Welfare

Abbiamo la ricetta giusta per sfamare il Kenya

A Mutuati, in Kenya, 330 bambini nella mensa scolastica hanno un menù messo a punto dai migliori medici italiani esperti di alimentazione, grazie a una partnership tra Gruppo San Donato Foundation e Fondazione Avsi, che ha trasferito in Africa un progetto già realizzato nelle scuole italiane. La sfida? Combattere la denutrizione oggi, pensando già a prevenire l'obesità di domani

di Sara De Carli

Benedict ha 10 anni, vive a Mutuati, un villaggio del Kenya, a sette ore da Nairobi. In sei mesi ha preso cinque chili tondi e 9 centimetri di altezza, passando da “sottopeso” a “normale”: «Grazie per la dieta superdeliziosa che ci avete dato. Prima mangiavamo sempre quel noioso porridge senza gusto, ora quando arriva lo yogurt salto su e giù dalla gioia», scrive. Benedict frequenta la scuola San Riccardo Pampuri di Mutuati, aperta nel 2009, riconosciuta dal ministero dell’istruzione locale e sostenuta da sempre da Fondazione Avsi. Da luglio 2016 la scuola ha aperto una mensa, con menù firmati da uno dei più insigni esperti di alimentazione d’Italia, il dottor Lelio Morricone: la Fondazione del Gruppo Ospedaliero San Donato (GSD Foundation), in collaborazione con Avsi, ha infatti avviato un progetto che vuole non soltanto combattere la malnutrizione dei bambini di Mutuati, ma fare una vera e propria educazione alimentare. Non è paradossale pensare all’obesità in un luogo in cui i bambini oggi sono gravemente denutriti? «Le statistiche dicono che i Paesi africani vedranno in tempi brevissimi l’esplosione dell’obesità, in conseguenza di una maggiore disponibilità di cibo, ma di cattiva qualità», spiega il dottor Morricone. «La nostra prospettiva non può essere il “meglio questo che niente”, dobbiamo dire subito che a parità di spesa e partendo dagli alimenti disponibili, si può mangiare meglio». I 330 pasti al giorno serviti alla scuola di Mutuati sono la prima, piccolissima goccia di questa enorme sfida: fare educazione alimentare in Africa, che significa oggi sconfiggere la denutrizione e la malnutrizione, ma evitando l’obesità domani.

È un progetto fortemente voluto da Gilda Gastaldi (in foto), medico e vedova di Giuseppe Rotelli, fondatore di quello che oggi è il primo gruppo ospedaliero d’Italia: «I nostri medici mi parlavano di patologie nuove fra i ragazzini, diabete di II tipo, ipertensione, obesità…», ricorda lei, «dovevamo fare qualcosa, ma come? Volevamo un progetto diverso da quelli esistenti e avevamo chiaro che per funzionare il progetto doveva essere vicino ai ragazzi. Inoltre come IRCCS volevamo fare qualcosa di scientifico».


È così che parte EAT: i medici del gruppo San Donato vanno nelle scuole secondarie di primo grado, misurano e pesano i ragazzi, regalano loro un contapassi e una borraccia e li incuriosiscono sorprendendoli: «la prevenzione dell’obesità è la sfida dei prossimi cento anni», afferma Gastaldi. Nelle scuole che hanno incontrato EAT, la percentuale di ragazzi obesi è scesa dal 9,2% al 6,8%, mentre quelli sovrappeso sono passati dal 25,5% al 17,6%: risultati che hanno valso al progetto una vetrina di primissimo piano a Expo Milano 2015.

Il punto di partenza è l’Italia. Qui nel 2009 la GSD Foundation avvia il progetto EAT, che sta per Educazione Alimentare Teenagers: ad oggi sono stati coinvolti 1.400 adolescenti, impattando realmente sul loro stile di vita e le loro abitudini alimentari. A Mutuati però non esistono bambini obesi. A Mutuati si mangia una sola volta al giorno, per lo più githeri (mais e fagioli) o sorgo. A Mutuati non c’è produzione alimentare, nei campi si coltivano quasi solo le piante di mirà, una droga leggera: sono proprio i bambini che ne raccolgono le foglie, arrampicandosi sugli alberi invece di andare a scuola. È questo che racconta Andrea Bianchessi, responsabile di Avsi in Kenya. Per tanti la scuola San Riccardo Pampuri è una zattera di salvataggio: «l’ha creata un insegnante, Cyprian, pensando ai bambini più vulnerabili. Lui è un vero leader comunitario, ha creato una cooperativa di risparmio rurale e una cooperativa agricola, sono partiti con una mucca e sette famiglie, ora sono 700 contadini». Figure come Cyprian sono quelle che possono fare la differenza, perché «la sostenibilità di un progetto è data innanzitutto dalle persone», afferma convinto Bianchessi: «anche nel progetto di educazione alimentare tutto passa dalla formazione degli insegnanti e a cascata dei genitori. La presenza di un materiale umano forte è una condizione importante per la sostenibilità e la replicabilità del progetto».

Grazie all’incontro fra GSD Foundation e Avsi, a luglio EAT è sbarcato in Kenya. L’équipe medico-nutrizionale del Gruppo San Donato ha elaborato dei menù equilibrati e completi, per la colazione e il pranzo, valorizzando i prodotti locali: «tutti cibi compatibili con l’economia domestica del posto, sarebbe folle pretendere di inserire pesce fresco pescato», esemplifica Morricone. «Si può fare moltissimo anche solo cambiando le modalità di preparazione dei cibi», spiega Gastaldi: «loro friggono molto, con oli vegetali ricchi di grassi saturi, noi abbiamo suggerito modalità più sane, incentivando l’utilizzo delle spezie e delle erbe aromatiche». Riso e lenticchie, riso e fagioli, carote, insalata, yogurt, uova, pasta con ragù di carne (con tanto di video per illustrarne la cottura)… nella fase di avvio la Fondazione ha dato anche un contributo economico per l’acquisto dei prodotti, ma l’obiettivo è arrivare presto all’autoproduzione, grazie ad esempio a due mucche (già acquistate, producono 15 litri di latte al giorno) e a un ettaro di terreno in cui i ragazzi possano coltivare frutta e verdura (l’acquisto è previsto nel secondo semestre del progetto, in una “fase due” ormai certa), con «coltivazioni biologiche, però», precisa Gastaldi.

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A cucinare ci sono anche gli stessi genitori, a turno: tutti hanno fatto una formazione via Skype con i medici italiani e ormai un migliaio di persone nel piccolo villaggio di Mutuati hanno un rapporto differente con il cibo. Il bilancio dopo sei mesi è assolutamente positivo: i bambini hanno tutti preso peso, si ammalano meno, la dispersione scolastica è stata praticamente azzerata perché tutti vogliono andare a scuola per mangiare. Anche i risultati scolastici degli alunni sono migliorati. «Quando ho scoperto questi nuovi cibi ero contento come quando Isaac Newton ha scoperto la forza di gravità», ha scritto Kelvin nella sua letterina. Mangiar bene per stare bene, senza spendere di più: che bella scoperta.

In Italia intanto, EAT non è rimasto un semplice progetto. L’idea dell’educazione alimentare ha impattato sui contratti con i fornitori di tutto il gruppo San Donato, che con 18 strutture fra Emilia Romagna e Lombardia, 6mila posti letto, 4mila medici e quasi 4 milioni di pazienti ogni anno, è il primo gruppo ospedaliero d’Italia. Un risvolto sorprendente del progetto EAT è l’impatto che esso ha avuto sulle sue attività d’impresa. Un primo cambiamento ha riguardato i distributori di cibo e bevande dentro gli ospedali: «È un tema emerso nelle scuole, abbiamo iniziato da noi, chiedendo alle ditte di inserire alimenti con caratteristiche definite da noi, più adatti al nostro metabolismo. Una piccola ditta è stata disposta a rischiare con noi, man mano che i contratti andavano in scadenza i nuovi distributori sono stati inseriti in tutti i nostri ospedali e anche in altri luoghi, con un effetto di contaminazione importante», racconta Gilda Gastaldi. Il secondo step riguarda i pasti serviti ai pazienti: «abbiamo definito noi i menù e scritto noi il capitolato. Chi vince la gara vince con questo capitolato e questo menù. Abbiamo eliminato i grassi idrogenati, le margarine, gli oli vegetali, frutta e verdura sono solo di origine italiana, non ci sono fritture. Sono 5mila pasti al giorno, manca solo il San Raffaele. I costi non aumentano, davvero», garantisce Gastaldi. Il terzo step è un ristorante aperto al pubblico, all’interno della clinica La Madonnina, gestito da una società creata ad hoc: si chiama EAT Restaurant, «ogni due mesi uno chef stellato dei Jeunes Restaurateurs d’Europe mette a punto un menù secondo le linee guida di EAT». Accanto a ogni portata del menù sono scritti nero su bianco calorie e valori nutrizionali.

In copertina, Chloe Larsay, Communication & Marketing Manager presso Gruppo Ospedaliero San Donato (a sinistra e Chiara Sernacchioli, responsabile segreteria organizzativa del Progetto E.A.T. con i bambini di Mutuati.

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