È una questione di regole. Numero uno: non grattarti la testa. Regola due: non gesticolare troppo. Regola tre: attenzione ai fuori onda. Regola quattro: non trattare male il o la giornalista. Regola cinque: non indossare gioielli o cose di valore. Regola sei: citare sempre statistiche e numeri. “Eh, a ricordarli”, pensa il deputato prima che si accende la luce rossa sulla telecamera. “Ma l’Ipad è carico? Vabbè: la trasmissione dura due ore, la batteria è a metà, caricata al massimo dura pure sette ore… Si dai ce la faccio”, pensa tra sé e sé, facendosi coraggio.
Dalle tribune politiche in bianco e nero degli anni 70 ai talk show incorniciati da twitter, dai kit del 2003 al decalogo 2013, regole e vademecum vecchi e nuovi si affastellano nella testa del deputato. Il galateo e le strategie della diretta televisiva, così come la comunicazione politica, però non sono una scienza esatta. Cambiano elezione dopo elezione. E tecnologia dopo tecnologia vanno aggiornate, sempre più velocemente. La comunicazione stessa va sempre un po’ più veloce della politica, come la tartaruga e la lepre. E poi magari s’incappa nella figuraccia, come la scoperta in diretta che un telefonino (un blackberry per la precisione) può dar fastidio alle frequenze dei microfoni. Triste sorte quella della virtù quando diventa vizio… ma cosa volete? Qualche incidente di percorso può capitare.
Oggi la virtù non vuol dire soltanto partecipare a una trasmissione e dire la propria (ascoltare sarebbe già tanto). Oggi c’è altro. Sono i ritrovati della scienza e della tecnica che ce lo impongono. Bisogna fare una raffica di swip, touch, scroll, bounce back sull’ultimo medium: la tavoletta. Ogni numero, statistica, dichiarazione, ansa, mappa, legge, codice, sondaggio, tweet o processo in atto sono consultabili dall’Ipad messo in bella mostra, in favore di telecamera, sul bracciolo della poltrona. Ghost writer o spin doctor: statevene tranquillamente in panciolle a casa e messaggiate da lì il vostro deputato. Inviate ogni singola parola che sta pronunciando dal suo account tweeter in diretta sulla vostra comoda poltrona. Anche perché il telelavoro si espande e allora sì che diventiamo un paese davvero europeo e tecnologicamente avanzato.
Purtroppo la voce “tavoletta” non è ancora presente in nessun vademecum o regola di bon ton. Specialmente in diretta può essere un problema imbarazzante non saperla usare. Le regie sono sempre più schizofreniche: cercano i particolari, indagano sulla figura intera e sul primo piano, la scarpa, il polsino, il fazzoletto verde. Valorizzano le vene gonfie quando uno dei contendenti appoggia la tavoletta di taglio accanto a sé per urlare e far infervorare la claque plaudente a prescindere. Ma è quando la parola passa all’avversario che il pericolo si trasforma in emergenza, e la virtù diventa vizio. Ed è qui che urge aggiornare il vademecum. Le telecamere sono impietose: il possessore della tavoletta è a testa bassa sulla tavoletta medesima, manine e ditini che picchiettano vorticosamente sullo schermino per ricordarsi la dichiarazione nefasta fatta da quell’altro qualche mese prima. Data la testa china, il doppio mento fa la sua comparsa dal colletto della camicia. I riflettori sono sempre al massimo della potenza (la conduttrice è stratirata) e le dita cominciano a macchiare (cit) lo schermo con il sudore che cola dalle falangine. Mentre parla l’avversario lo spettatore, la conduttrice e il pubblico in studio notano che c’è qualcosa che non va in tutta quell’agitazione. Che il deputato sta perdendo la discussione nella sua tavoletta. Che si sta perdendo un pezzo di trasmissione (o spettacolo). Che è totalmente fuori dalla trasmissione… Che qualcuno della claque o lo spin doctor glielo dica! Ma siamo qui per mettere ogni cosa al suo posto e la tavoletta è con noi. Ecco: la dichiarazione nefasta! Trovata!
Intanto però la trasmissione è andata avanti. Si passa ad un altro problema. Ora in collegamento c’è la signora che sbraita per cinque minuti dicendo che non ce la fa più ad arrivare alla fine del mese, che ha lo sfratto, che prende 500 euro di pensione, che va ormai a mangiare alla Caritas, etcetc. La tavoletta continua a lavorare, a cercare quanti posti di lavoro sono stati dati da quelle parti, quanti parcheggi e supermercati sono stati costruiti, quanto ticket è stato abbassato… Lo sguardo del deputato è sempre in basso, il picchiettìo sempre più veloce, il livello di sudorazione sul touch al massimo, fin quando la signora dice: “Perché voi non ascoltate i bisogni dei cittadini!”.
È l’offesa che la tavoletta si augurava. Il candidato alza lo sguardo. Il doppio mento si distende sul resto del collo. Le falangine smettono di picchiettare. La tavoletta fa un sospiro di sollievo e per la prima il deputato volta guarda la signora. Ma non in faccia. Guarda la spia rossa della telecamera: ecco! La regola numero sette! “Signora”, dice il deputato, “sia chiaro che Io vengo dalla società civile, Io. E ho gli stessi problemi che avete voi, Io. Prendo anch’io il treno dei pendolari, Io. Io li ascolto i cittadini, Io. Ora le faccio vedere le cifre se vuole. Ce le ho qui sull’Iopad, Io” (a forza di ripetere certi concetti, qualche gaffe è concessa anche dal miglior vademecum: “umanizza un po’”, dice).
Ora che è finita la trasmissione, la tavoletta riposa. Figlia di una delibera di un Consiglio Regionale, la tavoletta è ormai uno strumento di lavoro indispensabile e media la distanza giusta tra elettore ed eletto. E poi cosa volete, gli perdoniamo anche la tavoletta quando parla con noi e magari aggiorna twitter per essere più social. Si, va bene: la userà anche per distrarsi un attimo quando va votare in aula una legge o un provvedimento, la fisserà ad occhi bassi mentre una vita disperata gli chiede ascolto o li accusa di essere oligarchi. Ma quello che si affaccia alla nuova politica è un deputato moderno, giovane, social, un po’ geek, sempre connesso, al passo coi tempi. È il futuro a cui tutti dobbiamo tendere e verso il quale, armato di tavoletta, il nostro deputato ci condurrà. Senza mai guardarci negli occhi quando ci parla in tv. Senza mai guardarci negli occhi quando ci stringe la mano ai comizi. Sempre con un nuovo decalogo di buona educazione in testa, la tavoletta davanti agli occhi e la virtù altrove.
<<Chi pratica la virtù solo nella speranza di acquisire una gran reputazione è prossimo al vizio>>, scriveva Honorè de Balzac. Massime e pensieri di Napoleone, 1838.
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