Mondo
Accoglienza diffusa: un modello che fa scuola
La onlus Piam di Asti è stata la prima in Italia a sperimentare l’inserimento dei migranti in famiglia. Ora gli esempi di distribuzione in piccoli gruppi, spalmati nei diversi comuni e con le associazioni a fare da tramite, si moltiplicano. Da Genova ad Arezzo, da Vicenza a Milano
«Il modello dell’accoglienza diffusa è rodato, però sia chiaro: non è tutto rose e fiori, può scattare l'amicizia come l'attrito, e in certi casi bisogna interrompere il rapporto. L'accoglienza in famiglia è uno strumento bellissimo ma delicato». L’avvertimento viene da Alberto Mossino, coordinatore della onlus Piam, che da più di un anno, e per primo in Italia, ha sperimentato con successo modi e percorsi per coinvolgere le famiglie del territorio nell'emergenza migranti.
«Quando i richiedenti asilo arrivano li sistemiamo nel centro collettivo di accoglienza dove stanno per 2 o 3 mesi, il tempo necessario per faro lo screening sanitario e avviare la domanda del permesso di soggiorno», spiega Mossino. Quindi, per chi vuole, parte l’inserimento in famiglia. Con il supporto dell’associazione, che garantisce un operatore di riferimento per la mediazione. E poi continuiamo a seguire i ragazzi nell’iter per la richiesta di asilo, li inseriamo nei percorsi di lingua e li seguiamo per le necessità mediche. Oltre ad assicurare il loro pocket money, i 2,50 euro al giorno che spetta ai migranti dei 34 al giorno che riceviamo dallo Stato per organizzare l’accoglienza di ciascuno».
Sulle 62 famiglie che ospitano in questo momento i migranti ad Asti, una cinquantina sono straniere «perché l'accoglienza spesso funziona meglio nelle famiglie di immigrati di seconda generazione. Con gli italiani accade più spesso che si tirino indietro, perché le aspettative sono alte e la realtà è più complessa dell'ideale iniziale di accoglienza. Mentre tra connazionali, o originari di Paesi vicini, è tutto più immediato. Si hanno le stesse usanze, anche alimentari, e l'integrazione nel tessuto sociale è più rapida», continua Mossino. Ma c’è anche un altro aspetto da sottolineare: l'accoglienza diffusa si può trasformare in strumento di supporto al welfare: da una parte il rifugiato smarrito, dall’altra famiglie massacrate dalla crisi, che magari sono in Italia da 10 anni ma per tanti motivi rischiano l'emarginazione e lo sfratto e per le quali 400 euro al mese possono dare una grossa mano.
LIGURIA
Al modello Asti si ispira la Liguria, che ha intenzione di attivare esperienza di accoglienza diffusa. Per questo Anci e Comune di Genova organizzano a fine settembre (probabilmente il giorno 23 a Palazzo Tursi) una giornata di formazione per associazioni e cooperative locali con l’intenzione di aiutare il passaggio dall'accoglienza in grandi centri profughi complessi da gestire a quella diffusa nelle case della gente.
«Si temeva che la gestione diretta dei migranti da parte dei privati fosse senza controllo e a rischio di abusi», ha dichiarato Paolo Pezzana, coordinatore della Commissione Immigrazione di Anci Liguria. Ma seguendo il modello Asti, in cui sono le associazioni a fare da tramite tra Prefettura e famiglie, ogni diffidenza è superata». Il nuovo bando per l’accoglienza aperto ai privati, che potranno sia affittare case vuote sia accogliere il migrante in famiglia, sarà a breve pubblicato dalla Prefettura.
VENETO
Intanto in provincia di Vicenza, promotore il comune di Santorso, il 10 agosto è stato presentato il protocollo d’intesa per un accordo tra amministrazioni locali per la costituzione di una rete territoriale per l’accoglienza diffusa dei richiedenti protezione internazionale. Tra i sottoscrittori, anche Caritas Padova. «Sarebbe davvero auspicabile una collaborazione di tutti i sindaci in questo senso», ha affermato il direttore don Luca Facco. «Il vantaggio sta nell’evitare le grandi concentrazioni: il favorire la distribuzione a piccoli gruppi è meno impattante sul territorio e al tempo stesso più gratificante per le persone stesse».
Presso ogni comune l’accoglienza avverrà sempre attraverso le cooperative sociali, con l’attenzione ai numeri: un profugo ogni mille abitanti. L’aspetto importante di questo protocollo è che è stato preso un impegno reciproco, non solo legato alla figura del prefetto ma dell’intera amministrazione sull’accoglienza di fronte alla popolazione. A partire da questo approccio molti sindaci si sono dichiarati disponibili a sottoscrivere l’accordo capace di individuare e coinvolgere enti gestori seri, competenti e affidabili, e di mobilitare tutte quelle realtà presenti nel territorio capaci di estendere una rete di vera accoglienza e di arrivare a impiegare i rifugiati in attività gratuite, utili alla collettività.
Anche in provincia di Venezia si parla di accoglienza diffusa dopo l’invio di una bozza d’accordo da parte della Prefettura ai 44 municipi. Il documento prevede che ogni Comune ospiti 1,6 migranti ogni mille abitanti per un totale di 1.376 persone. «Solo la condivisione dei princìpi di accoglienza diffusa riesce a garantire l’accettazione del fenomeno e consente una più facile integrazione dei profughi evitando che nascano tensioni sociali. Sarà così possibile risolvere le inaccettabili situazioni di Eraclea e Cona», ha dischiarato il sindaco di Chioggia, Giuseppe Casson. Un no secco è arrivato invece dal Comune di Scorzè: «Noi siamo contrari all’accoglienza di migranti perché riteniamo che non ci siano le condizioni per farlo», mentre il sindaco di Noventa di Piave, Alessandro Nardese, è scettico: «La quota è stata fissata in 1,6 migranti ogni mille abitanti ma poiché gli sbarchi continueranno, non c’è alcuna certezza che questo sarà il numero definitivo. E poi, per quanto dovranno restare? Le esperienze d’accoglienza che abbiamo avuto in passato non sono state positive».
LOMBARDIA
La Diocesi di Milano ha annunciato un potenziamento della rete di strutture di accoglienza gestite dalle sue cooperative e associazioni che porterà quasi a mille i posti per i profughi. Il cardinale Angelo Scola, ha chiesto ai parroci di mettere a disposizione altri spazi per famiglie e piccoli gruppi in base ad un piano di accoglienza diffusa, sollecitando l’approvazione di nuove leggi e norme per facilitare i percorsi di integrazione. Per analizzare il rapporto tra la città e i migranti e le prospettive future per far fronte all’arrivo di una nuova ondata è stato organizzato il 4 settembre a Expo un incontro con don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana che ha avviato il progetto "Rifugiato a casa mia".
TOSCANA
In Toscana sono già quasi cinquemilacento i migranti arrivati nel giro di un anno: settecento solo a luglio. A settembre, si stima, potrebbero salire a seimilacinquecento. Il modello di accoglienza diffusa si realizza solo grazie alla disponibilità dei Comuni: ogni località, in base a caratteristiche, grandezza e disponibilità di strutture ricettive, si rende disponibile ad ospitare un certo numero di persone. In provincia di Arezzo, ad esempio, i comuni di Chitignano, Monte Mignaio, Castiglion Fiorentino, Sestino, Subbiano e Badia Tedalda hanno già dato via alle collaborazioni volontarie. Nei primi sei mesi di accoglienza, il migrante non può compiere attività retribuite, ma può adoperarsi nel volontariato. Ci si attiva in base alla richiesta di manodopera sul territorio, con grande vantaggio per la comunità.
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