fotografo che quando fissava un edificio non vedeva le pietre o il cemento, ma vedeva la vita che per di lì era passata. In questo Basilico ha saputo documentare l’Italia come nessun altro: senza cinismo, senza quella vocazione al catastrofismo che contraddistingue gran parte della fotografia di cronaca.
Basilico in sostanza era un uomo innamorato delle cose finivano nel suo obiettivo, belle o brutte che fossero. In una recente intervista alla Stampa aveva detto: «A me per esempio non interessa mai discutere se una fotografia è interpretazione, lettura, trascrizione, se è arte o non è arte… Tutte queste cose, come dire, appartengono ad un altro mondo che è quello della critica, della storia, del linguaggio… A me interessa proprio invece la sostanza di quello che fai, quindi a cosa serve anche questa immagine qui, insomma… Cosa restituisce a te, a chi la guarda, e anche se serve a qualcos’altro, no?»
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