Cultura

Abbasso le etichette, io canto da sola

Nemica delle major discografiche, a 19 anni Ani DiFranco decide di autoprodursi. Oggi la sua Rightehous Babe Record è un successo, musicale e di impegno sociale

di Redazione

Che suoni con Prince, al Carnagie Hall di New York insieme a Greg Brown o per le strade di Buffalo, sua città natale, Ani DiFranco guadagna sempre la stessa cifra: zero. L?incasso dei suoi concerti, come quello di tutti i suoi dischi, finisce nelle casse della Righteous Babe Record: la casa discografica che ha fondato nel 1990, a 19 anni, per incidere, produrre, vendere la musica che voleva. E mettere in pratica gli ideali che canta nelle sue canzoni: anti globalizzazione, impegno sociale, diritti umani, sviluppo locale. Risultato: 12 dischi in 11 anni, 200mila copie vendute, otto dipendenti, nessun padrone.
Per il Rockrgirl Magazine, che le ha dedicato la copertina di agosto, è un?eroina folk del nuovo millennio. Per Forbes, un?imprenditrice di successo. Ma l?unica etichetta che lei accetta di portarsi addosso è quella di artista indipendente e disposta a tutto pur di tenersi ai margini dell?America delle major discografiche. Dalle Sony, Virgin, Emi e colleghe che 11 anni fa Ani ha snobbato facendosi prestare dagli amici i soldi necessari a registrare un disco e che, oggi, attacca nelle canzoni su cui marciano e riflettono il popolo di Seattle, di Genova e, in generale, del no global. Il segreto del suo successo? «Think globally, act locally», ha svelato la cantante presentando il suo ultimo cd Revelling/Reckoning. «Nel senso di fare la differenza nei più piccoli dettagli della tua vita: fare la spesa in un negozietto invece che nel centro commerciale desideroso di inglobarlo, vivere a Buffalo invece che a Manhattan, vestire griffato oppure no».
Buffalo, già: Ani ha stabilito gli uffici della Righteous Babe Record nel quartiere con maggior esclusione sociale per dar lavoro agli operai del posto, sostenere progetti di sviluppo lanciati dai cittadini poveri attraverso la fondazione Righteous Babe e affidare i suoi dischi a una rete di distributori appartenenti a minoranze etniche che lavorano in America, Canada ed Europa. Le rinunce cui è dovuta andare in contro? Moltissime, racconta l?artista sul sito www.rightousbabe.com: «Avrei potuto vendere molti più album, e la vita avrebbe potuto essere più comoda. Ma è stato molto più interessante cercare di costruire una strada alternativa senza l?industria discografica e, magari, diventare un modello per gli altri».
Detto, fatto: oggi DiFranco non è più la sola artista prodotta dalla Righteous Babe; altri musicisti, coi suoi stessi principi, hanno rinunciato a contratti miliardari con le major ma non alla libertà di cantare quello che vogliono. Un diritto che Ani ha rivendicato per l?ennesima volta un mese fa, rinunciando ad apparire nel David Letterman Show – la vetrina dell?America che conta e detta i nuovi trend – perché i responsabili del programma le avevano chiesto di non cantare Subdivision. Una canzone contro il razzismo delle città americane contenuta nel cd Revelling/ Reckonging in cui l?artista si interroga sul perché le persone bianche hanno tanta paura di quelle nere. Troppo forte per lo show, almeno in teoria, più provocatorio d?America?
Tanto peggio per voi, ha risposto Ani che non ha mai nascosto la sua avversione per i colossi della comunicazione. «Human devastation as mass enterteinment», devastazione umana come intrattenimento di massa, li definisce nella canzone Tamburitza Lingua. E ancora peggio li tratta nelle interviste: «Quando cerco un?informazione vera», ha dichiarato al mensile americano Utne Reader neanche un mese fa, «spengo la televisione e chiudo il giornale. È incredibile quanta fatica devi fare per trovare un?opinione fuori dal coro».

Info: per avere informazioni sui concerti di Ani DiFranco e inviarle messaggi, contattatela su < a="" href="http://www.rightehousbabe.com">www.rightehousbabe.com

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