Mondo

Ad occhi bassi davanti a quel murales

È una delle foto vincitrici del World Press Photo 2019. È stata scattata da un italiano, Marco Gualazzini. Racconta in modo silenzioso la tragedia dei popoli del lago Ciad. Il primo premio è andato a un americano con un’immagine scattata al confine tra Messico e Usa. Ma tutti i finalisti sono da guardare e conoscere...

di Giuseppe Frangi

Un ragazzino cammina, a testa bassa e faccia visibilmente triste. Non osa guardare cosa c’è sul muro dietro di lui, perché è un’immagine che conosce benissimo e che lui stesso ha collaborato a disegnare: tracciate con un semplice segno nero ci sono le sagome di lanciagranate sui loro treppiedi. Le granate si fanno via via più grandi come gli incubi che inquietano i sonni suoi e di tanti ragazzini come lui. Siamo a Bol, sul lago Chad, nel cuore di una delle più drammatiche crisi umanitarie del pianeta, dove milioni di persone vivono sotto la spada di Damocle di Boko Haram, uno dei gruppi jihadisti più violenti che ci siano. La foto (in cover) è stata scattata da un fotografo italiano di Parma, Marco Gualazzini che lavora per l’Agenzia Contrasto. Ne parliamo perché è arrivato tra le sei della selezione finale del premio più importante di fotogiornalismo al mondo, il World Press Photo, ed ha poi vinto nella categoria Ambiente.

Il premio è stato vinto quest’anno da un fotografo americano, John Moore, corrispondente di Getty Images, con un’immagine scattata in Texas ai confini con il Messico: si vede una bambina, tutta vestita di rosso, che piange mentre un’agente sta perquisendo sua madre. Dei “grandi” si vedono solo le gambe con i jeans della mamma, e i pantaloni della divisa della poliziotta. Così l’epicentro della scena, illuminata in modo crudo dai riflettori, è tutto di Yanela Sanchez, la piccola bambina honduregna.

Sono due immagini diverse con un tratto in comune: quello di aprire l’obiettivo nel cono d’ombra della storia e dell’attualità. La diversità invece sta nel tono delle due foto: lo sguardo di Gualazzini è più discreto. Il dramma della situazione viene narrato all’interno di un istante di assoluta normalità. L’immagine di Johns al contrario ha una forza quasi cinematografica: sembra di essere su un set, anche se il film a cui si assiste è una presa diretta sul reale. Per questo l’approccio del fotografo appare più invasivo, più sottilmente spettacolare.

C’è un altro italiano tra i finalisti delle varie categorie del World Press Photo 2019 (nella categoria General news, dove ha ottenuto il secondo posto). È Daniele Volpe, classe 1981, che da anni vive in Guatemala. La sua immagine ha l’intensità di un quadro: si vede il soggiorno di una casa abbandonata a San Miguel Los Lotes, in Guatemala, coperto di cenere dopo l'eruzione del vulcano del Fuego, il 3 giugno 2018. La polvere e la lava hanno fatto di questo ambiente un monocromo di color terra. Spuntano solo le testate dei letti, e un ventilatore come un ormai inutile relitto.

Un terzo italiano, Lorenzo Tugnoli, anche lui dell’agenzia Contrasto, ha vinto il primo premio nelle categorie Generale News Stories, con un servizio pubblicato dal Washington Post, con un servizio su una delle crisi meno documentate del mondo, quella dello Yemen.

C’è comunque un filo conduttore che lega la gran parte dei vincitori nelle varie categorie: è quello di raccontare per immagini pezzi di mondo che ormai nessuno racconta più. Ed è questo che rende prezioso agli occhi di tutti il lavoro “antico” del fotografo, in un’epoca di omologazione mediatica come quella che stiamo vivendo: il fotografo è per necessità tecnica di un testimone in presa diretta. Ed è un testimone che per natura cerca di osservare quello che gli altri dimenticano o non ritengono degno di cronaca. Così il World Press Photo ogni anno ci propone una narrazione che richiama la necessità di una diversa coscienza rispetto al mondo in cui viviamo.

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