Mondo

A volte ritornano: è il caso di Lula in Brasile (e di questo blog)

di Paolo Manzo

Le crisi sono etimologicamente parlando delle opportunità e ciò vale anche per l’America latina, regione geografica che va dal Messico alla Patagonia includendo anche i Caraibi. È indubbio che la pandemia ha fatto emergere con maggior urgenza i problemi storici di questa parte di mondo, dalla concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochissimi alla pessima organizzazione statale di settori quali l’istruzione e la sanità. Certo, ogni Paese latinoamericano ha le sue peculiarità, dal Messico alle prese con una violenza endemica che fa da pendant alla presenza di cartelli della droga ormai radicati sul territorio e che sovente si sostituiscono allo Stato, all’Argentina in perenne crisi sociale ed economica. Dal Brasile, immerso tra il suo ruolo di superpotenza regionale e una polarizzazione politica mai vista prima, al Venezuela, alle prese con una "crisi umanitaria complessa" di cui è difficile vedere uno sbocco.

In questo blog, che torna con rinnovato entusiasmo ed energia, ogni giorno cercheremo di focalizzarci su aspetti dell’America latina trascurati dai media italiani per cercare di comprendere, al di là degli stereotipi, dove sta andando questa parte del pianeta, centrale come l’Africa per quanto concerne le risorse naturali e le dinamiche geopolitiche globali. E per vedere cosa c’è di nuovo. In Brasile ad esempio, lo slogan per inquadrare le dinamiche socio-politiche del momento, potrebbe essere “a volte ritornano”, riferito naturalmente all’ex presidente (2003-2010) Lula. Già perché sembrava tutto finito quando, cinque anni fa, la Mani Pulite verde-oro cominciò ad interrogarlo, mettendolo nel mirino nell’ambito di uno scandalo, quello Odebrecht e Petrobras, dalle diramazioni globali complesse.

L’ex “presidente dei poveri” finì in carcere per 580 giorni in quel di Curitiba ma, dopo la cancellazione delle condanne della Corte Suprema brasiliana, ora Lula non solo è di nuovo in pista ma è il grande favorito delle presidenziali dell’anno prossimo. Nonostante non lo confermi mai quando glielo chiedono, Lula si muove ogni giorno di più come il leader del Partito dei Lavoratori (PT) ed ha iniziato la scorsa settimana una "carovana" nel nordest brasiliano, nel primo tour politico del Paese dopo aver recuperato i suoi diritti politici. In 11 giorni, negli incontri programmati e senza pubblico a causa della pandemia, Lula visiterà sei stati con un obiettivo chiaro: articolare alleanze per il prossimo anno nella regione bastione del PT.

Lula e Jair Bolsonaro stanno combattendo una battaglia elettorale nel nord-est, regione visitata spesso nelle ultime settimane anche dal presidente in carica, che venerdì scorso si trovava nel Ceará. Il Palazzo del Planalto sta cercando infatti di aumentare la popolarità di Bolsonaro nella regione, dove vivono circa 40 milioni di elettori, un quarto dei quali usufruiscono del “Bolsa Familia”, il programma emblema del PT di Lula. Il presidente in carica vuole aumentare il programma di sussidi di almeno il 50% e cambiargli nome per cercare di cancellare il “marchio lulista”. Inoltre, sino alla fine dell'anno, il governo bolsonarista prevede di annunciare il completamento di una dozzina di opere infrastrutturali tra autostrade, porti e aeroporti della regione.

Dal canto suo, Lula ha iniziato il suo tour a Recife, capitale del Pernambuco, e concluderà il viaggio giovedì prossimo dopo aver attraversato anche gli stati del Piauí, Maranhão, Ceará, Rio Grande do Norte e di Bahia. La carovana mira ad aumentare il sostegno dei governatori Flávio Dino del Maranhao, e Paulo Câmara del Pernambuco, entrambi del Partito Socialista Brasiliano (PSB), da usare come “leve elettorali” per il prossimo anno. Parte del PSB sta infatti discutendo se sia meglio l'adesione al PT o il sostegno al candidato di sinistra Ciro Gomes, la possibile “terza via” per le presidenziali del prossimo anno.

Ma come scrive l'autorevole quotidiano argentino La Nación, Lula cerca anche di intaccare la governabilità di Bolsonaro incrinando il cosiddetto “Centrão”, il blocco di partiti che ultimamente ha dato un grande appoggio al governo del presidente in carica con il controllo del ministero della “Casa Civil”, guidato dal senatore e presidente del Partito Progressista (PP), Ciro Nogueira. Non a caso nei giorni scorsi Lula si è incontrato con Wellington Dias, governatore del Piauí proprio del PP, elogiandolo come solo lui sa fare. "Quando arriverà il luglio 2022 vedrete quanti dal Centrão continueranno con Bolsonaro e quanti salteranno giù dalla nave per cercare di salvarsi", ha detto Lula venerdì scorso. “Non chiederò se una persona è di destra o di sinistra, chiederò se è umana e civile. Il mio motto è dialogo, quindi in ogni stato in cui arrivo chiedo di riunire le parti politiche, sindacali e della società civile per parlare", ha aggiunto.

L'ex "presidente dei poveri" cerca di ampliare le sue possibilità con una svolta verso il centro politico, parte di una strategia che si è vista recentemente nella condanna del regime di Daniel Ortega in Nicaragua. È una strategia che potrebbe essere coronata dalla nomina di una figura gradita al mercato o addirittura di destra per integrare la formula alla vicepresidenza. “Lula sta costruendo una nuova retorica e un percorso verso il centro per riconquistare la classe medio-alta che un tempo lo seguiva. La sfida principale continua ad essere quella di conquistare questo segmento, critico nei confronti dei casi di corruzione", ha affermato Leandro Consentino, professore di scienze politiche all'istituto privato Insper di São Paulo.

Un nuovo sondaggio questa settimana ha mostrato ancora una volta la sinistra in buona posizione per il 2022. Lula appare con il 40% di intenzione di voto seguito da Bolsonaro con il 24%, due punti in meno rispetto a un precedente sondaggio della stessa società di consulenza, la XP/Ipespe. In un eventuale ballottaggio, il leader del PT prevarrebbe sul presidente ottenendo il 51% dei voti contro il 32% di Bolsonaro. Sì, a volte ritornano.

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