Welfare
Abbiamo reso 600mila persone invisibili, ora è tempo di togliergli quella maschera
«È difficile accettare la regolarizzazione perché è difficile accettare che esista l’altro, lo capisco. Ma il principio è semplicemente quello di dare diritti a persone che esistono, sono qui accanto a noi e che non possiamo continuare a fingere di non vedere. È tempo di togliere loro la maschera dell'invisibilità. Non è questione di regolarizzare per paura che il contagio si diffonda incontrollato, ma di tutelare queste persone come tutte le altre. Quelli che ieri erano gli ultimi oggi sono diventati, se possibile, meno degli ultimi»: parla Maria Concetta Storaci, consigliere del CNOAS con delega all’immigrazione
Il titolo di Libero, che ha biecamente affiancato morti e migranti, con il termine “rimpiazzo”, non vuole nemmeno commentarlo. Neppure si nasconde dietro l’argomentazione – pur vera – che il disegno di legge per la regolarizzazione degli immigrati irregolari in agricoltura ha ripercussioni importanti di salute pubblica. «È difficile accettare la regolarizzazione perché è difficile accettare che esista l’altro, lo capisco. Ma il principio è semplicemente quello di dare diritti a persone che esistono, sono qui accanto a noi e che non possiamo continuare a fingere di non vedere. Non è questione di regolarizzare per paura che il contagio si diffonda incontrollato, ma di tutelare queste persone come tutte le altre. Molti di loro hanno un permesso scaduto e sanno perfettamente a quel che andrebbero incontro, andando a chiedere aiuto ai servizi. C’è molta paura. Quelli che ieri erano gli ultimi oggi sono diventati, se possibile, meno degli ultimi».
Maria Concetta Storaci è consigliere del Consiglio Nazionale degli Assistenti Sociali, con delega all’immigrazione. Vive a Siracusa, racconta della tendopoli di Cassibile, «identica a tante altre realtà in Italia»: 200 persone, senza presidi sanitari di assistenza, ci sono solo medici volontari che vanno a visitarli. Il Comune ha messo i bagni, l’acqua, l’elettricità. Persone che si spostano nei territori seguendo la raccolta dei prodotti: le patate, le fragole, i pomodorini… «Se c’è un caporale è perché c’è un imprenditore che ha bisogno di quei lavoratori. Ma nessuno di noi, sedendosi a tavola, pensa a chi ha raccolto quel che sta mangiando o al perché paga quel cibo 1,50 euro al kg…».
La proposta sulla regolarizzazione dei migranti quindi per lei è «utile e doverosa», senza se e senza ma, perché «non possiamo disconoscere che dopo i decreti sicurezza dello scorso anno molte persone che avevano un permesso di soggiorno per motivi umanitari si trovano oggi senza permesso ma sono utilizzati per necessità degli “imprenditori” agricoli», dice Storaci. Lo stesso per molte badanti regolarizzate «che hanno lasciato l’Italia all’esplosione del Coronavirus, che ha portato molti italiani a rivolgersi a persone non in regola. Idem per mondo i trasporti e l’edilizia. Queste persone vengono utilizzate, ma poi facciamo finta che siano invisibili, questa è la tristissima realtà». E ancora ci sono i minori stranieri non accompagnati, magari fuggiti dai Centri di accoglienza, in questo momento vittime del lavoro nero. O a quelli che stanno per compiere i 18 anni e avevano avviato percorsi di tirocini formativi per trasformare i loro permessi in permessi per studio o lavoro: tutto si è fermato. «E le ragazzine, che in questo momento non potendo usare la strada sono chiude nelle abitazioni, senza nemmeno la possibilità di incrociare servizi o volontari, ancora più invisibili. Il problema non è solo l’emersione del lavoro nero, è più ampio, è un tema di diritti. Partiamo dal riconoscimento che queste persone sono lavoratori che ci aiutano nelle nostre attività. Mi sembra sia il momento più opportuno per togliere loro la maschera che gli abbiamo messo. La legge non basterà, perché insieme bisognerà fare un discorso più completo, lavorare con le imprese, fare un lavoro di comunità, sulla salute, sulla casa… ma è il primo passo necessario».
FOTO DI © DAIANO CRISTINI/SINTESI
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