Famiglia

Accettare Mirka, il figlio del nemico

Nei Balcani sono state consumate più di un milione di violenze su donne e minori che hanno comportato suicidi a catena. A loro il regista Benhadj ha dedicato un bel film.

di Antonio Autieri

Un?anteprima particolare, quella di ?Mirka?, del regista algerino (ma oggi cittadino italiano) Rachid Benhadj. Particolare il film e il pubblico era quello del convegno ?L’Europa dei Balcani? composto da giovani provenienti dai paesi balcanici. A presentare la serata i due responsabili delle organizzazioni non governative che hanno realizzato il convegno, l?Ai.Bi., Amici dei Bambini e il COE.
Ma perché? Mirka? (nelle sale italiane dal 10 marzo) è un film particolare? Lo ha spiegato, all?anteprima, la stessa produttrice Anna Maria Gallone: «Si narra una storia dura, coraggiosa, in controtendenza rispetto ai film che vanno per la maggiore». Mirka è infatti un bambino nato dalla violenza, in un villaggio montano non precisato, dove il nemico è arrivato – e qui il riferimento etnico fa pensare proprio ai Balcani – per violentare le donne. I ?frutti? dello stupro sono figli della vergogna, e infatti sono stati tutti eliminati. Ma un?anziana donna, di nome Kalsan (interpretata da Vanessa Redgrave) conserva un segreto: ha salvato il figlio di sua nipote, l?adolescente Elena. Quando si vede comparire davanti, dieci anni, dopo un bambino che cerca la madre ha un improvviso presentimento.
La presenza del piccolo nel tempo genera sospetto e tensione in un paese apparentemente tranquillo, dove in realtà le ferite della violenza di una sanguinosa guerra etnica non sono state dimenticate. Nel villaggio vive da isolato: la vecchia Kalsan lo fa passare per un povero pastorello; la giovane Elena, che sta per sposare Helmut (Sergio Rubini), non sospetta la verità, finché un particolare insignificante – un brandello di stoffa che Mirka custodisce gelosamente – gli fa balenare l?ipotesi che il ragazzo sia suo figlio. E quando l?ipotesi inizia a circolare, nel villaggio si interpretano alcuni segnali (la morte degli animali, un?eclisse di sole) come una maledizione. Il colpevole è il ?diverso?, chi ha il sangue contaminato dal ?nemico?: ovvero Mirka, che ha pochissime persone dalla sua parte (tra cui il gigantesco e strambo Strix, interpretato da Gérard Depardieu). Solo la sua morte, dicono gli abitanti, può salvare il villaggio. E dalle intenzioni cercheranno di passare ai fatti.
«Nella maggior parte dei casi, nelle guerre, rivoluzioni e dittature, l?uomo ha usato lo stupro come arma di guerra» spiega Rachid Benhadj (che per la parte di Mirka ha scelto il figlio Karim), «una sorta di ?inquinamento etnico? per assicurare il predominio della razza più forte». E il film si chiude su una frase inquietante: ?nei Balcani, in un decennio sono stati compiuti oltre un milione e mezzo di stupri di donne e bambini, che hanno comportato suicidi a catena?.
«Però il mio film», prosegue Benhadj, «s?interroga soprattutto sulla possibilità che si possa stabilire un rapporto tra un bambino e sua madre quando non è nato da una scelta, ma è frutto di un destino incomprensibile e crudele per entrambi ma ancor più per il bambino, che viene privato dell?amore della madre. Mirka è incapace di capire l?assurdo del mondo degli adulti, rappresentati dagli abitanti del villaggio che lo rifiutano per la sua diversità». Ma la violenza non spegne del tutto i sentimenti più profondi: la giovane madre Elena, che aveva solo 14 anni quando mise alla luce il bambino, a poco a poco (dopo aver oscillato tra rifiuto e istinto materno) farà una definitiva scelta a favore della vita. Per questo, al fondo, c?è un messaggio di speranza: «Dietro la maschera dell?indifferenza – conclude il regista alla serata con i giovani balcanici – rimane in ognuno una piccola fiamma: e quando dall?isolamento ci si trova insieme nasce la solidarietà e l?amicizia». Ed è stata l?amicizia quella che ha spinto attori come Depardieu, la Redgrave, Barbora Bobulova, il nostro Rubini (e Franco Nero in un cameo) a partecipare a quello che doveva essere un piccolo film. E che è stato dedicato da Benhadj, oltre che a sua madre, a don Francesco Pedretti, fondatore del COE.

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