Sostenibilità

Acque: 119 i pesticidi presenti in fiumi, laghi e falde

La denuncia è dell'Apat

di Redazione

E’ quanto emerge dal Rapporto sul piano nazionale di monitoraggio delle acquee interne non potabili, superciali e sotterranee, relativo al triennio 2003/2005 dell’Apat, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e i servizi tecnici, presentato questa mattina. Ben 119 sono infatti i tipi diversi di pesticidi rinvenuti, di questi 112 sono stati rintracciati nelle acque superficiali, 48 in quelle sotterranee. Nel 2005 i controlli hanno riguardato 3.574 punti di monitoraggio e 10.570 campioni, per complessive 282.774 misure analitiche. Nelle acque superficiali, spiega il Rapporto, e’ stata riscontrata la presenza di residui in 485 punti di monitoraggio (47% del totale), nel 27,9% dei casi con concentrazioni superiori al limite stabilito per le acque potabili. Nelle acque sotterranee sono risultati contaminati 630 punti di monitoraggio (24,8% del totale), nel 7,7% dei casi con concentrazioni superiori ai limiti di potabilita’. Questi alcuni dei dati piu’ significativi esposti nel corso della conferenza.

L’Apat ha sottolineato che, a fronte di un consumo annuo di pesticidi di 150mila tonnellate con circa 400 principi attivi utilizzati, varie sono le maggiori criticita’ sul territorio nazionale, tra cui “la contaminazione da terbutilazina diffusa in tutta l’area padano-veneta ed evidenziata anche in alcune regioni del centro sud: e’ risultata presente nel 51,5% dei punti di campionamento delle acque superficiali e nel 16,15 di quelli delle acquee sotterranee”. La ricerca ha rilevato che “ancora diffusa, a distanza di un ventennio dal divieto, e’ la presenza di atrazina, residuo di una contaminazione storica imputabile al forte utilizzo fatto in passato”. Segnalate anche specificita’ legate al territorio di alcuni pesticidi, come la contaminazione da bentazone, erbicida utilizzato nelle risaie e quindi presente soprattutto in Piemonte e nella zona sud-ovest della Lombardia. I dati del rapporto non fanno pero’ riferimento a tutte le regioni italiane, in quanto alcune di esse non hanno effettuato analisi accurate e mirate.

L’Apat fa pero’ sapere di aver fornito un metodo omogeneo, segnalando anche le sostanze da ricercare, secondo l’accordo Stato-Regioni che nel 2003 ha affidato all’Apat il coordinamento del monitoraggio. “Non abbiamo avuto una risposta uniforme da parte delle regioni – ha dichiarato Pietro Paris, responsabile dell’unita’ che coordina il monitoraggio – alcune come il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia Romagna, la Sicilia, il Lazio, le Marche, l’Abruzzo e la provincia di trento ci hanno trasmesso il loro piano. Altre, come la Basilicata, ci hanno fornito dati relativi al 2006 e quindi per il prossimo rapporto. Altre ancora, come Campania, Umbria e Veneto, non hanno un piano in senso formale ma hanno effettuato indagini mirate”.

“Fornire dati seri serve alle istituzioni per modificare le proprie politiche ambientali e ai cittadini affinche’ rivedano i propri stili di vita. Stiamo proseguendo con questi studi per fornire nel prossimo futuro il secondo rapporto”, ha affermato Giancarlo Viglione, commissario straordinario dell’Apat. “Essendo questo il primo studio e non avendo quindi dati di riferimento non possiamo parlare di una tendenza. Non sembra una situazione allarmante ma da tenere sotto controllo: non si tratta di acqua potabile ma di acque che comunque possono interessare le falde”, ha aggiunto Roberto Mezzanotte, direttore del Dipartimento Nucleare, Rischio tecnologico e industriale dell’Apat.

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