Accedere a nuove realtà: Thomas Tranströmer

di Marco Dotti

Lo si sente e lo si vede suonare.  Lo potete ascoltare (e vedere) anche voi, nel video documento al link qui sotto:

Tomas Tranströmer: “The Music Says Freedom Exists” from Louisiana Channel on Vimeo.

È Tomas Tranströmer, poeta svedese insignito del Nobel nel 2011. “Ci ha dato accesso a nuove realtà”, si legge nella motivazione dell’Accademia Reale.

Attraverso le immagini – immagini levigate in un linguaggio scarno, asciutto: l’opera omnia di questo grande poeta si condensa in poche centinaia di pagine – Tranströmer ha passato la soglia dell'”altra lingua”, quella che lambisce il silenzio.

Lavorando per molti anni come psicologo infantile, ha conosciuto la sofferenza che non ha parole, ma – come amava dire – linguaggio. Poi toccò a lui. Una malattia lo avvicinò a un’altra soglia, quella dell’incomunicabilità, da cui ha saputo tornare, suonando e scrivendo. Si è spento ieri, venerdì 26 marzo 2015. Aveva 83 anni.

“Stanco di tutto ciò che viene dalle parole, parole non linguaggio, / Mi recai sull’isola innevata. /Non ha parole la natura selvaggia. / Le sue pagine non scritte si estendono in ogni direzione. / Mi imbatto nelle orme di un cerbiatto. /Linguaggio non parole”. 

Ecco una sua poesia, tradotta da Gianna Chiesa Isnardi. Parla di una criside dorata (una vespa). O di noi.

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Tomas Tranströmer

Crisìde dorata

Il serpentello, lucertola senza zampe striscia lungo
la scala esterna
quieto e maestoso come un anaconda, solo le dimensioni li distinguono.

Il cielo è coperto di nubi ma il sole si spinge nel mezzo.
Così è il giorno.

Questa mattina la mia amata ha scacciato gli spiriti maligni.
Come quando nel sud si apre la porta di un magazzino buio
e la luce irrompe
e gli scarafaggi svelti svelti sfrecciano negli angoli e
sulle pareti
e scompaiono – li hai visti e non li hai visti –
così la sua nudità ha fatto fuggire i demoni.

Come se non ci fossero mai stati.
Ma tornano.
Con mille mani che connettono in modo sbagliato l’antiquato sistema di terminazioni
telefoniche dei nervi.

E’ il cinque luglio. I lupini si sporgono come se
volessero vedere il mare.
Noi siamo nella chiesa del silenzio, nella devozione illetterata.
Come se i volti degli irremovibili patriarchi non ci fossero
né l’errore di ortografia nel nome di Dio sulla pietra.

Ho visto un predicatore televisivo fedele alla lettera che aveva raccolto mucchi  di denaro.
Ma era debole ora e doveva essere sorretto da un bodyguard
che era un giovane elegante con un sorriso tirato
come una museruola.
Un sorriso che soffocava un grido.
Il grido di un bambino che resta in un letto d’ospedale
mentre i genitori vanno via.

Il divino sfiora un essere umano e accende una fiamma
ma poi si ritrae.
Perché?
La fiamma attira a sé le ombre, esse volano lì crepitando e
si uniscono alla fiamma
che sale e si fa nera. E il fumo si diffonde nero e
soffocante.
Infine solo il fumo nero, infine solo il boia
devoto.

Il boia devoto si china in avanti
verso la piazza e la folla che disegna uno specchio deformato
in cui può vedere se stesso.

Il più grande dei fanatici è il più grande dubitatore. Non
lo sa.
E’ un patto tra due
in cui l’uno deve essere visibile al cento per cento e
l’altro invisibile.
Quanto mi ripugna l’espressione “cento per cento”!

Quelli che non sanno stare in nessun altro posto se non sulla loro facciata
quelli che non sono mai distratti
quelli che non aprono mai la porta sbagliata dove possano vedere un barlume
dell’Inidentificato –
passa oltre costoro!

E’ il cinque liglio. Il cielo è coperto di nubi ma il sole
si spinge nel mezzo.
Il serpentello striscia lungo la scala esterna quieto e
maestoso come un anaconda.
Il serpentello come se non ci fossero ministeri.
La crisìde dorata come se non ci fosse idolatria.
I lupini come se non ci fosse “cento per cento”.

Io sento l’abisso in cui si è insieme prigioniero e dominatore come
Persefone.
Spesso sono rimasto coricato giù nell’erba secca
e ho visto la terra inarcarsi sopra di me.
La volta della terra.
Spesso, per metà della vita.

Ma oggi il mio sguardo mi ha lasciato.
La mia cecità si è arresa.
Lo scuro pipistrello ha lasciato il volto e sforbicia in
giro nello spazio luminoso dell’estate.

Dalla raccolta För levande och döda (Per vivi e morti), 1989

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