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Acqua privata: ecco chi ci perde e chi ci guadagna

Il via libera della Camera. E ora cosa cambierà?

di Francesco Dente

Sul caso Acqua privata leggi il Dossier di Vita Magazine

Con 320 sì e 270 no la Camera dei Deputati ha dato il via libera definitivo al decreto Ronchi sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Il provvedimento, ora convertito in legge, apre all’ingresso dei privati nella società di gestione del servizio idrico integrato. Il termine ultimo previsto per l’approvazione del decreto 135/2009 da parte della Camera era fissato per il prossimo 24 novembre ma il Governo ha deciso di accelerare ponendo la fiducia. Una scelta, secondo il Ministro delle Regioni Raffaele Fitto, dettata dal timore che gli emendamenti dell’opposizione facessero slittare i termini dell’approvazione. In realtà, il voto di fiducia è servito anche a blindare un voto sul quale si annunciavano perplessità da parte delle stesse forze di maggioranza, Lega in primis.


Che cosa prevede

L’articolo 15 del decreto prevede la gara ad evidenza pubblica come regola ordinaria per l’affidamento dei servizi da parte delle amministrazioni. Non potrà esserci più, dunque, affidamento diretto o in house. Queste gestioni dovranno cessare alla data del 31 dicembre 2010. Le società partecipate dal pubblico, tuttavia, potranno mantenere i contratti stipulati (senza gara formale) fino alla scadenza, nel caso in cui le amministrazioni cedano a soci privati almeno il 40% del capitale. Per quanto riguarda, invece, le società quotate avranno tre anni in più per adeguarsi a patto che abbiano almeno il 40% di quota di partecipazione pubblica al 30 giugno 2013, quota che deve scendere al 30% al 2015.


Il dibattito e le reazioni

Secondo il Ministro Andrea Ronchi l’acqua resterà pubblica. «Si vogliono combattere i monopoli, le distorsioni, le inefficienze con l’obiettivo di garantire ai cittadini una qualità migliore e prezzi minori». Secondo il titolare del dicastero delle politiche comunitarie, inoltre, si tratta di un provvedimento atteso da anni dalle piccole e medie imprese, quelle aziende cioè che «hanno consentito al nostro sistema economico di reggere in un momento di grandissima crisi». Contraria l’opposizione che ha contestato il ricorso alla fiducia. Sergio Chiamparino (Pd), presidente Anci e Sindaco di Torino, ritiene che il decreto sia «carente sulla distinzione tra reti e gestione». Mentre di Pietro (Idv) tuona: «Il governo del malaffare ha colpito uno dei beni più preziosi del nostro patrimonio». Polemiche anche le regioni. Vasco Errani, presidente dell’Emilia Romagna e della Conferenza delle Regioni, critica il Governo in quanto sarebbe venuto meno, ancora una volta, «alla collaborazione e al rispetto delle competenze regionali». Intanto, Puglia, Emilia, Piemonte e Marche annunciano la possibilità di ricorrere alla Corte costituzionale.

Il Forum dei Movimenti dell’acqua
L’arcipelago delle associazioni e dei comitati che dal 2006 si è mobilitato per scongiurare la cosiddetta privatizzazione dell’acqua manifesta, attraverso un comunicato, la sua indignazione «per la superficialità con cui il Governo, senza che esistessero i presupposti di urgenza, ha voluto accelerare la privatizzazione dell’acqua». La consegna dell’acqua ai privati è un provvedimento che «mette a rischio la democrazia». Il Governo, afferma il Forum, impone per decreto che i cittadini e gli enti Locali vengano «espropriati di un diritto e di un bene comune com’è l’acqua per consegnarlo nelle mani dei privati e dei capitali finanziari». Una decisione, quella del Governo, che avviene sotto il «falso pretesto» di uniformare la gestione dei servizi pubblici locali alle richieste della Commissione Europa mentre, prosegue la nota, «non esiste nessun obbligo e le modifiche introdotte per sopprimere la gestione “in house” contrastano con i principi della giurisprudenza europea». Le esperienze già in atto, prosegue il Forum dei Movimenti per l’acqua, dimostrano invece che le gestioni del servizio idrico affidate in questi ultimi anni a soggetti privati hanno prodotto esclusivamente innalzamento delle tariffe, diminuzione degli investimenti e un aumento costante dei consumi. La battaglia per l’acqua pubblica, combattuta con la campagna di sensibilizzazione “Salva l’acqua”, non si ferma tuttavia. Dopo le 45mila firme a sostegno dell’appello che chiedeva il ritiro delle norme sulla privatizzazione dell’acqua consegnate al Presidente della Camera e la manifestazione del 12 Novembre a Piazza Montecitorio, la «contestazione dovrà essere ricondotta nei territori, per chiedere agli Enti Locali che si riapproprino della podestà sulla gestione dell’acqua tramite il riconoscimento dell’acqua come diritto umano e il servizio idrico integrato come servizio pubblico locale privo di rilevanza economica e nel contempo di sollecitare le Regioni ad attivare ricorsi di legittimità nei confronti del provvedimento».
Il Forum, infine, sollecita i sindaci e gli eletti a dar vita nelle rispettive istituzioni a prese di posizione chiare che respingano la legge e a promuovere iniziative di protesta nelle istituzioni stesse.

Chi gestisce il settore idrico
In più della metà dei casi, al momento, l’affidamento in-house (a società di proprietà dei Comuni al 100%) è la formula prevalente. Secondo l’ultima relazione 2008 del Comitato di vigilanza sull’uso delle risorse idriche (Covili) su 92 Ambiti territoriali ottimali (Ato) presenti in Italia, 69 hanno effettuato l’affidamento del servizio idrico integrato a 114 società. Il numero delle società è più alto degli Ambiti in quanto alcuni di questi hanno compiuto più affidamenti distinti, ad esempio, per l’acqua, la fogna o la gestione dei depuratori. Per quanto riguarda le forme gestionali 7 sono le società private, 22 le società a capitale misto con partner selezionato mediante procedura ad evidenza pubblica, 9 sono le quotate in borsa, 58 sono le società interamente pubbliche. Infine, 18 affidamenti riguardano sia società affidatarie per le quali non è stata specificata la tipologia di affidamento, sia società che hanno tipologie previste dalle leggi regionali di recepimento della legge 36/94 (legge Galli) che ha aperto inizialmente all’ingresso dei privati nel settore idrico.

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