Famiglia

Abbiamo messo le comunità al centro del welfare

La sua biografia si è intrecciata con quella del più grande gruppo di coop sociali sin dal 1993. Ora, dopo sei anni da presidente,Johnny Dotti passa il testimone.

di Riccardo Bonacina

Cooperatore da sempre, la storia di Johnny Dotti, 45enne, si intreccia con quella di Cgm (il Consorzio nazionale di cooperazione di solidarietà sociale Gino Mattarelli, nato nel 1987) sin dal 1993. Nel 96 Dotti entra poi a far parte dello staff di presidenza, tre anni dopo diventa amministratore delegato e dal 2002 è presidente. Carica che ha ricoperto per due mandati e che giunge ora a scadenza. Un intreccio di storia personale e di impresa che ha regalato all?economia civile italiana un leader e una delle più solide e consistenti realtà dell?economia senza fine di lucro. Il prossimo 23 maggio, nel corso dell?assemblea dei soci chiamata ad approvare il bilancio del gruppo cooperativo (80 consorzi, sei società, un fatturato aggregato di più di un miliardo di euro, oltre 1.100 cooperative con 36mila lavoratori di cui 9mila con svantaggio), sarà eletta presidente Claudia Fiaschi, fiorentina, quinta presidente del gruppo, la seconda donna ai vertici di Cgm.

Vita: Come è cambiata Cgm dal 1996 ad oggi?
Johnny Dotti: Partirei da ciò che è rimasto costante. Innanzitutto la visionarietà di Cgm, che ha sempre puntato su una capacità di visione che influenza, attraverso le strategie e le scelte organizzative, la realtà. In secondo luogo Cgm non ha mai rinunciato a far crescere l?idea originaria di cooperazione sociale mettendola alla prova dentro la realtà e riuscendo a tenere insieme la cooperazione sociale dentro i territori con la dimensione della rete nazionale e internazionale. Oggi, dopo dodici anni, lo sviluppo di quel percorso ci ha portato ad un?altra frontiera, quella dell?impresa di comunità, ad immaginare cioè che dentro i consorzi ci stanno anche altri soggetti (fondazioni, enti locali, banche locali, ect.) e non solo le cooperative sociali. In qualche modo è l?evoluzione di quell?idea per cui tu sei cooperatore sociale nelle misura in cui stai dentro le comunità e non nella misura in cui produci servizi sociali, che è cosa dignitosissimma, ma non sufficiente.

Vita: Intorno a quali scommesse si sono sviluppati i tuoi due mandati?
Dotti: Il primo mandato ha sviluppato l?idea dell?impresa a rete, il secondo ne ha tirato le conseguenze proponendo la trasformazione di Cgm in un gruppo cooperativo. Nel 2000 il tema era questo: siamo solo un?associazione di cooperative di territorio che si confrontano tra loro, oppure siamo anche un?impresa che ha delle strategie e delle pratiche, degli elementi culturali comuni che legano Trapani con Aosta? Per questo Cgm ha lavorato molto sulla certificazione di qualità, sulla formazione dei dirigenti (e oggi posso dire con grandi risultati), sulla strategia dei marchi di prodotto e poi sulle società che hanno portato al gruppo cooperativo. Una trasformazione che non è la negazione dei territori ma è la ciscienza che i territori oggi, se si vogliono dire comunità, devono essere aperti, perché se rimangono chiusi diventano delle mafie e implodono. Per questo Cgm ha anche promosso un?operazione di partecipazione reale al sistema dell?economia civile, abbiamo quasi un milione di capitale su tre investiti in partecipazioni di alcune società, siamo rappresentati nei cda di 12 società. Invece di costruire un fortino autosufficiente e autoreferenziale, abbiamo promosso partnership e partecipazioni su asset che consideravamo strategici per noi e per tutta l?economia senza fine di lucro, dalla comunicazione al settore ricerche e formazione.

Vita: Una delle scommesse è stata anche la tenuta economica del gruppo, condizione necessaria alla sua indipendenza.
Dotti: In questi anni abbiamo lavorato sull?elemento patrimoniale, sulla tenuta dei conti economici e sulla diversificazione dei ricavi. In questi 12 anni abbiamo quadruplicato il capitale presente nella rete, a fronte di un miliardo e 200 milioni circa di produzione siamo arrivati a circa 55-60 milioni di capitale dentro la rete. Capitale diffuso e dal basso, messo dai soci cooperatori che guadagnando 1.200 euro al mese. Poi è partito il meccanismo della capitalizzazione dei consorzi che hanno saputo coinvolgere altri soggetti economici e le istituzioni. Infine, chiudiamo il bilancio 2007 con una presenza di soldi pubblici che non supera il 5%. Cgm come gruppo oggi ha ricavi per quasi 7 milioni di euro che derivano direttamente dalla rete o che vengono dal privato, dalle fondazioni, dalle banche.

Vita: Quanto è cambiata la cooperazione sociale in questi anni?
Dotti: La cooperazione sociale si è affermata, ma nella sua vittoria sta anche la sua scomposizione. Quando è nata Cgm c?erano 400 cooperative sociali, oggi sono 7.500, una cooperativa ogni 7mila abitanti. In questa sua vittoria sta anche un po? del suo svuotamento, oggi ci sono tante ?cooperazioni sociali?, tutte legittime, ma tra loro molto diverse. Oggi ci sono tante cooperative vocate alla esternalizzazione del pubblico. In generale, mi sembra che l?idea di impresa sociale nel terzo settore sia ancora lungi da venire. Se penso alle alleanze degli ultimi anni di Cgm sono quasi tutte partnership fuori dal terzo settore, le alleanze che ci hanno fatto fare un passo avanti in termini di innovazione , di risposta ai cittadini, di creazione di nuove forme organizzative sono alleanze con altri mondi rispetto ai soggetti di terzo settore.

Vita: Dal 23 maggio il nome della tua prossima sfida sarà Welfare Italia.
Dotti: Sì, il marchio voluto e creato da Cgm è stato conferito ad una impresa sociale di cui sono amministratore unico sino a fine anno; da giugno mi dedicherò allo star up di Welfare Italia dovendo portare a termine il lavoro sulla governance, sul piano industriale, sul network, sulle alleanze. Stiamo concentrando la nostra riflessione su cosa voglia dire lo spostamento del welfare dall?offerta alla domanda. Basti pensare al fenomeno delle badanti per capire cosa voglia dire (una domanda che ha creato da sé la sua risposta), oppure guardare alle spese che le famiglie stanno facendo grazie al credito al consumo che tutti immaginano sia fatto per televisioni e personal computer e invece è fatto anche per pagarsi il dentista, la psicoterapia al figlio, le cure post operatorie. Ormai c?è un mercato che si è aperto e che galleggia in una situazione molto ibrida fra un profit spregiudicato e il mercato nero. Immaginare che tutto possa essere ricondotto al welfare state è pura utopia. L?idea è che Welfare Italia provi ad interpretare tutto questo collegandosi alle dimensioni di un?offerta capace ad entrare in diretto rapporto con la domanda. È un?esperienza che abbiamo cominciato a fare in Cgm. Una sfida che vogliamo fare insieme ad altre forme d?impresa sociale ma anche con altre forme di impresa come i fondi sanitari integrativi o le mutue.


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