Famiglia

Aborto “privato”, rischio pubblico

La procedura chimica sarebbe dieci volte più pericolosa di quella chirurgica. E da noi è incompatibile con la legge 194...

di Sara De Carli

Questa settimana la Commissione Europea dovrebbe adottare il parere dell?Emea (Agenzia europea del farmaco) sulla pillola abortiva, la Ru486. La Exelgyn, la casa farmaceutica che la produce, ha annunciato che subito dopo avvierà la pratica per il mutuo riconoscimento del farmaco in Italia. Non è la prima volta che lo dice: questa volta però il clima è cambiato. Il primo segnale è arrivato a ottobre 2006, quando Roma ha ospitato il convegno internazionale della Fiapac – Federazione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione, sponsorizzato proprio dalla Exelgyn.

Una strana alleanza
Per Eugenia Roccella, autrice di La favola dell?aborto facile insieme con Assuntina Morresi, «il parere dell?Emea, imponendo di aggiungere informazioni sui rischi di infezioni mortali, chiede di approfondire le ragioni delle morti da Ru486, di cui nessuno parla», spiega. Sono 15 quelle denunciate in Occidente. In questo senso quella contro la Ru486 è una laicissima battaglia a tutela della salute della donna e contro il progetto di ridurre l?aborto a un fatto privato, con l?obiettivo di sgravare di un peso le strutture pubbliche.

Negli Stati Uniti, Germania, Australia e soprattutto nei Paesi in via di sviluppo il movimento ?pro life? e quello ?pro choice? si sono uniti contro la Ru486: si comincia dai mariti e dai padri delle donne morte, si arriva alle femministe del Finrrage – Feminist international network of resistance to reproductive and genetic engineering, passando per Renate Klein in Australia, Farida Akhter in Bangladesh e Mira Shiva in India. «Non sono cattolica e non appartengo al movimento per la vita», ci dice Renate Klein, «sono una femminista e sono a favore di un aborto sicuro e legale. La Ru486 non lo è. Per questo lavoro benissimo con Melinda Tankard Reist, del movimento per la vita australiano: chi ha a cuore la salute delle donne non può non essere preoccupato». Soprattutto nei Paesi poveri, dove la pillola abortiva è più diffusa, spinta come mezzo di controllo delle nascite; quelli che da noi sono «eventi avversi», lì rischiano di essere decessi, anche se nessuno li ha mai contati.

Le ragioni contro la Ru486 le spiega Assuntina Morresi, docente di Chimica fisica all?università di Perugia: «Perché ci affascina tanto una procedura che il New England Journal of Medicine ha dichiarato essere dieci volte più rischiosa di quella chirurgica? Perché nessuno dice che l?impatto psicologico è altissimo e che il 56% delle donne vede l?embrione espulso? Che in un caso su dieci occorre comunque fare l?aborto chirurgico? E poi dicono che l?aborto chimico è un?opzione ?easy? per le donne?».

Motivazioni economiche
«L?aborto farmaceutico ha successo nei Paesi che prevedono l?aborto in strutture pubbliche, come la Francia. Vuol dire che le motivazioni pro Ru486 sono economiche, è un modo per liberare la sanità pubblica di un costo e ricacciare l?aborto nella clandestinità», dice Eugenia Roccella. Tant?è che la Francia, dopo un po?, ha cambiato la legge, eliminando l?obbligo di abortire in una struttura pubblica.

La Roccella teme che anche da noi l?obiettivo sia questo. La legge 194 prevede che l?aborto sia praticato in ospedale: con la Ru486 invece il 70% delle donne non aspetta l?espulsione dell?embrione, ma firma per uscire prima. Nell?80% dei casi, l?espulsione dell?embrione avviene tre giorni dopo aver inghiottito la prima pillola: tre giorni di degenza che sarebbero un costo per le strutture sanitarie e un tormento per le donne. «Per tutelare la salute è necessario che anche l?aborto farmaceutico avvenga in ospedale», dice la Morresi, «ma dubito che a quel punto le donne lo sceglierebbero. C?è una chiara incompatibilità fra la procedura dell?aborto chimico e la 194».

Nei sette ospedali d?Italia che già utilizzano la Ru486, l?escamotage è stato quello di interpretare l?aborto come l?atto medico, cioè l?assunzione della prima pillola. Anche se il Consiglio superiore della sanità già nel 2004 ha chiarito che i rischi dell?aborto farmacologico sono equivalenti a quelli dell?aborto chirurgico solo se la pratica abortiva avviene interamente in ospedale. «Se la Ru486 arrivasse in Italia», conclude la Roccella, «bisognerebbe riscrivere le Linee guida attuative della 194, per garantire un?interpretazione univoca della legge».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA