Achille Lauro è lo Steven Morrissey italiano. Questa è la provocazione che mi ha fatto un’amica recentemente fulminata sulla via dei The Smiths. Naturalmente chiunque sia stato appassionato del gruppo di Manchester prenderebbe una dichiarazione simile come lesa maestà. Ma in fondo in qualche modo non è un’affermazione così peregrina.
Non tanto perché si possa davvero fare questo paragone, quanto perché è l’operazione di Achille Lauro a volerlo propiziare.
Il rapper romano, al secolo Lauro De Marinis, inizia il suo percorso con Quarto Blocco Gang, un collettivo underground del quarto municipio di Roma. Insieme a lui nomi noti della scena romana come Crine, Simon P e Frigo.
Un vecchio feat. con Simon P e Crine insieme a Egreen targata Quarto Blocco
Un humus che vede Lauro perfettamente integrato. Quindi all’inizio abbiamo a che fare con un rapper classico. Un passato che per altro Lauro sembra aver voluto archiviare. Tanto che su Spotify quelle prime produzioni come Barabba del 2012 e Harvard 2013 non sono disponibili.
Lauro passa poi alla Roccia Music di Marracash con cui fa tempo a produrre Achille Idol Immortale, Young Crazy EP e Dio c'è.
Ma già nell’ultimo album comincia la trasformazione Il disco non si presenta come un album di rap tradizionale: alla chiusura di ogni traccia vi è la lettura di un versetto evangelico, rivisitato in ottica "lauriana", e le sonorità non sono quelle tipiche dell'hip-hop.
Fonda la No Face Agency e pubblica Ragazzi madre. Nel 2018 arriva la consacrazione. Lauro fa una breve incursione nel mondo trap e spopola con Thoiry RMX. Tanto che in molti non sanno neanche che la canzone in realtà è di Quentin 40.
Subito dopo dà alle stampe “Pour l'amour” e inizia il sodalizio artistico con Boss Doms.
A questo punto le cose cambiano drasticamente: Lauro abbandona velocemente il rap e la trap. Inaugura un progetto sperimentale in cui mischia generi e influenze diverse in modo sistematico. Fino ad arrivare a Sanremo con Rolls Royce pezzo considerato sostanzialmente pop rock.
Il progetto (che dovrebbe dare vita a una trilogia di dischi) inizia con “1969” in cui Lauro omaggia gli anni 70 e il mondo glam e la new wave. Seguirà 1990 che farà lo stesso con i novanta.
A questo punto però è necessario fare un piccolo passo indietro temporale e provare a inquadrare i The Smiths e Morrissey, e il panorama musicale di allora.
Non sono molte le band che nella storia del rock siano riuscite a incarnare sino in fondo la complessità di una specifica epoca culturale e storica, facendosi carico delle sue incertezze di carattere politico e sociale, creando, attraverso il tessuto delle proprie canzoni, un megafono per l'urlo di un'intera generazione rimasta senza voce o, forse, senza più nemmeno la voglia di continuare a parlare. Manchester è stata una città che da questa prospettiva ha dato un contributo più che cospicuo, con i Joy Division alla fine degli anni Settanta e gli Oasis nei Novanta, ma per quanto riguarda il decennio intermedio, ovvero quello più controverso e problematico degli anni Ottanta, la figura dominante e "paradigmatica" è stata proprio quella dei The Smiths.
Se quindi è vero che oggi Lauro si rifà all’immaginario del decennio precedente ai The Smiths, quello dei Bowie, dei lustrini e della ambiguità sessuale, dal punto di vista testuale, quindi della poetica, è indubbio ci sia un nesso.
L'impatto che l'opera musicale (e poetica) del gruppo guidato da Steven Patrick Morrissey e Johnny Marr ha avuto nella cultura britannica è infatti ancor oggi più che tangibile, tanto che si potrebbe quasi dire che dall'anno del suo scioglimento fino ad oggi, la band non abbia mai cessato di essere attuale e "all'ordine del giorno", fonte di inesauribile ispirazione per centinaia gruppi di ogni genere, latitudine ed estrazione generazionale (con un apice significativo negli anni del britpop).
Già solo il nome della band è un manifesto con uno dei cognomi più diffusi nel mondo anglosassone, l'equivalente albionico dei nostri Rossi o Bianchi, quasi a voler rimarcare una precisa volontà di anonima ordinarietà quotidiana, unita a un contesto di natura a tratti quasi domestico-familiare.
Si legge su Onda rock Riguardo a loro: «come molti commentatori attenti hanno notato la principale novità del disco d'esordio The Smiths risiede del tutto paradossalmente nella sostanziale assenza di novità in termini strettamente sonori e compositivi. Dopo anni di innovazioni e sperimentazioni costanti, che avevano portato la new wave a ibridarsi con linguaggi disparati e spesso vicini alla più colta avanguardia, gli Smiths riscoprono l'inaggirabile necessità di tornare all'essenzialità di un classicismo melodico fondato sulle semplici canzoni. Vengono così riscoperti e aggiornati gli stilemi compositivi che avevano dato lustro alla produzione rock della seconda metà degli anni Sessanta, attraverso un reticolo complesso di citazioni che vanno dai Beatles ai Kinks, passando attraverso Velvet Underground, Love e Byrds. Di pari passo la musica assume un piglio più lirico e introspettivo, tratteggiando i contorni sfumati di un microcosmo privato intriso di fragilità e inconfessabili contraddizioni, un piccolo mondo immaginario che si popola di memorabili personaggi. Personaggi che spesso raccontano la propria goffaggine e inadeguatezza in romanzi magistralmente costruiti. Il grido di libertà e amore negato che promana dai testi di Morrissey (tra i migliori "scrittori" che la musica inglese abbia mai conosciuto), la sua rivendicazione di una diversità (e quindi solitudine) irriducibile, riesce così a plasmare l'immaginario di una nuova generazione di adolescenti schiacciati dal peso opprimente dello sterile thatcherismo e dall'inesorabile sbriciolarsi di ogni ideologia o progetto di rivoluzione sociale, amplificando le "deformità" e, al contempo, il bisogno di verità di giovinetti che affidano alla bellezza incorrotta della musica la loro ultima speranza di autentica guarigione».
Achille Lauro, nel momento del suo discostarsi da rap e trap per entrare in questo revival sonoro si è ispirato e ha saccheggiato a piene mani nell’universo di Morrissey. Rimane però un punto. Anzi il punto: Achille Lauro scimmiotta qualcosa che è stato. Qualcosa che è già successo. Copia e ripropone una rivoluzione culturale e musicale altrui, ma fuori tempo.
La proposta del rapper italiano è una carnevalata pop priva di contenuto e scollegata dalle urgenze sociali, politiche e musicale del presente. È talmente vero che i baci tra lui e Boss Doms, immortalati sul palco, non impressionano nessuno e rimangono a languire nelle pagine di gossip tra l’ultimo aggiornamento sul fidanzato immaginario di Pamela Prati e l’ultima intervista a Pupo Ghinazzi. È messa in scena ormai desueta e polverosa. Bowie, senza fare nulla di così didascalico ed esplicito, riusciva ad essere più misterioso, più disturbante e più dividente. Oltre a cambiare nel contempo, per sempre, la musica.
Morrissey invece scrive la storia, reinventa suoni e poetiche. Morrissey è contemporaneo a sé stesso e futuristico.
Lauro invece è solo stantio. Il Glam oggi ha poco senso e presentarsi sul palco con ali e vestiti femminili o con i tacchi a spillo non ha alcun significato profondo. In un mondo in cui Platinette è la migliore amica delle casalinghe italiane sfugge quale sia il muro che si vuole abbattere scimmiottando New York Dolls o Roxy Music per altro guardando ad un glamour che non ha più nulla a che vedere con quello di oggi. Il rischio è un plasticoso effetto Halloween.
L’unica cosa positiva è che molti dei giovani che sentono Achille Lauro scoprano attraverso di lui i gruppi storici cui fa riferimento. Forse.
Rimane un grande rammarico: Achille Lauro è un grande talento e nel momento in cui ha deciso di voltare le spalle a rap e trap ha deciso di uscire dalla contemporaneità. Ha deciso di rinunciare alla possibilità di scrivere qualcosa di dirimente e nuovo in favore degli ascolti. Lecito. Ma un po’ deludente
Facile si dirà scvrivere male di qualcosa o qualcuno. Vero. E allora per compensare: per me oggi la contemporaneità, nel mondo rap/trap la rappresentano Lazza…
… e Madame (al secolo Francesca Galeano).
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